Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32911 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 32911 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA a VIGGIANELLO
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA a CASSANO ALLO JONIO
COGNOME NOME NOME NOME DATA_NASCITA a CASSANO ALLO JONIO
avverso la sentenza in data 03/12/2024 della CORTE DI APPELLO DI CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l ‘inammissibilità del ricorso di COGNOME NOME e per l’ annullamento della sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni in materia di circostanze attenuanti generiche pronunciate nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo esame, con rigetto nel resto dei ricorsi;
a seguito di trattazione in camera di consiglio, senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto
disposto dagli articoli 610, comma 5, e 611, comma 1bis e seguenti del codice di procedura penale.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, per il tramite del comune difensore e con ricorsi congiunti, impugnano la sentenza in data 03/12/2024 della Corte di appello di Catanzaro, che ha riformato la sentenza in data 23/11/2021 del Tribunale di Castrovillari, assolvendo per non aver commesso il fatto COGNOME NOME dai reati a lui ascritti ai capi GG, HH, II, JJ e COGNOME NOME dai reati a lui ascritti ai capi D) E) ed S) e riducendo la pena loro inflitta per i residui reati (capi T e V per NOME; capi T, U, W, CC, EE, FF, GG, HH, II, JJ per NOME); la sentenza di primo grado, invece, è stata confermata nei confronti di COGNOME NOME.
Il reato contestato in tutti i capi è quello di usura aggravata dall’approfittamento dello stato di bisogno della vittima e dell’attività imprenditoriale, con la recidiva specifica e infra-quinquennale nei confronti di COGNOME NOME e della recidiva reiterata e infraquinquennale.
1.1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 191 e 526 cod. proc. pen ., dell’art. 6 CEDU nonché dei principi di legalità processuale, oralità ed immediatezza della prova, per avere la Corte di appello fondato la decisione su dichiarazioni testimoniali rese nel primo giudizio, successivamente annullato dalla Corte di cassazione per nullità assoluta ex art. 415bis cod. proc. pen., con la conseguenza che tali dichiarazioni risultavano affette da vizio genetico insanabile.
La difesa rileva che, nel giudizio celebrato a seguito della declaratoria di nullità del processo con restituzione degli atti al giudice di primo grado, il Tribunale ha proceduto a una mera rinnovazione formale delle prove orali, assumendo nuovamente alcuni dei testimoni già escussi nel primo processo, ma limitando la loro audizione alla semplice conferma delle dichiarazioni rese in precedenza. In tal modo -si osserva -non vi è stata una nuova e piena formazione della prova nel contraddittorio tra le parti, bensì una surrettizia reintroduzione nel nuovo dibattimento di prove colpite da invalidità ab origine , in aperta violazione dell’art. 191 cod. proc. pen., che sancisce l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di legge, e dell’art. 526 cod. proc. pen., che prescrive che la prova debba formarsi in dibattimento nel contraddittorio.
Nel motivo si specifica che l a Corte di appello ha ritenuto legittima l’acquisizione e l’utilizzazione delle dichiarazioni rese nel primo processo, affermando che l’esame di alcuni testi era stato rinnovato nel nuovo dibattimento e che, per le precedenti deposizioni, l’utilizzabilità discendeva dal consenso espresso dalle parti alla loro acquisizione per lettura, con la conseguenza che la sanzione di
inutilizzabilità non poteva operare. A sostegno di tale conclusione la corte territoriale ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo la quale, in presenza del consenso delle parti, è esclusa la sanzione di inutilizzabilità.
I ricorrenti censurano tale motivazione, sottolineando che la difesa si è costantemente opposta, sin dall’inizio, a tale modalità di escussione, eccependo l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in un giudizio annullato per nullità assoluta e ribadendo la radicale invalidità delle trascrizioni dibattimentali assunte in quel contesto. Si sostiene che il consenso non può valere a sanare un vizio genetico insanabile, essendo le dichiarazioni già travolte dalla declaratoria di nullità disposta dalla Corte d i cassazione; e che la mera ‘conferma mnemonica’ resa dai testimoni non equivale a nuova formazione della prova, ma si traduce in una semplice ratifica meccanica di dichiarazioni viziate ab origine.
