Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4252 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 4252  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato in Albania il DATA_NASCITA
NOME COGNOME, nato in Albania il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Lamezia Terme il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Lamezia Terme il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/05/2023 della Corte di appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino rideterminava la pena in quattro anni, nove mesi e dieci giorni di reclusione (a seguito di riduzione
per il rito), nonché 20.000 euro di multa, nei confronti di NOME, confermando nel resto la condanna per i delitti di cessione di sostanze stupefacenti (art. 73, comma 1, d.P.R. 09/10/1990, n. 309) di cui ai capi di impul:azione C.1); C.2); C.3)
Riduceva la pena in due anni di reclusione e 1600 euro di multa (a seguito di riduzione per il rito) nei confronti di NOME, concedendogli il beneficio del sospensione condizionale, in relazione al delitto di cessione di sostanze stupefaceti, c.d. fatto lieve (art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 cit.), di cui al capo C.2).
Assolveva NOME COGNOME e NOME COGNOME dal reato (art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 cit.) di cui al capo A.2-3), limitatamente alle cessioni a favore di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, per non aver commesso il fatto, e dal reato di cui al capo A.3) perché il fatto non sussiste, rideterminando la pena per le residue imputazioni (riqualificate in primo grado in art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990) in un anno e otto mesi di reclusione, nonché 1.600 euro di multa, per ciascuno degli imputati, concedendo loro il beneficio della sospensione condizionale della pena e confermando nel resto la sentenza di condanna di primo grado per le cessioni di cui ai capi A.1); A.1-1); A.1-2); A.2); A.2-1); A.2-3); A.3).
Per una più agevole comprensione dei ricorsi, si precisa che nei giudizi di merito è stato accertato come l’attività di spaccio venisse svolta nel bar di NOME COGNOME, dove questi e suo fratello NOME COGNOME si rifornivano di stupefacente, tra gli altri, dai cugini NOME e NOME (i quali, a loro volta, lo ottenevano tale NOME, avvalendosi anche della collaborazione di terzi), per poi cedere la sostanza a svariati acquirenti.
Avverso la sentenza NOME ha presentato ricorso, per il tramite dell’AVV_NOTAIO.
Con l’unico motivo presentato è stata dedotta errata applicazione della legge penale e contraddittorietà di motivazione in rapporto alla pena.
Gli artt. 132 e 133 cod. pen. obbligano il giudice a motivare l’esercizio del suo potere discrezionale della determinazione della pena, nel rispetto del principio di rieducazione del condannato e, dunque, tenendo conto delle sue caratteristiche personologiche.
Nel caso di specie, la Corte di appello di Torino, pur accogliendo il motivo sulla pena, ha fissato quest’ultima in una misura eccessiva (quattro anni, nove mesi e dieci giorni di reclusione), posto che: l’imputato è incensurato; non ha dato adito a doglianze; al momento dei fatti era di giovane età; i fatti a lui contestati non
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appaiono così gravi da giustificare una condanna così pesante, anche alla luce dell’insegnamento di sent. Corte cost. n. 42 del 2019.
D’altronde, al coimputato NOME, che pur aveva una posizione più grave (era il fornitore dello stupefacente del NOME), è stata irrogata una pena sensibilmente più bassa.
La sentenza è stata impugnata anche da NOME che, per il tramite del suo difensore, AVV_NOTAIO, ha articolato due motivi di ricorso.
3.1. Maturazione della prescrizione del reato prima della scadenza del termine per la proposizione del ricorso.
NOME era stato rinviato a giudizio per rispondere di tre distinte condotte di cessione di sostanze stupefacenti consistenti: 1) nell’aver acquistato per finalità di spaccio 110 g di cocaina da NOME in data 20/03/2016; 2) nell’aver, in epoca compresa tra il 29/11/2015 e il 29/03/2016, in almeno cinque occasioni (29/11/2015; 04/12/2015; 12/12/2015; 17/12/2015; 22/12/2015), acquistato per finalità di spaccio quantitativi imprecisati dli cocaina; 3) nell’aver, dal dicembre 2015 al 29/03/2016, ceduto quantitativi imprecisati di cocaina non inferiori a 20 grammi per volta per un ammontare complessivo di 2.400 eunD.
