Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35984 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35984 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/03/2025 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Torino ha ALZ ~VAI confermato la sentenza emessa dal Tribunale diLoll – ad in data 3 novembre 2023 che aveva condannato NOME alla pena di anni uno di reclusione ed euro 200,00 di multa per il reato di cui agli artt. 110 e 624 cod.pen.
L’imputato ricorre avverso la sentenza della Corte di appello formulando quattro motivi di ricorso. Con il primo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen; con il secondo, violazione di legge e vizio di motivazione, in termini di illogicità, circa la ricostruzione della dinamica del furto; con il terzo, violazione di legge e vizio di motivazione per il diniego delle circostanze attenuanti generiche; con il quarto, violazione di legge in relazione alla determinazione della pena.
Il primo ed il secondo motivo riproducono pedissequamente doglianze già sollevate dinanzi ai giudici di merito e da questi disattese con corretti argomenti giuridici (v. pag. 3-4-5 della sentenza impugnata) e sono volti a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie estranea al sindacato di legittimità. La ricostruzione dei fatti e la valutazione degli elementi probatori ad opera della Corte di appello è priva di profili di illogicità. La Corte di merito, con motivazione pertinente, ha sottolineato i vari indizi sulla base dei quali è stata fondata la responsabilità penale dal primo giudice, facendo emergere la gravità, la precisione e la concordanza degli stessi ex art. 192, co.2 cod.proc.pen (cfr. Sez. 5, n. 1987 del 11/12/2020, Rv. 280414; Sez.5, n. 1282 del 12/11/2018, Rv. 275299). In particolare ha messo in rilievo le seguenti circostanze: nel frangente temporale immediatamente precedente al furto, l’utenza telefonica del complice COGNOME aveva colloquiato più volte con quella intestata alla madre di NOME; il tracciato del GPS installato sulla vettura del COGNOME segnalava che il veicolo era transitato nella via ove abita l’imputato; la sera del furto, il veicolo del COGNOME era posteggiato nel parcheggio dell’esercizio commerciale e poco tempo dopo si accertava che il ladro, prima di entrare nel negozio e prendere la refurtiva, si nascondeva all’interno di un cesto contenente della merce; la corporatura dell’autore del reato corrispondeva a quella di NOME e, tre giorni dopo il furto, nelle vicinanze del cesto summenzionato, si rinveniva la fotocopia della carta d’identità dell’odierno imputato. Elemento, quest’ultimo, che, secondo la Corte territoriale, ha assunto una significativa valenza probatoria circa la responsabilità penale di NOME, posto che quest’ultimo non ha fornito alcuna
spiegazione in ordine alla dispersione della suddetta fotocopia, e che, non si sono rinvenute ragioni per le quali NOME o la madre di lui, recandosi per esigenze di acquisto al centro commerciale avrebbero perso la fotocopia proprio in prossimità del cesto.
Il terzo motivo è manifestamente infondato. La Corte territoriale, con giudizio logico e congruamente motivato, nega il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche richiamando la negativa personalità dell’imputato, gravato da numerosi precedenti penali per reati di furto e rapina (ben 13 iscrizioni nel casellario giudiziale). La decisione della Corte territoriale è in linea con i parametri elaborati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, COGNOME, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691). Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può infatti limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto alla determinazione della pena, non si ravvisano profili di illogicità nella motivazione fornita sul punto dalla Corte distrettuale (pag. 6). I giudici hanno giustificato l’entità del trattamento sanzionatorio ed il discostamento dal minimo edittale richiamando i parametri di cui all’art. 133 cod.pen. e, segnatamente, le modalità della condotta (desunte in particolare dalla preordinazione al compimento del fatto criminoso e dal valore economico dei beni sottratti) ed i precedenti penali dell’imputato. Va allora ricordato che, ai fini della commisurazione della pena, il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’ar 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008,
Gasparri, Rv. 239754). È dunque ammissibile il sindacato di legittimità solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, da escludersi nel caso in esame.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, in data 7 ottobre 2025.