Secondo la difesa, la sentenza impugnata risulta pertanto viziata da erronea applicazione della legge processuale, avendo valorizzato un dato probatorio inutilizzabile, in violazione non solo degli artt. 191 e 526 cod. proc. pen., ma anche dell’art. 6 CEDU, che garantisce all’imputato il diritto ad un equo processo e a confrontarsi effettivamente con le prove a suo carico.
1.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 157 c od. pen., come modificato dalla legge n. 251 del 2005, nonché degli artt. 25, comma 2, Cost., 2 cod. pen. e 7 CEDU, per avere la Corte di appello applicato retroattivamente il regime prescrizionale introdotto dalla riforma del 2005, più sfavorevole rispetto alla disciplina previgente.
I ricorrenti assumono che la Corte territoriale ha fatto applicazione retroattiva del regime prescrizionale introdotto con la legge n. 251/2005, senza procedere ad autonoma determinazione del momento di consumazione dei singoli reati contestati ai capi GG), S), U), V), LL), collocati temporalmente, secondo le concordi dichiarazioni testimoniali, in epoca anteriore all’8 dicembre 2005 , tra il 2002 e il 2004, con conseguente maturazione della prescrizione prima della sentenza impugnata.
Si evidenzia, pertanto, che ai reati commessi anteriormente all’entrata in vigore della riforma del 2005 doveva applicarsi il più favorevole termine prescrizionale previgente, pari a sette anni e mezzo, il quale, computata l’eventuale interruzione, risultava spirato ben prima della pronuncia della sentenza di appello.
Si deduce, pertanto, l’erroneità della mancata declaratoria di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, in violazione del principio del favor rei e con vizio di motivazione per l’omessa ricostruzione cronologica dei fatti.
L’operata applicazione del termine ordinario decennale (aument ato di un quarto) ha così determiNOME l’esclusione della già maturata prescrizione, in violazione del principio di retroattività della lex mitior sancito dall’art. 2, comma 4, c od. pen. e dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 393 del 2006), oltre che
della garanzia convenzionale ex art. 7 CEDU di non soggiacere a trattamenti sanzioNOMEri peggiorativi per effetto di modifiche legislative sopravvenute.
1.3. Con il terzo motivo d’impugnazione si denuncia il vizio di omessa motivazione quanto all’esatta individuazione del tempus commissi delicti in ordine a ogni singolo fatto di reato , in spregio all’obbligo di motivare specificamente sul punto quando la collocazione temporale dei fatti sia controversa.
Si sostiene che i giudici hanno erroneamente valutato le emergenze probatorie, soprattutto in relazione alle dichiarazioni rese dai testimoni.
1.4. Con il quarto motivo d’impugnazione si denuncia la violazione del principio del favor rei per l’illegittimo automatismo nell’applicazione del regime introdotto dalla legge n. 251 del 2005.
Il motivo si rivolge nuovamente al regime prescrizionale applicabile al caso di specie e si assume che la Corte di appello ha disatteso l’obbligo di comparare la disciplina previgente con quella introdotta dalla legge n. 251 del 2005, al fine di verificare quale fosse la normativa più favorevole.
1.5. Con il quinto motivo d’impugnazione si denuncia la violazione dell’art. 111 Costituzione e dei principi del giusto processo, con compromissione del diritto alla prevedibilità della decisione e del ruolo garantista della prescrizione.
