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Ricorso inammissibile: la Cassazione e la recidiva

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato contro l’aggravante della recidiva. L’appello riproponeva questioni già respinte dalla Corte d’Appello, che aveva correttamente motivato l’aumentata pericolosità sociale del soggetto, desunta dalla commissione di reati violenti durante l’espiazione di una pena. Questo configura un ricorso inammissibile.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione Conferma la Recidiva

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: un ricorso inammissibile è quello che si limita a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio, senza sollevare nuove e pertinenti questioni di legittimità. Questo caso offre uno spunto di riflessione cruciale sulla valutazione della recidiva e sui limiti dell’impugnazione in sede di legittimità.

Il Contesto del Ricorso

La vicenda giudiziaria trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Il ricorrente contestava la decisione dei giudici di secondo grado in merito alla ritenuta recidiva, lamentando vizi di motivazione e violazione di legge. In sostanza, l’imputato non accettava l’applicazione di questa aggravante, che comporta un significativo aumento della pena.

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva già fornito una motivazione dettagliata sulla questione. Aveva evidenziato come l’imputato avesse commesso il nuovo delitto mentre si trovava in fase di espiazione di una pena precedente. Questo comportamento, secondo i giudici, dimostrava una palese indifferenza verso le norme e le sanzioni penali, manifestando un’accresciuta capacità a delinquere. Tale pericolosità sociale era ulteriormente confermata dalla natura dei reati commessi, caratterizzati da violenza contro le persone.

L’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza

Di fronte a queste premesse, la Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso proposto. Gli Ermellini hanno rapidamente concluso che le doglianze sollevate non erano altro che una mera riproduzione delle questioni già affrontate e superate dalla Corte d’Appello. Il ricorso non introduceva nuovi profili di illegittimità, ma si limitava a criticare in modo generico la valutazione di merito, adeguatamente e logicamente motivata, compiuta nel secondo grado di giudizio.

Questo approccio rende il ricorso inammissibile. La Cassazione, infatti, non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un giudice di legittimità. Il suo compito non è rivalutare i fatti, ma assicurare la corretta applicazione della legge. Quando un ricorso si fonda sugli stessi motivi già respinti, senza evidenziare un errore logico o giuridico specifico, esso perde la sua funzione e viene dichiarato inammissibile.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su due pilastri principali. In primo luogo, ha sottolineato l’insindacabilità delle valutazioni di merito quando queste sono supportate da una motivazione logica e adeguata, come nel caso della sentenza d’appello impugnata. La Corte territoriale aveva chiaramente spiegato perché la recidiva fosse giustificata, collegandola a elementi fattuali concreti (commissione del reato durante l’esecuzione di una pena, plurimi reati violenti).

In secondo luogo, la Cassazione ha evidenziato la genericità delle censure mosse dal ricorrente. Le lamentele erano state prospettate in modo tale da denunciare solo apparentemente un errore di diritto, mentre in realtà miravano a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, preclusa in sede di legittimità. Citando un proprio precedente (sentenza n. 44882 del 2014), la Corte ha ricordato che un ricorso così formulato non può essere accolto.

Le conclusioni e le conseguenze pratiche

La decisione si conclude con la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Questa pronuncia comporta due conseguenze negative per il ricorrente: la condanna al pagamento delle spese processuali e il versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria serve a scoraggiare la presentazione di impugnazioni palesemente infondate o dilatorie. L’ordinanza, quindi, non solo definisce il caso specifico ma lancia un chiaro messaggio: il ricorso in Cassazione deve basarsi su vizi di legittimità concreti e non può essere utilizzato come un tentativo di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti già compiuto dai giudici di merito in modo corretto e motivato.

Quando un ricorso per cassazione viene considerato inammissibile?
Un ricorso per cassazione è considerato inammissibile quando si fonda sugli stessi motivi già proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, o quando le doglianze sono generiche e mirano a una rivalutazione dei fatti anziché a denunciare un reale errore logico o giuridico.

Come ha valutato la Corte la recidiva dell’imputato?
La Corte ha confermato la valutazione della Corte d’Appello, secondo cui la recidiva era evidente. L’imputato, commettendo un nuovo delitto violento durante l’espiazione di una pena, ha dimostrato indifferenza verso le norme e un’aumentata capacità a delinquere.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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