All’esito del giudizio abbreviato, il Giudice per l’udienza preliminare, riconosciuta l’ipotesi di cui all’ad 73, comma 5, d.P.R. n. :309 del 1990 cit., condannava l’imputato a tre anni di reclusione e 5.000 euro di multa.
Il capo di imputazione è stato correttamente riferito all’originaria richiesta di rinvio a giudizio, che comprendeva i punti 1)’ 2) e 3) del capo c) e si protraeva fino al 29/03/2016, perché in quella data si consumava il reato previsto dal capo c), nn. 1 e 3.
Una volta intervenuta l’assoluzione per il capo c), nn. 1) e 3), il tempus commissi delicti si riduceva però all’arco temporale previsto dal n. 2), compreso tra il 29/11/2015 e il 22/12/2015, dal momento che per il solo COGNOME NOME la condotta è proseguita fino all’arresto del COGNOME, in data 29/03/2015, mentre COGNOME NOME era uscito di scena dopo l’ipotetico acquisto di sostanza stupefacente il 22/12/2015, data dell’ultimo dei cinque episodi di acquisto segnalati e momento oltre il quale non è possibile protrarre, quindi, il tempus commissi delicti.
D’altronde, quand’anche NOME avesse combinato l’incontro con l’imputato per questioni attinenti alla sostanza stupefacente, è verosimile che quest’ultimo, durante l’incontro, si fosse limitato a comunicargli che non era in grado di rifornirlo di stupefacenti, stante la documentata interruzione dei rapporti con il fornitore.
Nemmeno il colloquio tra NOME e NOME, il 05/02/2016, è significativo, tanto da non essere neppure annoverato fra le cessioni indicate nel capo di imputazione di cui alla lett. c), n. 2, posto che, nella conversazione tra i due, NOME parrebbe
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interessato a incontrare NOME, mentre quest’ultimo si limita a rispondergli «cosa ti devo dire… Non lo so neanche io».
Essendosi verificata l’ultima cessione il 22/12/2015, alla data del 22/06/2023, non erano ancora scaduti i termini per la presentazione dell’impugnazione (l’udienza si è tenuta il 05/05/2023, la motivazione è stata depositata nei 15 giorni successivi e il termine per impugnare sarebbe scaduto il 19/06/2023, con aggiunta di giorni 15 ai sensi degli artt. 585, comma 1-bis e 598-ter cod. proc. pen.).
Nel caso in esame, il termine per impugnare sarebbe scaduto il 04/07/2023: data in cui erano già maturati sette anni e mezzo (termine d prescrizione per il “fatto lieve”) decorrenti a partire dal 22 dicembre 2015.
3.2. Carenza e illogicità della motivazione.
I Giudici dell’appello sono venuti meno all’obbligo di motivazione in punto di commisurazione della pena.
Per un verso, infatti, hanno affermato che la posizione del ricorrente è secondaria rispetto a quella di NOME e che non vi sono dati certi sull’entità dei quantitativi trattati – dato cui va aggiunto che la sua condotta ha impegnato un lasso temporale limitato (non superiore alla quarantina di giorni) – e che, non essendosi proceduto al sequestro della sostanza stupefacente, non era nemmeno certo che la droga ceduta non fosse leggera.
Dall’altra parte, hanno precisato che «l’imputato si colloca in una fascia intermedia dei trafficanti di stupefacente» e, a fronte di una pena minima di sei mesi per il c.d. fatto lieve, hanno fissato invece la pena base in due anni e nove mesi, che diventano tre anni per la continuazione interna, avvicinandosi, quindi /al massimo edittale (quattro anni), in assenza – come eccepito – di coerente motivazione.
