Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1786 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1786 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GIOIA TAURO il 04/08/1983
avverso la sentenza del 11/01/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità
del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia, emessa il 24 maggio 2023, ha confermato la responsabilità del ricorrente in ordine a tre rapine aggravate commesse in territorio calabrese tra luglio ed ottobre del 2020 (capi A, N ed S della imputazione), nonché in ordine ai connessi reati di porto illegale in luogo pubblico di pistola contestati in ordine alle prime due rapine (capi B ed O).
Ricorre per cassazione NOME COGNOME deducendo:
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per le due rapine di cui ai capi A ed N ed ai connessi reati in materia di armi.
La sentenza impugnata non si sarebbe confrontata con i motivi di appello, che il ricorso trasfonde nella parte di interesse, siccome volti a criticare la motivazione offerta dal Tribunale a proposito della prova costituita dall’aggancio, da parte dell’utenza in uso all’imputato, delle celle collegate al luogo di consumazione delle due rapine e dalla indeterminatezza della indicazione, provenuta dalla persona offesa, della targa dell’automobile utilizzata dai malviventi in occasione della rapina di cui al capo N, veicolo diverso da quello in uso all’imputato e che non sarebbe stato possibile identificare con certezza.
La vittima di tale ultimo delitto, peraltro, non aveva riconosciuto il ricorrente n rapinatore che aveva agito a volto scoperto.
Nel ricorso si sottolinea che vi erano stati, nei momenti decisivi, agganci di celle diverse, tutte vicine all’abitazione dell’imputato e non necessariamente ai luoghi delle rapine, anche tenuto conto della eventualità del cosiddetto “rimbalzo” tra celle e sempre a voler ammettere, senza alcuna certezza, che il ricorrente utilizzasse il cellulare di riferimento, che era intestato ad altra persona.
Le modalità delle due rapine non sarebbero assimilabili a quella di cui al capo S, nella quale vi era stato il riconoscimento dell’imputato ad opera della vittima;
violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, potendosi concedere la circostanza attenuante della lieve entità del fatto, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 13 maggio 2024;
violazione di legge in ordine alla determinazione della pena, all’applicazione della recidiva ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
In proposito, la Corte avrebbe adottato una motivazione apparente e non avrebbe tenuto conto degli importi irrisori delle rapine e della vetustà dei precedenti penali del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi in parte non consentiti, in parte manifestamente infondati ed in parte generici.
1.1. In ordine al primo motivo, deve, preliminarmente, rilevarsi che nel ricorso non si contesta la responsabilità del ricorrente per la rapina di cui al capo S, commessa nei confronti di COGNOME Alessandro, il quale aveva riconosciuto l’imputato come autore del delitto, in quanto a lui noto perché residente nel suo stesso paese.
1.2. Quanto agli altri episodi di rapina di cui ai capi A ed N, con i connessi reati di porto abusivo di pistola (rispettivamente capi B ed O), il ricorso reitera argomenti di puro merito, ampiamente sviscerati dalla sentenza impugnata, che ha sottolineato alcuni decisivi elementi di prova a carico del ricorrente la cui
convergenza in senso accusatorio, che il ricorso oblitera nel tentativo di frammentare le accuse, giustifica sul piano logico-ricostruttivo e giuridico la decisione adottata dalla Corte in senso conforme al Tribunale.
1.3. Quanto alla rapina contestata al capo A, la Corte ha rilevato che il malvivente descritto dalla persona offesa – un impiegato di una ditta di vendita di bombole di gas, che era stato costretto ad accostare con il suo automezzo subendo la minaccia da parte di un uomo armato di pistola ed incappucciato, che lo aveva costretto a consegnargli l’incasso della giornata pari ad euro 345,00 – era a bordo di una Fiat Punto vecchio modello di colore nero, automobile della stessa marca, modello e colore di quella in uso all’imputato nel periodo di interesse.
Inoltre, il telefono in uso al ricorrente – dato che, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, è stato assunto come certo, nonostante l’apparecchio cellulare fosse intestato a terzo soggetto inesistente, avuto riguardo a quanto la sentenza ha precisato ai fgg. 17 e 18, a proposito del suo ritrovamento presso l’abitazione dell’imputato in esito a perquisizione, circostanza del tutto pretermessa nella ricostruzione difensiva – aveva agganciato, esattamente nell’orario della rapina, tutte (ed indistintamente, facendosi differenze in sentenza tra celle best server e non) le celle di Nicotera, proprio nel punto in cui era stato commesso il delitto e non le celle di Rosarno, dove l’imputato, come la persona offesa COGNOME, risiedevano.