La denuncia così intitolata si fonda sulla mancata valutazione delle testimonianze, soprattutto in relazione alla collocazione temporale dei fatti, tra il 2002 e il 2004. Tale omissione, secondo i ricorrenti, avrebbe comportato «una violazione del diritto alla parità delle armi e alla tutela dell’affidamento legittimo dell’imputato, che deve poter prevedere le conseguenze giuridiche del proprio comportamento sulla base della legge vigente al momento del fatto e non su modifiche sopravvenute applicate arbitrariamente in giudizio».
1.6. Con il sesto motivo d’impugnazione viene denunciata violazione di legge e vizio di motivazione per erronea qualificazione giuridica delle condotte contestate come usura ex art. 644 cod. pen. piuttosto che come esercizio abusivo dell’attività finanziaria ex art. 132 TUB.
Secondo i ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe eluso il nodo concettuale e giuridico tra le due fattispecie, trascurando le dichiarazioni testimoniali che escludevano la pattuizione di interessi usurari e ridimensionavano il carattere economico delle operazioni, spesso frutto di rapporti personali o amicali. La decisione impugnata si sarebbe fondata su una motivazione apparente e meramente assertiva, trascurando la corretta sussunzione giuridica dei fatti, con violazione dei principi di tassatività e tipicità penale.
1.7. Con il settimo motivo d’impugnazione la violazione di legge, l’inosservanza di norma processuale, il vizio di motivazione in relazione all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., per il diniego delle circostanze attenuanti generiche, con conseguente violazione del divieto di reformatio in peius .
Secondo i ricorrenti, la Corte di appello ha revocato le circostanze attenuanti generiche già riconosciute in primo grado in forma equivalente, pur in assenza di gravame del AVV_NOTAIO ministero sul punto, così configurandosi una reformatio in peius .
Si aggiunge che la motivazione resa è stata apparente e illogica, non avendo la sentenza impugnata tenuto conto né del lungo tempo trascorso dai fatti, né della marginalità del contributo causale degli imputati, né della necessità di una valutazione individualizzata delle condizioni soggettive e oggettive degli stessi.
Sono pervenute memorie difensive a ulteriore sostegno dei motivi di ricorso e in replica alla requisitoria del procuratore generale, in ordine all’ utilizzazione delle prove dichiarative del primo processo, alla prescrizione, alla qualificazione giuridica delle condotte, al divieto di reformatio in peius , rispetto al quale ultimo i ricorrenti concordano con le conclusioni del procuratore generale
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili per plurime e autonome ragioni.
1.1. In primo luogo, va rimarcato come i ricorsi violino l’ineludibile esigenza di un ordiNOME inquadramento delle ragioni di censura nell’ambito dei vizi di legittimità deducibili ex art. 606 cod. proc. pen., con la quale mal si concilia l ‘ esposizione operata nell’impugnazione in esame , che esula dal percorso di una ragionata censura del percorso motivazionale del provvedimento impugNOME. Un’impugnazione così concepita e strutturata rende assai arduo il controllo di legittimità, e risulta già di per sé inammissibile, proprio per genericità di formulazione, laddove per genericità deve intendersi non solo l’ aspecificità delle doglianze, ma anche il tenore confuso e scarsamente perspicuo, che renda particolarmente disagevole la lettura (cfr., ex multis , Sez. 5, n. 32143 del 03/04/2013, Querci, Rv. 256085 -01, non massimata sul punto).
Tanto risulta particolarmente evidente in relazione ai motivi secondo, terzo, quarto e quinto che, come vedremo, oltre a essere del tutto privi di correlazione sia con i fatti processuali, sia con la motivazione della sentenza impugnata, si presentano come la sovrapposta, generica e confusa esposizione di principi generali che si assumono violati.
Va, dunque, ribadito che «è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione fondato su una caotica esposizione delle doglianze, dal tenore confuso e scarsamente perspicuo, che renda particolarmente disagevole la lettura e che esuli dal percorso di una ragionata censura della motivazione del provvedimento impugNOME» (così, Sez. 2, n. 7801 del 19/11/2013, dep. 2014, Hussien, Rv. 259063 -01; nello stesso senso, Sez. 2, n. 3126 del 29/11/2023, dep. 2024,
COGNOME, Rv. 285800 -01; Sez. 2, n. 29607 del 14/05/2019, COGNOME, Rv. 276748 -01; Sez. 2, n. 57737 del 20/09/2018, COGNOME, Rv. 274471 -01).