Il ricorso presentato da NOME COGNOME, per il tramite dal difensore, AVV_NOTAIO, consta di un unico motivo in cui si deduce violazione degli artt. 192, comma 2, cod. proc. pen. e 533, comma 1, cod. proc. pen. e mancanza di motivazione, in relazione alla partecipazione concorsuale dell’imputato alle condotte delittuose materialmente ascritte a suo fratello, NOME COGNOME.
Premesso che, già in appello, la difesa aveva rilevato come l’accordo non risultasse provato, l’ipotesi accusatoria fondandosi esclusivamente su rapporto di parentela e sui contatti che, come accade normalmente fra NOME, gli imputati avevano avuto tra loro, è stato eccepito quanto segue.
4.1. Quanto al punto 3.1.1.), secondo la Corte di appello, le conversazioni e i messaggi proverebbero l’esistenza di un accordo criminoso. Tuttavia, si tratta di
conversazioni e messaggi dal contenuto non univoco, nemmeno riscontrate dal sequestro della sostanza stupefacente.
E’ mancata, nella sentenza, qualsiasi indicazione dei risultati acquisiti e, soprattutto, dei criteri adottati per la valutazione delle prove indiziarie, né è dat sapere con ragionevole certezza se le conversazioni e i messaggi si riferissero effettivamente a sostanza stupefacente e di quale genere, essendosi la Corte di appello limitata ad asserire l’esistenza di plurimi elementi di prova, peraltro smentiti dai modestissimi quantitativi di sostanza stupefacente sequestrata soltanto a carico del fratello del ricorrente, NOME COGNOME.
Ancor meno, la motivazione ha dato ragione degli elementi di prova posti a fondamento della responsabilità in rapporto alla finalizzazione alla cessione a terzi della detenzione (non provata, in mancanza di sequestri significativi).
In altri termini, anche a ritenere accertato oltre ogni ragionevole dubbio che i due NOME, in concorso tra loro, acquistassero sostanza stupefacente, agli atti risulta la prova, parziale, di un solo atto di cessione, in particolare a tale COGNOME il quale avrebbe poi affermato di aver acquistato droga dal ricorrente anche in tempi precedenti, circostanza tuttavia smentita dal fatto che le intercettazioni telefoniche in corso per lungo tempo non hanno mai evidenziato contatti telefonici tra i due.
4.2. Quanto al punto 3.1.2.), occorre distinguere tra gli acquisti compiuti da NOME e quelli compiuti da NOME.
In relazione ai primi, la considerazione della Corte di appello secondo cui né NOME COGNOME né NOME hanno contestato la fondatezza delle accuse loro rivolte riguardo alle cessioni ai NOME, oltre a non essere corretta, non ha rilevanza probatoria, non essendo configurabile una chiamata in correità “implicita”.
Per contro, le conversazioni indicate quali prove dei fatti hanno un contenuto equivoco, soprattutto in assenza di significativi sequestri di sostanza stupefacente.
Innanzitutto, la conversazione tra NOME COGNOME e NOME COGNOME del 10/12/2015 non fa alcun riferimento a NOME.
Inoltre, secondo l’ipotesi accusatoria, NOME COGNOME sarebbe stato il fornitore di sostanza ai NOME COGNOME: circostanza che, ove veritiera, sarebbe in contrasto con l’ipotesi che i COGNOME acquistassero anche da NOME, non avendo senso che il fornitore di stupefacenti indirizzasse un proprio cliente ad altro fornitore. Il che destituisce di fondamento la valutazione della Corte sul significato delle telefonate e dei messaggi intercettati.
Infine, non vi è prova dei supposti rapporti fra NOME COGNOMENOME e NOME, ad eccezione della circostanza che questi si sia incontrato con NOME COGNOME presso il bar gestito da NOME.
In relazione agli acquisti fatti da NOME, la Corte di appello ha trascurato di considerare che quest’ultimo è stato assolto a seguito di giudizio abbreviato. Trattasi di sentenza passata in giudicato con la quale gli specifici fatti di acquisto da NOME sono inconciliabili, al punto che la circostanza potrebbe costituire oggetto di futura revisione (art. 630, comma lett. a, cod. proc. pen.).
