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Ricorso inammissibile: la Cassazione e la prescrizione

Un imprenditore, condannato per dichiarazione infedele con un’evasione milionaria, presenta ricorso in Cassazione. La Corte dichiara il ricorso inammissibile, chiarendo che non può riesaminare i fatti già valutati nei gradi di merito e che il tempo per la prescrizione non matura in caso di impugnazione inammissibile. La decisione conferma la condanna e stabilisce importanti principi procedurali.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: la Cassazione chiarisce i limiti del giudizio di legittimità

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione su quando un ricorso inammissibile viene dichiarato tale dalla Corte di Cassazione, specialmente in materia di reati tributari. La vicenda riguarda un imprenditore condannato per dichiarazione infedele che ha tentato di ribaltare la decisione basandosi su motivi ritenuti non appropriati per il giudizio di legittimità. Analizziamo la decisione per comprendere meglio i confini tra merito e legittimità e le conseguenze sulla prescrizione.

I Fatti del Processo

Un imprenditore veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 del d.P.R. n. 74 del 2000. L’accusa si fondava su prove concrete: l’imprenditore aveva omesso di registrare e dichiarare un imponibile di quasi 34 milioni di euro, con una conseguente evasione IVA di oltre 7 milioni di euro. Le prove a suo carico erano costituite da fatture emesse da un fornitore, dalla mancata registrazione delle stesse e da verifiche dirette presso i depositi fiscali dei prodotti commercializzati.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 30 aprile 2024, aveva confermato la condanna a due anni di reclusione, ritenendo pienamente provata la responsabilità penale dell’imputato.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato, non rassegnandosi alla condanna, ha proposto ricorso per Cassazione articolando due principali motivi:

1. Violazione di legge e vizio di motivazione: sosteneva che mancasse la prova degli elementi costitutivi del reato, sia dal punto di vista oggettivo (la materialità del fatto) che soggettivo (il dolo, cioè l’intenzione di evadere).
2. Mancato rilievo della prescrizione: lamentava che il reato si fosse ormai estinto per il decorso del tempo.

La Decisione della Cassazione: un Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 8975 del 2025, ha respinto completamente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza, ma si ferma a un livello procedurale, stabilendo che il ricorso non aveva i requisiti per essere esaminato.

La Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a versare una somma di 3.000 euro alla Cassa delle Ammende, ravvisando una colpa nella presentazione di un’impugnazione palesemente infondata.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha spiegato punto per punto perché entrambi i motivi di ricorso fossero insostenibili.

Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha sottolineato che le censure sollevate erano mere doglianze di fatto. L’imputato, in sostanza, chiedeva alla Cassazione di rivalutare le prove (fatture, mancate registrazioni) già ampiamente e correttamente esaminate dai giudici di merito. La Cassazione, tuttavia, è un giudice di legittimità, non di merito: il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non rifare il processo o offrire una lettura alternativa dei fatti. Le critiche erano generiche, riproduttive di argomenti già disattesi e prive di specifici riferimenti a travisamenti della prova.

Relativamente al secondo motivo, quello sulla prescrizione, i giudici lo hanno definito manifestamente infondato. Il reato era stato commesso il 30 settembre 2014 (data di presentazione della dichiarazione infedele). La sentenza d’appello è stata emessa il 30 aprile 2024, quindi entro il termine di prescrizione decennale. La Corte ha poi richiamato un principio consolidato, espresso dalle Sezioni Unite (sentenza n. 32 del 2000): in caso di ricorso inammissibile, il tempo trascorso tra la pronuncia della sentenza impugnata e la decisione della Cassazione non rileva ai fini della prescrizione. In altre parole, presentare un ricorso destinato all’inammissibilità non ‘congela’ utilmente il tempo per far maturare la prescrizione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce due principi fondamentali della procedura penale. Primo: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. Le doglianze devono riguardare violazioni di legge o vizi logici evidenti della motivazione, non un semplice dissenso sulla valutazione delle prove. Secondo: la presentazione di un ricorso palesemente inammissibile non solo non porta alcun beneficio, ma comporta la condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria, e soprattutto non permette di guadagnare tempo per la prescrizione. La decisione serve da monito: le impugnazioni devono essere fondate su solide argomentazioni giuridiche, altrimenti si risolvono in una perdita di tempo e risorse, con conseguenze negative per il ricorrente.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate erano mere doglianze di fatto, che chiedevano alla Corte di Cassazione una nuova valutazione delle prove già esaminate correttamente dai giudici di merito. Tale attività non è consentita nel giudizio di legittimità.

Come viene calcolata la prescrizione in caso di ricorso inammissibile?
Secondo un principio consolidato della giurisprudenza, il tempo che trascorre dalla data della sentenza impugnata fino alla decisione della Cassazione non viene conteggiato ai fini della prescrizione se il ricorso viene dichiarato inammissibile. Pertanto, presentare un ricorso infondato non aiuta a far estinguere il reato.

Quali prove sono state considerate sufficienti per la condanna per dichiarazione infedele?
La condanna si è basata su prove univoche e pienamente utilizzabili, quali le fatture emesse dal fornitore, la mancata registrazione contabile delle stesse da parte dell’imputato e le constatazioni effettuate presso i depositi fiscali dei prodotti energetici commercializzati, che hanno confermato l’enorme entità dell’imponibile non dichiarato e dell’IVA evasa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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