Pur in presenza di tale principale e assorbente motivo di inammissibilità dei ricorsi, vanno evidenziate le ulteriori ragioni di inammissibilità riferibili ai singoli motivi di ricorso.
1.2. Con il primo motivo d’impugnazione i ricorrenti si dolgono dell’acquisizione delle dichiarazioni rese nel procedimento annullato dalla Corte di cassazione in assenza di contraddittorio.
La medesima censura è stata sollevata con l’atto di appello e i giudici della Corte territoriale hanno dato compiuta risposta alla doglianza difensiva, per come riportato nello stesso motivo di appello.
I giudici della Corte territoriale, a tale proposito, hanno osservato che l’acquisizione delle trascrizioni degli esami precedentemente svolti dai testi COGNOME e COGNOME era avvenuta all’udienza del 23/2/2021 con il consenso delle parti; analogamente, per il teste COGNOME, all’udienza del 22/03/2016 , si era proceduto in modalità mista, con acquisizione tramite lettura delle dichiarazioni rese nell’altro dibattimento e diretta escussione in udienza, senza che la difesa nulla avesse eccepito in merito. Quanto al teste COGNOME, i giudici osservano che è stato sentito nuovamente all’udienza del 04/02/2020 e che il difensore , dopo un’iniziale opposizione, aveva dato il consenso all’acquisizione dei verbali .
A fronte dei rilievi della Corte di appello, il ricorrente contesta la veridicità di quanto affermato in sentenza riportando passaggi del verbale di trascrizione, riferiti all ‘ udienza del 04/02/2020, al fine di provare la fondatezza della lamentata opposizione all’utilizzazione delle dichiarazioni precedentemente rese ai fini della contestazione.
Attesa la natura processuale della questione sollevata, questo Collegio ha ritenuto opportuno esaminare gli atti e i verbali relativi all’acquisizione delle dichiarazioni di COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, di cui si denuncia l’inutilizzabilità.
Dall’esame di tali verbali , è emersa una verità processuale del tutto differente da quella rappresentata dalla difesa.
Tutti i testi, invero, sono stati chiamati a comparire in udienza e, in effetti, comparivano alle udienze del 04/02/2020 (COGNOME), del 23/02/2021 (COGNOME e COGNOME), del 15/07/2016 e del 04/12/2018 (in entrambe COGNOME), nel corso delle quali venivano messi a disposizione delle parti.
Con riguardo a COGNOME, risulta che, all’udienza del 04/02/2020, all’esito dell’opposizione dell’AVV_NOTAIO, il presidente del collegio decidente ha disposto l’esame del testimone che, in effetti, veniva sentito nel contraddittorio delle parti, visto che sia il AVV_NOTAIO ministero, sia lo stesso AVV_NOTAIO nell’interesse di COGNOME NOME da lui assistito oltre che nell’interesse di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, in quanto nomiNOME in sostituzione dell’AVV_NOTAIO
AVV_NOTAIO ai sensi dell’art. 97, comma 4, cod. proc. pen .- gli rivolgevano domande, così instaurandosi un contraddittorio pieno.
Con riguardo a COGNOME, questi compariva una prima volta all’udienza del 22/03/2016, nel corso della quale il presidente del collegio decidente chiedeva al AVV_NOTAIO ministero e all’AVV_NOTAIO (che all’epoca difendeva tutti e tre gli imputati insie me all’AVV_NOTAIO) se avessero domande da rivolgere al testimone. Pubblico ministero e difensore dichiaravano di non avere domande da rivolgere al teste. Lo stesso COGNOME compariva nuovamente all’udienza del 04/12/2018. Anche in questo caso il presidente del collegio giudicante chiedeva alle parti se avessero domande da rivolgere al testimone. In questo caso, mentre il AVV_NOTAIO ministero e l’AVV_NOTAIO dichiaravano di non avere altre domande, l’AVV_NOTAIO (odierna ricorrente) rivolgeva al testimone un serie di domande, compiutamente riportate nel verbale.