In ogni caso, le circostanze di fatto evidenziate dalla sentenza impugnata non hanno valenza probatoria, essendo generiche ed inconsistenti.
I giudici di merito, infatti, si sono limitati a trascrivere il contenut conversazioni e messaggi, senza fornire motivazione riguardo i criteri utilizzati per la valutazione della prova.
4.3. Quanto al punto 3.2.), la Corte ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado con riferimento ad alcune condotte contestate al capo A-2-3), confermandola per altre.
Anche in questo caso, tuttavia, in mancanza di sequestro e quindi della prova diretta del possesso degli stupefacenti, la convinzione dei Giudici di secondo grado si è fondata esclusivamente sul contenuto di alcune conversazioni, senza dar conto dei criteri usati per la loro valutazione e delle ragioni che hanno indotto a ritenere la responsabilità dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio.
I contenuti delle conversazioni appaiono, infatti, neutri e, per di più, sono state pretermesse le dichiarazioni discolpanti rese da alcuni ipotetici acquirenti (COGNOME NOME; COGNOME NOME; COGNOME NOME, COGNOME NOME), ritenute semplicemente non credibili.
4.4. Riassuntivamente, oltre ad incorrere in una motivazione apodittica, la Corte di appello ha trascurato: che il ricorrente non aveva mai ricevuto segnalazioni, non aveva a carico procedimenti né precedenti di polizia riferibili ad attività di detenzione e cessione di stupefacenti, e che non ne ha avuto nemmeno in seguito; che molti episodi di cessione sono stati smentiti dalle dichiarazioni raccolte dalla polizia giudiziaria; che tali episodi non hanno trovato riscontro in sequestri, nonostante le perquisizioni effettuate / le quali hanno condotto al rinvenimento di una modesta quantità di hashish destinata ad uso personale; che nemmeno sono stati riscontrati da scambi di denaro, se non con riferimento alle sommarie informazioni testimoniali rese da COGNOME, dal contenuto peraltro generico.
Di conseguenza, in presenza di intercettazioni dal contenuto equivoco ed in assenza di qualunque riscontro, non avrebbe potuto affermarsi la responsabilità dell’imputato per i reati ascritti.
AVV_NOTAIO presenta ricorso per cassazione anche nell’interesse di NOME COGNOME, articolando un unico motivo di ricorso,
quasi del tutto sovrapponibile a quello presentato nell’interesse di NOME COGNOME, in cui deduce violazione degli artt. 192, comma 2, coi proc. pen. e 533, comma 1, cod. proc. pen. e mancanza di motivazione in relazione alla partecipazione concorsuale dell’imputato alle condotte delittuose materialmente ascritte al fratello, NOME COGNOME, lamentando come, anche in questo caso, la difesa avesse rilevato la mancata prova dell’accordo (i contatti tra NOME essendo affatto normali).
Quanto al punto 3.1.1), anche qui si eccepisce il carattere equivoco delle captazioni e la mancata indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati pe la valutazione delle prove indiziarie, considerato che non si sapeva con ragionevole certezza se si trattasse effettivamente di sostanza stupefacente, né di quale genere, ed essendo stati sequestrati quantitativi modestissimi di sostanza stupefacente. Si ribadisce, inoltre, che agli atti risulta soltanto la prova, peralt parziale, di un solo atto di cessione a RAGIONE_SOCIALE.
Quanto al punto 3.1.2) e agli acquisti da NOME e da NOME, si ribadisce l’inutilizzabilità della chiamata in correità “implicita” fatta da coimputati, insistendo sul carattere equivoco delle conversazioni indicate quali prove dei fatti – tanto più in assenza di significativi sequestri di sostanza stupefacente – e sul fatto che la Corte di appello ha trascurato di considerare che NOME è stato assolto a seguito di giudizio abbreviato, con sentenza passata in giudicato.