E’ stata la già segnalata convergenza di tali dati accusatori a giustificare la condanna, con superamento di ogni altra obiezione di segno contrario.
1.4. Del pari, quanto alla rapina di cui al capo N – ai danni di un autotrasportatore, che veniva fermato da un uomo armato di pistola, a viso scoperto, il quale aveva aperto la cassaforte del mezzo prelevando euro 2800 – la Corte ha precisato che la persona offesa aveva indicato alcune lettere della targa dell’automobile usata dal rapinatore, indicazione che aveva consentito agli investigatori di risalire, tr le diciotto possibili combinazioni di numeri, ad una sola autovettura della marca e del modello corrispondenti all’automobile utilizzata per la rapina, una Fiat Panda, circostanza che aveva reso superfluo, ad onta di quanto ancora si sostiene in ricorso, ogni ulteriore accertamento sugli altri veicoli di marca e modello differenti.
Ebbene, l’unica auto Fiat Panda con una lettera P tra gli ultimi due numeri della targa, era quella che il ricorrente aveva noleggiato pochi giorni prima della rapina e restituito nella stessa giornata. Nell’orario in cui si era verificato il delitto mezzo, in base alla sua geo-localizzazione, si trovava in quel luogo, mentre era rimasto accertato, attraverso la visione di telecamere non distanti, che il ricorrente lo stesse utilizzando personalmente fino a circa un’ora prima.
Sulla confluenza accusatoria di tali dati oggettivi, il ricorso sorvola, valorizzand la circostanza che la persona offesa non aveva riconosciuto l’imputato sebbene il rapinatore avesse agito a volto scoperto, particolare che la sentenza ha superato richiamando le espresse dichiarazioni della vittima (fg. 24), secondo cui il malvivente, quando si era trovato al suo cospetto, aveva repentinamente girato il volto proprio per evitare di essere fissato in viso.
Ne consegue che il giudizio di responsabilità espresso dai giudici di merito è esente da censure.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Vero è che la sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 13 maggio 2024 emessa successivamente alla sentenza impugnata – impone oggi di valutare la possibilità di ritenere sussistente la circostanza della lieve entità del fatto anch per il reato di rapina.
Tuttavia, la Corte di appello ha messo in luce elementi concreti e specifici per ritenere che i giudici di merito abbiano considerato i fatti non di lieve entità, d momento che sono state sottolineate le modalità particolarmente aggressive dei delitti, l’uso di armi in pubbliche vie, l’entità non irrisoria del compendio delittuo (fg. 26); vale a dire che sono stati valorizzati alcuni dei parametri di valutazione indicati dalla Corte costituzionale ai fini della decisione di interesse (dal motivazione di quella decisione: “mette conto ribadire quanto già osservato nella sentenza n. 120 del 2023 a proposito dell’estorsione, cioè che gli indici dell’attenuante di lieve entità del fatto – estemporaneità della condotta, scarsità dell’offesa personale alla vittima, esiguità del valore sottratto, assenza di profil organizzativi – garantiscono che la riduzione della pena «sia riservata alle ipotesi di lesività davvero minima, per una condotta che pur sempre incide sulla libertà di autodeterminazione della persona» i punto 7.9. del considerato in diritto).
Tanto porta a ritenere che i fatti, nel merito, non siano stati giudicati di lie entità, con consequenziale non necessità di una nuova valutazione sul punto.
Quanto al terzo motivo, il ricorrente, in primo luogo, non ha interesse a dolersi della determinazione della pena base, inflitta nel minimo edittale previsto per la rapina aggravata di cui al capo A.
In secondo luogo, il ricorso è generico a proposito della applicazione della recidiva e del diniego delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte offerto congrua motivazione su entrambi i punti, valorizzando le gravi e ripetute modalità dei fatti e la personalità del ricorrente, in quanto soggetto attinto da numerosi precedenti penali anche specifici, dimostrativi della sua rinnovata pericolosità sociale e capacità a delinquere (fg. 26 della sentenza impugnata).
In proposito, si ricordi il principio secondo cui, in tema di recidiva facoltativa, richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda
la sussistenza della stessa (In motivazione la Corte ha chiarito che tale dovere risulta adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato) (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, Rv. 274782).
Inoltre, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 4790 del 16.1.1996, Romeo, h. 204768).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso, il 05/12/2024.