Veniva così realizzato un contraddittorio pieno, per come si dimostra dal fatto che l’AVV_NOTAIO esaminava il testimone rivolgendogli precise domande.
Con riguardo a COGNOME e COGNOME, emerge che entrambi i testimoni comparivano all’udienza e in relazione a entrambi il presidente del collegio giudicante chiedeva sia al AVV_NOTAIO ministero, sia all’AVV_NOTAIO, sia all’AVV_NOTAIO se avevano domande integrative da rivolgere ai testimoni. Tutti dichiaravano di non dover rivolgere ulteriori domande ed erano d’accordo ad acquisire i verbali delle dichiarazioni già rese dai testimoni.
Ancora una volta si rileva come è stata una libera scelta delle parti non rivolgere domande al teste, pur messo a loro disposizione per esame e controesame, secondo le regole del contraddittorio.
Ebbene, dall’esame dei verbali così compendiati, emerge che i testimoni delle cui dichiarazioni si denuncia l’inutilizzabilità, in realtà e diversamente da quanto esposto nel ricorso, sono stati sottoposti al contraddittorio delle parti nel nuovo giudizio, per come emerge nitidamente con le testimonianze di COGNOME e COGNOME, che hanno risposto alle domande rivolte sia dal AVV_NOTAIO ministero, sia dalla difesa RAGIONE_SOCIALE che dalla difesa COGNOME.
Diversamente da quanto sostenuto nell’atto di impugnazione, quindi, i testi venivano messi nuovamente a disposizione delle parti, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, che, nel caso specifico, si è concretizzato nell’opportunità offerta alle parti di risentirli, così che la scelta del AVV_NOTAIO ministero e degli avvocati di rivolgere ovvero di non rivolgere ulteriori domande è stato il frutto delle rispettive strategie accusatorie e difensiva, che li ha portati comunque ad accordarsi nel senso di acquisire le dichiarazioni già rese.
Da ciò discende l’inammissibilità del motivo d’impugnazione per un duplice ordine di ragioni.
Anzitutto il motivo è manifestamente infondato, perché smentito in fatto sia nella parte in cui si contesta la veridicità di quanto ritenuto dalla Corte di appello
(invero esattamente corrispondente alla realtà processuale), sia nella parte in cui si assume che le dichiarazioni sono state acquisite mediante lettura e con l’opposizione della difesa, mentre è emerso che i testimoni sono stati messi a disposizione delle parti, che hanno liberamente deciso di rivolgere domande (a COGNOME e a COGNOME) o meno (a COGNOME e a COGNOME) nella prospettiva della propria strategia difensiva, che ha condotto anche ad accordarsi con il AVV_NOTAIO ministero nel senso dell’acquisizion e delle dichiarazioni già rese.
Tanto porta alla seconda ragione di inammissibilità, in quanto i ricorrenti, negando la realità di quanto evidenziato nella sentenza impugnata, hanno eluso ogni confronto con le ragioni della decisione.
Da ciò deriva il vizio di aspecificità estrinseca, che si configura quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato o soltanto formalmente evidenziarle senza realmente confrontarsi con esse poiché in tal caso i motivi omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 4, n. 19634 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468 -01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710 -01; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 -01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568 -01; Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, COGNOME, Rv. 240109 -01).
1.3. Il secondo , il terzo, il quarto e il quinto motivo d’impugnazione si rivolgono alla prescrizione, censurandosi la collocazione temporale delle usure contestate ai capi GG), S) U), V) ed LL).