In relazione ai punti 3.2) e 3.3), i contenuti delle conversazioni risultano neutri, avendo peraltro la Corte di appello anche qui pretermesso le dichiarazioni discolpanti di alcuni ipotetici acquirenti (NOME COGNOME; NOME COGNOME; NOME COGNOME NOME COGNOME), ritenute non credibili.
Per le altre contestazioni il ricorrente ha osservato che la Corte ha richiamato le motivazioni svolte con riferimento a NOME, il fratello del ricorrente, e rinvia pertanto, alle considerazioni svolte nel relativo atto di impugnazione.
Quanto al punto 3.5), la circostanza che un’unica persona (NOME) avesse riferito di acquisti di cocaina da NOME COGNOME confligge con l’ipotesi accusatoria secondo cui il ricorrente e il fratello avessero in corso un’intensa attività di spaccio.
Piuttosto, il ricorrente faceva uso di cocaina, sicché gli acquisti, peraltro non dimostrati ma emergenti da un’interpretazione non univoca delle intercettazioni, ammesso che vi siano stati, avrebbero riguardato quantitativi modesti. Si precisa, inoltre, che, a volte, il ricorrente acquistava anche per conto del suo amico NOME, anch’egli consumatore di cocaina.
I modestissimi sequestri effettuati a carico del ricorrente sono compatibili con tale ricostruzione e, pur non escludendo la sussistenza dell’illecito, ne ridimensionano tuttavia molto la gravità.
Infine, la sentenza impugnata è priva di motivazione quanto alla prova che la cocaina sequestrata all’interno della vettura del ricorrente, in data 10/11/2015, fosse destinata alla cessione a terzi. Né la Corte di appello ha replicato alla censura secondo cui appare improbabile che NOME secondo l’ipotesi accusatoria dedito continuativamente alla cessione di droga – avesse conservato la sostanza una notte e un giorno nella propria autovettura (circostanza la quale avrebbe denotato una certa “superficialità”) e che persone le quali svolgono regolarmente attività di spaccio acquistino quantitativi modesti di sostanza stupefacente.
Anche in questo ricorso si conclude osservando come, oltre ad incorrere in una motivazione apodittica, la Corte di appello non avrebbe dovuto ritenere la responsabilità penale dell’imputato, avendo trascurato: che il ricorrente non aveva mai ricevuto segnalazioni, non aveva a carico procedimenti né precedenti di polizia riferibili ad attività di detenzione e cessione di stupefacenti, e che non ne ha avuto nemmeno in seguito; che molti episodi di cessione sono smentiti dalle dichiarazioni raccolte dalla polizia giudiziaria; che essi non sono stati riscontrati da sequestri, nonostante le perquisizioni effettuate e che hanno condotto al rinvenimento di una modesta quantità di cocaina, compatibile con le contestate cessioni a RAGIONE_SOCIALE; che nemmeno sono stati riscontrati da scambi di denaro, se non in relazione alle sommarie informazioni testimoniali rese da RAGIONE_SOCIALE, dal contenuto peraltro generico.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il AVV_NOTAIO generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
NOME ha presentato conclusioni scritte con cui ha replicato alle deduzioni del AVV_NOTAIO Generale sulla genericità del motivo in tema di prescrizione, precisando altresì che non ci sono state sospensioni a causa dell’emergenza Covid.
Anche NOME ha presentato conclusioni scritte, insistendo sull’eccessività della pena, soprattutto se confrontata con quella di altro coimputato.
Nelle conclusioni presentate da NOME COGNOME e NOME COGNOME si chiede di accertare l’avvenuta prescrizione di parte dei reati contestati e, per gli altri, di annullare la sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME è manifestamente infondato.
1.1. Come ricordato anche dal ricorrente, la Corte di appello aveva già provveduto a diminuire la pena, richiamando l’insegnamento di Corte cost. n.
40/2019 e precisando di dover però considerare, ai fini della commisurazione: l’entità del quantitativo di cocaina sequestrato il 29/03/2016 e l’arco temporale entro il quale si è protratta la condotta (la quale si è estesa quantomeno dal novembre 2015 al marzo 2016).
