Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22022 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22022 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dalla parte civile COGNOME NOMECOGNOME nato a Barletta il 14/01/1963 nel procedimento a carico di
COGNOME NOMECOGNOME nato a Barletta il 01/04/1965
COGNOME NOMECOGNOME nato a Barletta il 14/08/1976
avverso la sentenza del 16/09/2024 della Corte di appello di Lecce;
letti gli atti del procedimento, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni del difensore dell’imputato COGNOME, avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;
letta la memoria di replica, con le relative conclusioni, depositata dal difensore della parte civile ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La parte civile NOME COGNOME attraverso il proprio difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Lecce in epigrafe indicata, che ha confermato
l’assoluzione di NOME COGNOME e NOME COGNOME dall’imputazione di tentata concussione, per la ritenuta insussistenza del fatto.
1.1. Tra COGNOME e COGNOME, allora magistrato in servizio alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani, era insorto un contrasto per ragioni patrimoniali, con varie ricadute giudiziarie. In particolare, poi, in questo contesto di aspra conflittualità, COGNOME – secondo l’accusa – aveva sollecitato COGNOME a presentare una denuncia nei confronti di COGNOME, dalla quale erano scaturite, a carico di quest’ultimo, un’indagine per bancarotta, avviata da quella stessa Procura della Repubblica, nonché, pochi mesi dopo, la dichiarazione di fallimento. Quindi, in pendenza del procedimento penale, COGNOME, attraverso l’opera di vari intermediari, tra i quali l’avv. COGNOME COGNOME, difensore del COGNOME nel contenzioso civile che li vedeva contrapposti, avrebbe fatto giungere all’odierno ricorrente la richiesta di una somma esorbitante a titolo di transazione di quella controversia, minacciandogli, altrimenti, gravi conseguenze pregiudizievoli nel coevo procedimento penale istruito dal proprio ufficio.
1.2. La Corte d’appello, respingendo il gravame proposto agli effetti civili dalla parte civile, ha dato atto dell’acrimonia nutrita verso di essa da COGNOME e della possibilità che questi avesse strumentalizzato COGNOME, considerando che quest’ultimo si era presentato in caserma a sporgere la denuncia il giorno di Natale del 2012, per fatti accaduti molto tempo prima e senza mai chiarire come li avesse appresi, così da rendere plausibile che glieli avesse riferiti proprio COGNOME, cui invece erano noti in ragione del suo ufficio. Così come quei giudici non hanno escluso che potesse essere stata effettivamente prospettata una richiesta di denaro, magari esorbitante, a fini transattivi. Quella che non sarebbe stata dimostrata, invece, secondo la sentenza impugnata, è la formulazione della minaccia, la prospettazione, cioè, da parte di COGNOME, di condizionare l’esito del procedimento penale per bancarotta in senso pregiudizievole per COGNOME, qualora questi non avesse deciso di accedere a quella richiesta economica.
Secondo la Corte distrettuale, gli elementi di prova posti a fondamento dell’accusa consisterebbero essenzialmente nelle dichiarazioni della stessa parte civile, che tuttavia presenterebbero consistenti riserve di attendibilità, in quanto interessate e provenienti da un soggetto animato da forte acredine verso gli imputati; nonché nella registrazione – di nascosto operata dallo stesso COGNOME di uno dei due colloqui nei quali, secondo lui, il suo avvocato gli avrebbe riferito della minaccia formulatagli da un ufficiale della Guardia di finanza per conto del magistrato, ma che, ad avviso di quei giudici, in realtà darebbe conto solamente dei sospetti dell’avvocato sul comportamento illegale del COGNOME, delle lagnanze da lui rassegnate in tal senso all’ignoto ufficiale della Guardia di finanza e della sollecitazione, invece rivolta da quel professionista al proprio cliente, di trovare
una soluzione economica compromissoria del contenzioso in atto col magistrato, perché comunque per lui più conveniente.
Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 192, cod. proc. pen., tuttavia dolendosi, in realtà, della motivazione della decisione e, in particolare, della svalutazione di alcune testimonianze: quella, cioè, di tale COGNOME, che ha raccontato dell’intento della famiglia COGNOME, riferitogli dalla sorella de magistrato, di far fallire COGNOME, come poi era effettivamente avvenuto, nonché di interferire nella relativa procedura giudiziaria; quella, inoltre, dell’avv. COGNOME ove si consideri che le persone che lo avrebbero avvicinato – ovvero il proprio commercialista e l’ignoto ufficiale della Guardia di finanza – non avrebbero potuto conoscere del contrasto in atto tra COGNOME e COGNOME se non che per bocca di quest’ultimo; e, infine, quella di tale NOME COGNOME secondo cui COGNOME, qualche giorno prima di Natale del 2012, gli aveva sottoposto una denuncia già pronta contro COGNOME, chiedendogli di firmarla e di presentarla presso un determinato ufficio di polizia, così da far assegnare il relativo procedimento ad una collega della Procura con cui lo stesso COGNOME aveva già parlato: richiesta, però, che COGNOME aveva respinto, venendo successivamente informato dallo stesso magistrato del fatto che questi si fosse avvalso a tal fine di COGNOME
Inoltre, la parte civile ribadisce la singolarità della condotta di quest’ultimo, indicando le ragioni per le quali essa sarebbe stata funzionale a far giungere sul tavolo di COGNOME la denuncia da lui presentata.
Ha depositato la propria requisitoria scritta la Procura generale, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
Ha trasmesso in cancelleria conclusioni scritte la difesa dell’imputato COGNOME formulando richiesta d’inammissibilità o rigetto del ricorso.
Ha depositato memoria di replica la difesa ricorrente, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
L’impugnazione non può essere ammessa, in quanto aspecifica nonché funzionale ad una rivalutazione del materiale probatorio, che è preclusa al giudice di legittimità.
La difesa ricorrente, infatti, si limita a riproporre la propria differente lettu solo di una parte, peraltro, del compendio probatorio, mentre trascura completamente di misurarsi con le considerazioni che hanno condotto la Corte d’appello a ritenere non concludenti non soltanto le testimonianze rievocate in
ricorso, ma anche le restanti emergenze probatorie, tra cui il colloquio clandestinamente registrato da COGNOME con il suo avvocato.
Il ricorso, infatti, insiste nella rappresentazione della condotta variamente scorretta ed illegale del Savasta, ma non attinge l’aspetto qualificante della
decisione impugnata, ove si consideri la specifica imputazione a costui mossa. La difesa non spiega, cioè, perché dovrebbe considerarsi manifestamente
irragionevole, se non addirittura frutto di un travisamento probatorio, la conclusione dei giudici di merito per cui la richiesta economica formulata a
COGNOME da COGNOME o per suo conto, non sarebbe stata accompagnata da una minaccia, anche soltanto implicita ma comunque inequivoca, di far valere la
propria veste istituzionale per pregiudicarne le sorti nel procedimento che lo vedeva indagato dall’ufficio del Pubblico ministero presso cui esso magistrato
prestava servizio.
E, in assenza di tale dimostrazione, la prova della sussistenza dell’ipotizzato tentativo di concussione correttamente non è stata ritenuta raggiunta.
7. L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 13 maggio 2025.