Tali motivi sono principalmente affetti dal vizio descritto al superiore paragrafo 1.1.
1.3.1. A ciò si aggiunga che i ricorsi sono manifestamente infondati nella parte in cui non considerano che a COGNOME NOME è stata contestata e ritenuta la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, mentre a COGNOME NOME è stata contestata e ritenuta la recidiva reiterata e infraquinquennale, ossia due circostanze a effetto speciale che hanno considerevoli ricadute in punto di determinazione del tempo necessario alla prescrizione, anche tenendo conto della normativa previgente rispe tto all’anno 2005 .
In forza di tali circostanze, infatti, il tempo necessario alla prescrizione sarebbe stato pari a ventisette anni, nove mesi e dieci giorni per COGNOME NOME e a venticinque anni per COGNOME NOME, così che, anche ove si volessero collocare i fatti nel 2002, ancora oggi non sarebbero prescritti (al netto delle cause di sospensione).
1.3.2. Lasciando in disparte tale rilievo, i motivi sono comunque manifestamente infondati e comunque non scrutinabili, in quanto meramente reiterativi delle identiche questioni già affrontata e risolte dal giudice di primo grado, dalla Corte
di appello e oggi riproposte in sede di legittimità, sulla base di una mera rivalutazione, in prospettiva difensiva, delle emergenze istruttorie.
In ordine al capo S), la corte, richiamando le pagine 26 e 27 della sentenza di primo grado, ha collocato la data di commissione del reato al 2007, in coincidenza con le date degli assegni consegnati in garanzia, successive al 2005, in quanto recanti date comprese tra il marzo e il giugno 2007.
Quanto al capo GG (HH, II e JJ), la Corte di appello, richiamando anche le pagine 52, 53 e 54 della sentenza di primo grado, ha osservato che dalla documentazione rinvenuta presso l’ufficio di COGNOME emergeva che i ratei di pagamenti scadevano sino a tutto giugno 2007. Il dato veniva confermato dalle copie degli assegni bancari consegnati in garanzia da NOME COGNOME, relativi al periodo 11 maggio 2004/ 16 luglio 2007, dalle conversazioni captate (in particolare progr. 4751 del 12.06.2007, progr. 3623 del 31.05.2007 e dalla testimonianza resa dalla stessa COGNOME.
Quanto al capo U, la Corte territoriale ha osservato che il dato cronologico emergeva dalla testimonianza di COGNOME, che aveva riferito che l’accordo usurario si era perfezioNOME nel 2007. A tale proposito, i giudici hanno peraltro evidenziato come le deduzioni difensive si fondassero su di una lettura parziale delle emergenze istruttorie e dibattimentali.
Quanto al capo V), la Corte di appello ha evidenziato che la deduzione difensiva era fondata su di una lettura parziale delle emergenze istruttorie e dibattimentali, con particolare riferimento alla testimonianza di COGNOME (sia pure costellata da contestazioni) e alle risultanze del l’intercettazione progr. n 4504 dell’8.06.2007 , dalle quali emergeva che il fatto si era protratto fino al 2007.
La Corte di appello, dunque, rilevando che i pagamenti dei ratei si erano prolungati fino al 2007, ha collocato in tale anno la consumazione dei delitti, facendo corretta applicazione del principio di diritto a mente del quale «il delitto di usura si configura come reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata, sicché i pagamenti o i comportamenti compiuti in esecuzione del patto usurario, non costituiscono un ” post factum ” non punibile ma segnano il momento consumativo del reato da cui computare il termine di prescrizione (Sez. 2, n. 35878 del 23/09/2020, COGNOME, Rv. 280313 -01).
I ricorrenti resistono a quanto ritenuto dalla Corte di appello senza confrontarsi con la motivazione e con le argomentazioni giuridiche della sentenza impugnata, cui oppongono una ricostruzione dei fatti alternativa a quella dei giudici della doppia sentenza conforme, senza considerare i principi di diritto fissati da questa Corte.