Sebbene, a proposito del diniego delle attenuanti generiche, la Corte di appello avesse inoltre già precisato come non fosse emerso alcun elemento di segno positivo a favore dell’imputato, che l’incensuratezza non era elemento sufficiente e che il comportamento processuale di NOME non meritava apprezzamento, essendosi egli avvalso della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio e non avendo mostrato il benché minimo sintomo di resipiscenza. Ed aveva aggiunto che l’imputato, all’epoca dei fatti, aveva già 27 anni ed era inserito nel mondo lavorativo (svolgendo attività di carpentiere).
Ricordato, dunque, che il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME Crescenzo, Rv. 281590), la commisurazione della pena si risolve per larga parte in un giudizio di fatto che sfugge al sindacato di questa Corte.
1.2. Quanto, poi, al confronto con la pena irrogata al coimputato, a prescindere dal fatto che, in tema di ricorso per cassazione, il diverso trattamento sanzionatorio riservato, nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3, n. 9450 del 24102/2022, Palladino, Rv. 282839) – ciò che nel caso di specie non accade -, i Giudici di secondo grado avevano già obiettato che NOME COGNOME aveva definito la sua posizione con concordato in appello e che reputava a tale ipotesi estensibile la massima di legittimità per cui non rappresenta indice di vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato ai coimputati la cui posizione sia stata definita mediante patteggiamento, perché tale rito conduce ad una decisione che si fonda su valutazioni del tutto particolari, le quali tengono anche conto del risparmio processuale conseguente alla scelta di una forma di definizione del processo alternativo al dibattimento (Sez. 6 n. 21019 del 18/05/2021, rv. 281508).
Di conseguenza, non essendosi confrontato con tali argomentazioni, non illogiche né incomplete, il ricorso appare, sotto questo profilo, pure generico.
Anche il ricorso di NOME è inammissibile.
2.1. Invertendo l’ordine impresso ai motivi dal ricorrente e muovendo quindi dal secondo, sulla determinazione della pena, le deduzioni difensive sono manifestamente infondate e generiche.
È vero che la Corte di appello riconosce che: «la posizione di NOME risulta secondaria rispetto a quella di NOME e che non vi sono dati certi sulla entità dei quantitativi trattati».
Proprio in ragione di tali elementi, va ritenuta però congrua «una pena più contenuta rispetto a quella individuata dal primo giudice, pur tenendo conto che NOME si colloca nella fascia intermedia dei trafficanti di stupefacente».
A ciò si aggiunga che, analogamente alla posizione del cugino NOME, con motivazione esente da vizi, i Giudici dell’appello, nel confermare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, escludono il rilievo delle deduzioni difensive (precisando, anche in questo caso, che, pur avendo l’imputato reso interrogatorio davanti al Giudice dell’udienza preliminare, egli non ha tuttavia fornito alcun contributo utile alla ricostruzione dei fatti né dato segno di resipiscenza, non rilevando neppure il fatto che avesse un impiego, le condizioni economiche non precarie essendo state ritenute, piuttosto, indicative di una personalità non positiva).
2.2. Ciò premesso, la valutazione delle deduzioni sulla intervenuta prescrizione del reato risulta preclusa a questa Corte.
Infatti, secondo Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. Rv. 217266, l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.
I ricorsi presentati nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, per larga parte sovrapponibili anche dal punto di vista testuale, possono essere trattati congiuntamente.
In disparte le eccezioni relative alla non configurabilità del c:oncorso di persone nel reato – che si risolvono nella sollecitazione di un diverso apprezzamento del compendio probatorio, non realizzabile in questa sede -, le deduzioni difensive relative alla violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. si basano sostanzialmente sul presupposto che i sequestri abbiano riguardato piccole dosi di stupefacente e che le intercettazioni siano equivoche.
Tali deduzioni sono però versate in fatto e finiscono anch’esse con il presupporre una valutazione alternativa delle risultanze preclusa a questa Corte, la quale è giudice di mera legittimità, vieppiù considerato che, se è vero che nelle captazioni non si parla espressamente di droga, ciò nondimeno, l’allusione alla
sostanza stupefacente traspare chiaramente dal linguaggio artificiosamente e a tratti anche maldestramente criptico usato dai conversanti.
Così accade, quanto al punto 3.1), nelle plurime conversazioni con un cliente (NOME COGNOME) e in quelle tra i NOME COGNOME, nonché nei dialoghi tra questi il fornitore COGNOME, e lo stesso dicasi degli acquisti fatti dai COGNOME presso NOME, NOME COGNOME e NOME.
Qui, peraltro, la sentenza dà ampiamente conto degli incontri tra i fornitori sia con NOME, sia NOME NOME COGNOME (il primo, a ridosso di uno di tali incontri, viene trovato anche in possesso di una busta con 5,9 g di cocaina).
La Corte d’appello tratta anche dell’esito assolutorio del giudizio dibattimentale a carico di NOME, su cui molto insistono i ricorsi, ma reputa ciò nondimeno le intercettazioni comunque inequivoche sulla base di argomentazioni immuni da vizi riconoscibili in questa sede. Né, invero, nel ricorso si precisano le ragioni dell’assoluzione, con conseguente vizio di aspecificità del motivo.
Né appare irrilevante che le intercettazioni abbiano trovato riscontro in appostamenti e perquisizioni personali, che confermano i contatti con il fornitore e la successiva attività di fornitura della cocaina a RAGIONE_SOCIALE, quando NOME COGNOME viene trovato in possesso di 3,4 grammi di cocaina. E così via.
Considerazioni analoghe valgono a proposito del punto 3.2), dove la sentenza impugnata argomenta con riferimento ai singoli acquirenti dei NOME NOME e, in particolare, tra i molti, a: NOME COGNOME, con cui NOME ha plurimi contatti ed al quale questi dà appuntamento; NOME COGNOME, che con NOME ha un debito e che NOME minaccia per tale ragione di violenza fisica e di non fargli prendere più la “macchina” (precisa la Corte di appello che neppure COGNOME è stato sentito, ma che le conversazioni sono esplicite ed attribuisce quindi a tale intercettazione una valenza retrospettiva); NOME COGNOME, dalla conversazione con il quale emerge chiaramente l’esistenza di pregressi rapporti con NOME; NOME COGNOME, altro debitore minacciato da NOME COGNOME perché si rifiuta di pagare la merce acquistata (peraltro, l’elenco della sentenza di appello continua, citando anche NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME).
Quanto al punto 3.3), le cessioni a COGNOME sono comprovate dal sequestro di cocaina e dalle dichiarazioni dello stesso acquirente.
In relazione al punto 3.5), i cui fatti sono attribuiti al solo NOME COGNOME nella sentenza si richiamano numerose telefonate intercorse tra l’imputato e il cliente NOME, mentre, alla dedotta ipotesi di consumo personale, nella motivazione che già, seppur sinteticamente, metteva in luce, in precedente passaggio, la correlazione tra l’incontro con NOME, il giorno precedente, per pochi secondi all’interno dell’auto, e il ritrovamento, il giorno successivo, della cocaina, si replic osservando – con motivazione non illogica – che l’ipotesi di c:onsumo personale
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era smentita anche dalle modalità della detenzione, tenuto conto che la droga era trasportata e che all’interno dell’auto è stato trovato un bilancino recante tracce della sostanza.
In definitiva, risultando le intercettazioni eloquenti nel loro contenuto, anche in ragione della captazione dei colloqui con numerosi clienti, molti dei quali abituali, a prescindere dai riscontri alle conversazioni medesime, la sentenza impugnata, anche in assenza di sequestri di quantitativi significativi di droga, correttamente giunge a ritenere provata al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità degli imputati, nel pieno rispetto dell’elevato standard probatorio richiesto in materia di c.d. droga parlata (Sez. 4, n. 20129 del 25/06/2020, COGNOME, Rv. 279251; Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270299).
I ricorsi sono, per tali ragioni, inammissibili.
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19/12/2023