Da ciò discende l’inammissibilità del motivo perché anch’esso affetto da aspecificità esterna e perché con esso si denuncia, in sostanza, un travisamento del fatto, che non è scrutinabile in questa sede, atteso che «il giudice di legittimità, investito di un ricorso che proponga una diversa valutazione degli elementi di
prova (cosiddetto travisamento del fatto), non può optare per la soluzione che ritiene più adeguata alla ricostruzione dei fatti, valutando l’attendibilità dei testi e le conclusioni dei periti e consulenti tecnici, potendo solo verificare, negli stretti limiti della censura dedotta, se un mezzo di prova esista e se il risultato della prova sia quello indicato dal giudice di merito, sempre che questa verifica non si risolva in una valutazione della prova. (…)» (Sez. 4, n. 36769 del 09/06/2004, COGNOME, Rv. 229690 -01).
1.3.3. Con riguardo al capo LL, va osservato che con il gravame non veniva sollevata alcuna questione in relazione alla sua esatta collocazione temporale, che viene eccepita per la prima volta in sede di legittimità, richiedendosi accertamenti in punto di fatto che sono preclusi a questa Corte.
In tale senso, la questione deve considerarsi nuova e non devoluta davanti al giudice di primo grado, visto che con l’atto di gravame non vi è stata alcuna contestazione circa l’erroneità della data di commissione del reato così come indicata nel capo d’imputazione. Tanto ha comportato l’interruzione della catena devolutiva circa la questione in esame, dovendosi ribadire che «nel giudizio di legittimità, il ricorso proposto per motivi concernenti le statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello, con specifico motivo d’impugnazione, è inammissibile, poiché la sentenza di primo grado, su tali punti, ha acquistato efficacia di giudicato» (Sez. 3, n. 2343 del 28/09/2018, dep. 2019, Di Fenza, Rv. 274346 -01; Massime Conformi n. 4712 del 1982, Rv. 153578; n. 2654 del 1983 Rv. 163291 – 01).
1.4. A identica conclusione d ‘ inammissibilità si perviene in relazione al motivo con cui i ricorrenti denunciano il vizio di omessa motivazione in relazione alla questione relativa alla qualificazione giuridica dei fatti quale esercizio abusivo del credito e non come usura.
A tale riguardo, occorre anzitutto evidenziare che la questione veniva sollevata -in maniera eminentemente generica e apodittica- solo in relazione alla posizione di COGNOME NOME e non anche nei confronti degli altri coimputati.
A parte ciò, l ‘inammissibilità del motivo oggi in esame discende dall’inammissibilità del correlato motivo di gravame, in quanto con esso la difesa si limitava a enunciare la diversa qualificazione giuridica, basandosi su sporadici stralci di motivazione, senza specificare, in relazione a ogni singola vicenda usuraria contestata a COGNOME NOME, quali fossero gli elementi fattuali, dotati della concretezza e della univocità, che dovevano condurre il giudice dell’appello a ritenere che il giudice di primo grado avesse erroneamente qualificato i singoli fatti contestati nei singoli capi d’imputazione come usura piuttosto che come esercizio abusivo del credito.
Da ciò discende l’inammissibilità del motivo oggi esposto con il ricorso, dovendosi ribadire che «la inammissibilità dell’impugnazione non rilevata dal giudice
di secondo grado deve essere dichiarata dalla cassazione, quali che siano state le determinazioni cui detto giudice sia pervenuto nella precedente fase processuale, atteso che, non essendo le cause di inammissibilità soggette a saNOMEria, esse devono essere rilevate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento» (Sez. 3, n. 20356 del 02/12/2020, dep. 2021, Mirabella, Rv. 281630 -01, in fattispecie di inammissibilità dell’appello dovuta a tardiva presentazione dei motivi).
A ciò si aggiunga che la questione viene proposta in sede di legittimità con argomentazioni il cui esame della fondatezza dovrebbe passare attraverso la valutazione delle emergenze istruttorie, esame che è precluso al giudice della legittimità, per come spiegato al paragrafo 1.3.2.
1.5 . Con l’ultimo motivo d’impugnazione i ricorrenti si dolgono dell’esclusione delle circostanze attenuanti generiche, già riconosciute in primo grado in regime di equivalenza e pur in mancanza dell’appello del AVV_NOTAIO ministero sul punto.
Il motivo si rivolge alla sola posizione di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, giacchè tali circostanze attenuanti generiche erano già state negate in primo grado a COGNOME NOME.
A tale proposito, va osservato che il vizio denunciato è soltanto apparente, ove si consideri che il trattamento sanzioNOMErio in concreto applicato dalla Corte di appello, a dispetto del contenuto della motivazione, è comprensivo delle circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle aggravanti, per come previsto dal giudice di primo grado.
Invero, va ricordato che «in tema di reato continuato, il giudizio di comparazione fra circostanze trova applicazione con riguardo alle sole aggravanti ed attenuanti che si riferiscono al fatto considerato come violazione più grave, dovendo tenersi conto di quelle relative ai reati “satellite” esclusivamente ai fini dell’aumento di pena ex art. 81 cod. pen.» (Sez. 1, n. 13369 del 13/02/2018 , COGNOME‘Agostino, Rv. 272567 -01).
Ciò premesso, la Corte di appello, nel determinare la pena nei confronti di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, ha tenuto ferma la pena base individuata dal Tribunale, senza apportarvi alcuna modificazione, né in aumento, né in diminuzione, così facendola integralmente propria, per come risulta dal percorso seguito dai giudici in punto di trattamento sanzioNOMErio.
La Corte di appello, invero, ha riformato la sentenza di primo grado assolvendo NOME dai reati ascrittigli ai capi GG), HH), II) e JJ); ha confermato la sua condanna per i capi T) e V): ha ritenuto più grave il fatto contestato al capo V) e ha applicato la medesima pena base stabilita dal giudice di primo grado, ossia anni due di reclusione ed euro 10.000,00 di multa con il bilanciamento già effettuato e ha aumentato la pena di giorni venti ed euro 270,00 di multa, per la continuazione con il capo T), così pervenendo alla pena finale di anni due, giorni venti di reclusione ed euro 10.270,00 di multa.
La Corte di appello, poi, ha assolto NOME dai reati ascrittigli ai capi D), E) ed S) e ha confermato la sua condanna per i restanti capi: ritenuta più grave la violazione contestata al capo EE), ha applicato la medesima pena base stabilità dal giudice di primo grado, ossia anni due di reclusione ed euro 10.000,00 di multa con il bilanciamento di circostanze eterogenee già effettuato, e ha aumentato la pena di mesi uno, giorni quindici di reclusione ed euro 6.150,00 di multa per ciascuno dei fatti ulteriori ritenuti in continuazione, così pervenendo alla pena finale di anni due, mesi uno, giorni quindici ed euro 16.150,00 di multa.
L’esame del percorso seguito dalla Corte di appello fa emergere che, pur negate in motivazione le circostanze attenuanti generiche, esse sono state in realtà confermate in punto di determinazione della pena, essendosi fatto riferimento alla medesima pena base stabilita dal giudice di primo grado, come da quello determinata all’esito del bilanciamento tra circostanze eterogenee.
Da ciò discende che non si configura alcuna violazione del divieto di reformatio in pejus , per come emerge dal fatto che, coerentemente, non sono stati applicati aumenti sulla pena base in relazione alle aggravanti contestate e ritenute, evidentemente elise dalle circostanze attenuanti generiche, per come previsto dal Tribunale.
Da ciò la manifesta infondatezza del motivo.
Quanto esposto porta alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23/09/2025
Il Consigliere est. Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME