Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11753 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11753 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VACRI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/06/2023 della Corte d’appello di L’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, nell’interesse delle parti civili COGNOME NOME e COGNOME NOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, ovvero rigettarsi l’impugnazione, in ogni caso nell’ipotesi di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione con conferma delle statuizioni civili, depositando nota spese;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, nell’interesse della parte civile COGNOME NOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, ovvero rigettarsi l’impugnazione, in ogni caso nell’ipotesi di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione con conferma delle statuizioni civili, depositando nota spese e successiva memoria difensiva in data 17 gennaio 2024;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, nell’interesse della parte civile COGNOME NOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, ovvero rigettarsi l’impugnazione, in ogni caso nell’ipotesi di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione con conferma delle statuizioni civili, depositando nota spese e successiva memoria difensiva in data 18 gennaio 2024.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato in questa sede la Corte d’appello di L’Aquila ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Pescara in data 13 maggio 2019 nei confronti di COGNOME NOME, per i reati di usura (capi da 1 a 11), dichiarando l’estinzione del reato di cui al capo 2) per prescrizione confermando nel resto il giudizio di responsabilità e rideterminando le pene inflitte.
Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato deducendo con il primo motivo violazione di legge, in relazione agli artt. 157 cod. pen. e 129 cod. proc. pen., per l’omessa dichiarazione di prescrizione dei reati contestati, senza alcuna motivazione sul punto pur avendo il ricorrente depositato in data 3 giugno 2023 memoria con cui si eccepiva specificamente l’intervenuta estinzione dei reati per prescrizione.
2.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di norme processuali previste a pena di nullità e vizio della motivazione, in quanto assente, rispetto alle specifiche questioni (prescrizione dei reati contestati; violazione del divieto di bis in idem, sulla scorta della sentenza definitiva di assoluzione pronunciata nei confronti dell’imputato e depositata nel giudizio; nullità delle conclusioni depositate dalla difesa della parte civile NOME, essendo la parte deceduta prima dell’udienza del 9 giugno 2023) sollevate nell’esposizione delle conclusioni svolte dal difensore dell’imputato nel corso dell’udienza del 9 giugno 2023, conclusioni che non erano state riportate nel testo della sentenza.
2.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di norme processuali previste a pena di nullità, in relazione agli artt. 34 cod. proc. pen. e 111 Cost., poiché nel collegio della Corte d’appello che aveva giudicato sull’impugnazione era presente un magistrato che aveva svolto funzioni di componente del Tribunale in sede di riesame nel medesimo procedimento.
2.3. Con il quarto motivo si deduce vizio della motivazione (apparente, contraddittoria ed illogica) con riguardo alla valutazione dell’attendibilità delle persone offese e alla dimostrazione del tasso usurario.
2.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di norme processuali previste a pena di nullità, in relazione agli artt. 125, comma 3, 179, comma 1, 185 e 520
cod. proc. pen.; 24 e 111 Cost., per l’omessa notifica all’imputato del verbale di udienza contenente l’imputazione modificata su richiesta del P.M., trattandosi di più modifiche dei fatti contestati che imponevano la notifica del verbale all’imputato assente, come del resto disposto dal Tribunale inizialmente, con successiva errata dichiarazione della superfluità della notificazione per l’asserita qualifica di meri errori materiali che non incidevano sulla portata dell’imputazione.
2.5. Con il sesto motivo si deduce violazione di norme processuali previste a pena di nullità, in relazione agli artt. 125, 191, 192 e 525 cod. proc. pen.; 24 e 111 Cost., nonché vizio di motivazione, per l’omessa declaratoria di nullità della sentenza di primo grado, in ragione del mutamento del collegio giudicante che non aveva proceduto alla necessaria rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, avendo utilizzato dichiarazioni rese dai testimoni dinanzi ad altro Collegio; la Corte, investita di specifico motivo d’impugnazione, non aveva fornito risposta alla censura.
2.6. Con il settimo motivo si deduce violazione di norme processuali previste a pena di nullità, in relazione agli artt. 125, 420 ter, comma 5, cod. proc. pen.; 24 e 111 Cost., nonché vizio di motivazione, per l’omessa valutazione del motivo di appello con cui era stata censurata la statuizione che aveva ritenuto legittima la celebrazione dell’udienza del 19/12/2017, pur in presenza di un’istanza di legittimo impedimento del difensore dell’imputato, in ragione della conoscenza dell’impedimento da parte del difensore sin dalla precedente udienza, quando era stato disposto il rinvio del dibattimento; la Corte, al pari del Tribunale, non aveva considerato che la valutazione circa la prevalenza del concomitante impegno professionale sorgeva solo in prossimità della celebrazione dell’udienza rinviata, sicché nessun difetto di diligenza poteva ascriversi alla difesa.
2.7. Con l’ottavo motivo si deduce violazione di legge penale e processuale, in relazione agli artt. 78, 82 comma 2, 102 cod. proc. pen., 24 e 111 Cost. nonché vizio della motivazione, perché apparente, contraddittoria e illogica, quanto al denunciato profilo della nullità delle conclusioni delle parti civili, COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME; le parti civili si erano costituite con l’assistenza e rappresentanza in giudizio dell’AVV_NOTAIO, mentre all’udienza davanti al Tribunale il difensore costituito era sostituito da altro difensore (AVV_NOTAIO) che aveva depositato le conclusioni scritte a sua firma (e non a firma del procuratore costituito) in assenza di una specifica delega.
2.8. Con il nono motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 125, comma 3, 438 cod. proc. pen., 24 e 111 Cost., 62 n. 4, 62 bis, 69, 131 bis e 133 bis cod. pen., nonché vizio di motivazione in relazione all’operato trattamento sanzionatorio; la sentenza non aveva tenuto conto della scarsa gravità del reato,
del mancato approfittamento dello stato di bisogno delle persone offese, dell’attiva partecipazione al processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito specificate.
1.1. Il primo motivo è affetto da evidente genericità, e come tale risulta formulato in termini non consentiti; secondo il costante insegnamento di legittimità, «è inammissibile, perché carente del requisito della specificità dei motivi, il ricorso per cassazione che deduca l’omesso rilievo ex officio da parte del giudice di merito della prescrizione del reato, quando il ricorrente non fornisca compiuta rappresentazione della sequela procedimentale e non dimostri, alla luce della stessa, l’intervenuta maturazione del termine di legge» (Sez. 2, n. 35791 del 29/05/2019, COGNOME, Rv. 277495 – 01, ove si è chiarito che la prescrizione è un evento giuridico e non un mero fatto naturale, in quanto implicante la risoluzione di plurime questioni di diritto e di fatto, onde il suo accertamento non è frutto del mero computo aritmetico del relativo termine sul calendario); il ricorrente si è limitato a censurare la statuizione della sentenza impugnata che ha dichiarato l’estinzione per prescrizione del solo reato di cui al capo 2), senza adottare analoga pronuncia in relazione “ai restanti reati”, senza indicazione alcuna sulle epoche dei commessi reati e sul decorso del termine massimo di prescrizione; né può valere a sanare tale difetto il deposito della memoria in grado di appello, indicata dal ricorrente, poiché con quell’atto la parte si era limitata, anche in quella sede, a richiedere in modo del tutto assertivo e generico la declaratoria di estinzione per l’intervenuta prescrizione dei reati.
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato: è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che l’omessa indicazione, nel testo della sentenza, delle conclusioni delle parti non costituisce motivo di nullità della pronuncia (Sez. 4, n. 48770 del 24/10/2019, COGNOME, Rv. 277876 – 01; Sez. 3, n. 3585 del 13/11/2018, dep. 2019, F., Rv. 275831 – 01; Sez. 6, n. 5907 del 29/11/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252404 – 01).
Né il motivo, nella parte in cui censura “l’omessa motivazione” della sentenza sulle questioni indicate, può ritenersi autosufficiente nella misura in cui il verbale di udienza non indica alcuna delle questioni riferite nel motivo di ricorso come illustrate dalla difesa dell’appellante (né risulta che sia stata proposta querela di falso in relazione al contenuto del verbale d’udienza).
1.3. Anche il terzo motivo è manifestamente infondato: secondo la costante giurisprudenza della Corte, l’incompatibilità ex art. 34, cod. proc. pen. non attiene alla capacità del giudice e non determina, pertanto, la nullità del provvedimento
ex artt. 178 e 179, cod. proc. pen., ma costituisce soltanto motivo di possibile astensione, ovvero di ricusazione dello stesso giudice, motivo che deve essere fatto valere tempestivamente con la procedura di cui all’art. 37 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 12550 del 01/03/2016, COGNOME., Rv. 267419 – 01; Sez. 6, n. 39174 del 09/09/2015, COGNOME, Rv. 264637 – 01; Sez. 2, n. 12896 del 05/03/2015, COGNOME, Rv. 262780 – 01).
1.4. Il quarto motivo è proposto per ragioni non consentite per la modalità di indicazione dei vizi da cui sarebbe colpita la decisione impugnata; il motivo affastella richiami cumulativi alle categorie della carenza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità, senza però specificare in quale dei punti della decisione emergano quei vizi (tra loro evidentemente non sovrapponibili: Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 277518 – 02; Sez. 1, n. 39122 del 22/09/2015, COGNOME, Rv. 264535 – 01; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Alota, Rv. 263541 01); aggiunge censure che denunciano l’insufficienza, la mancanza di completezza e logicità, ragioni che non rientrano nelle tipologie tassative indicate dall’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01).
Quanto, COGNOME poi, alla critica COGNOME per l’asserita mancanza di valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese e della determinazione della misura del tasso d’interesse, il testo della sentenza impugnata smentisce l’assunto difensivo poiché la Corte territoriale ha dato conto degli elementi fattuali e logici che hanno condotto a condividere il giudizio positivo espresso sul punto dal giudice di primo grado su entrambi i profili; né miglior esito può riservarsi all’articolazione, per ciascuno dei reati contestati e rispetto alla valutazione delle dichiarazioni delle persone offese, di doglianze (da pag. 11 a pag. 27 del ricorso) che riproducono testualmente alla lettera il contenuto dell’atto di appello, senza alcuna critica argomentata della decisione.
In questa parte, il motivo è all’evidenza inammissibile; si tratta di formulazione dei motivi di ricorso in termini non consentiti, poiché come insegna la giurisprudenza di legittimità «è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso» (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019 COGNOME, Rv. 277710 – 01; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970 – 01) poiché «in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l’aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di
una critica argomentata avverso il provvedimento “attaccato” e dell’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito» (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, NOME, Rv. 254584 – 01).
Ciò ancor più a fronte di una motivazione del provvedimento impugnato puntuale e dettagliata, che ha preso in esame singolarmente le imputazioni ascritte al ricorrente, mettendo in rilievo la portata dei dati raccolti e il significati elemento, del tutto ignorato dal ricorrente, della sistematica predisposizione di dichiarazioni sottoscritte dai soggetti cui venivano erogati i prestiti dal COGNOME, riportando valori superiori alle somme effettivamente consegnate, in modo da giustificare la riscossione di interessi di natura usuraria; dichiarazioni che attraverso le dichiarazioni delle persone offese sono state ritenute false, anche in ragione delle modalità della predisposizione, dell’intervento di una testimone che ha confermato la falsità di quelle dichiarazioni, delle logiche ragioni per cui le persone offese erano indotte a sottoscrivere quelle dichiarazioni (pagg. 10-13).
1.5. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
La Corte territoriale (pagg. 7-8), nel prender atto dell’omessa notifica all’imputato del verbale dell’udienza del 13 febbraio 2017, in cui il P.M. aveva provveduto a “rettificare” il contenuto dell’imputazione di cui al capo 1), relativamente all’indicazione numerica di alcuni degli assegni indicati nell’imputazione, e all’indicazione nominativa di una delle banche emittenti, ha condiviso il giudizio già espresso dal primo giudice (pagg. 2-3), sulla portata meramente correttiva delle modifiche operate rispetto all’originario capo d’imputazione, senza che fosse stato alterato il nucleo dell’imputazione e in assenza di effettivi e concreti pregiudizi all’esercizio delle prerogative di difesa dell’imputato. L’opinione così espressa risulta corretta in diritto, poiché dal raffronto tra l’originario addebito e il testo dell’imputazione “rettificata” dal P.M. non risulta alcuna radicale immutazione del fatto storico, trattandosi di correzioni che non hanno inciso sulla struttura del reato contestato (in quanto « per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione»: Sez. Unite, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619 01, seguita da Sez. Unite, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051 – 01).
Conseguentemente, in modo coerente è stato escluso il ricorrere di alcun motivo di nullità della pronunciata sentenza, mancando alcun difetto di correlazione tra il contenuto dell’imputazione e l’accertamento di responsabilità operato con la sentenza di condanna.
1.6. Il sesto motivo è del tutto generico, oltre che manifestamente infondato; il ricorrente non allega, né indica, in quale momento della progressione del processo di primo grado il Collegio, che poi deliberò la decisione, avrebbe dovuto procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in conseguenza del mutamento della composizione dei magistrati del Collegio; per altro verso, implicitamente ammette che la rinnovazione fu disposta, mentre non si diede corso al nuovo esame di tutti i testimoni, senza però ancora una volta dimostrare che la richiesta di nuovo esame fosse stata formulata dalla difesa dell’imputato ovvero da alcuna delle altre parti.
Ciò trova conferma nel contenuto del verbale dell’udienza del 14 novembre 2017, quando mutò la composizione del Collegio che sino a quel momento aveva condotto l’istruttoria; si legge nel verbale che il Collegio rinnovò le formalità di apertura del dibattimento, le parti si riportarono alle precedenti richieste di prova, limitandosi la difesa dell’imputato a non prestare il consenso all’utilizzazione degli atti assunti in diversa composizione. Tale affermazione non è ostativa alla legittima utilizzazione, in sede di decisione, delle prove precedentemente acquisite; secondo il principio affermato dalle Sezioni unite, infatti, in caso di rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice, il consenso delle parti alla lettura degli atti già assunti dal giudice di originaria composizione non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non richiesta, non ammessa o non più possibile (n. 41736 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 276754 – 03), essendo onere delle parti che vi abbiano interesse quello di richiedere, in caso di mutamento del giudice, la rinnovazione degli esami testimoniali attraverso la necessaria previa indicazione, da parte delle stesse, dei soggetti da riesaminare nella lista ritualmente depositata di cui all’art. 468 cod. proc. pen. con specifica indicazione dei temi nuovi o delle ragioni per cui la prova debba essere nuovamente assunta sugli stessi temi (n. 41736 del 30/05/2019 cit., Rv. 276754 – 04). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.7. Il settimo motivo è reiterativo, oltre che manifestamente infondato; la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale deve ritenersi inammissibile, in quanto proposta in violazione del generale dovere di lealtà processuale, l’istanza di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento concernente un precedente e concomitante impegno professionale, di cui il difensore abbia avuto già conoscenza al momento della fissazione della data di udienza (Sez. 2, n. 52215 del 28/10/2016, COGNOME, Rv. 268513 – 01),
assumendo rilievo il comportamento omissivo del difensore il quale è tenuto, per dovere professionale, ad un comportamento processuale esplicito e collaborativo con le altre parti, per cui al momento della indicazione della nuova data di udienza, conoscendo del già previsto concomitante impegno professionale, è tenuto a prospettare l’esistenza di tale situazione, così da consentire un rinvio compatibile con il pregresso impegno professionale.
1.8. L’ottavo motivo è manifestamente infondato.
Secondo un orientamento che può dirsi di certo costante, il difensore della parte civile, cui sia stata conferita procura speciale a norma dell’art. 100 cod. proc. pen., può designare un sostituto che ha facoltà di svolgere in dibattimento ogni attività e, quindi, anche quella riguardante la presentazione delle conclusioni in luogo del sostituito, a prescindere dal fatto che questi si sia costituito anche parte civile come procuratore speciale della persona offesa, derivandogli tale potere direttamente dall’art. 102 cod. proc. pen. pur se la procura alle liti non contenga alcuna previsione al riguardo (Sez. 6, n. 33228 del 14/05/2014, Stano, Rv. 260171 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 36818 del 14/06/2011, Provincia di Treviso, Rv. 251032 – 01). Al riguardo, è ancora dirimente la distinzione tra la procura speciale ex art. 122 cod. proc. pen. e la procura mediante la quale viene affidato al difensore il mandato difensivo: «La costituzione di parte civile ad opera del soggetto legittimato ad causam può avvenire personalmente o a mezzo di procuratore speciale, mediante conferimento a quest’ultimo del potere di promuovere l’azione risarcitoria in nome e per conto del danneggiato. È questa la “procura speciale” alla quale si riferiscono gli arti. 76 e 122 c.p.p. Diversa, invece, è la procura speciale rilasciata ai sensi dell’art. 100 c.p.p., con la quale si affida il mandato difensivo. Ovviamente, è possibile conferire con un unico atto alla stessa persona sia la procura sostanziale che quella difensiva, investendola contemporaneamente sia della legitimatio ad causam che della rappresentanza processuale; ma, anche in tale ipotesi, le due procure rimangono distinte tra loro. Ciò posto, si osserva che il soggetto al quale il danneggiato dal reato abbia conferito procura speciale per la costituzione di parte civile non può delegare tale attività, salvo che la procura preveda espressamente una simile facoltà (Sez. V, 6 febbraio 2005, n. 11954). Al contrario, il difensore della parte civile, investito della rappresentanza tecnica, può nominare un sostituto anche se la procura alle liti rilasciatagli non contenga alcuna previsione al riguardo, derivandogli il relativo potere direttamente dall’art. 102 c.p.p.; e il sostituto ha facoltà di svolgere in dibattimento ogni attività e, quindi, anche di presentare le conclusioni, in luogo del sostituito, a prescindere dal fatto che questi si sia costituito anche parte civile come procuratore speciale della persona offesa (Sez. V, 7 marzo 1995, n. 3769)» (Sez. 3, n. 36818 del 14/06/2011, cit.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel caso in esame dagli atti processuali risulta che all’udienza dell’8 aprile 2019, in cui si svolse la discussione finale dinanzi al Tribunale di Pescara, era presente l’AVV_NOTAIO, sostituto processuale dell’AVV_NOTAIO, difensore delle parti civili, giusta delega che è allegata al verbale d’udienza; l’AVV_NOTAIO depositò le conclusioni scritte a sua firma, esercitando così i poteri del difensore ai sensi dell’art. 523, comma 2, cod. proc. pen. senza che alcun vizio di forma abbia reso invalida l’attività processuale svolta.
La censura formulata con l’atto di appello e qui reiterata, è dunque manifestamente infondata.
1.9. Il nono motivo è del tutto generico, per l’assoluta carenza di corrispondenza tra le norme indicate come violate e la rappresentazione del lamentato vizio, quanto alla concreta determinazione della misura della pena, peraltro smentito dalla considerazione del numero dei reati contestati e della reiterazione di condotte di evidente approfittamento dello stato di bisogno delle vittime, riconosciuto con la specifica aggravante ritenuta dalle conformi decisioni di merito.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende. Il ricorrente deve, inoltre, esser condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese delle parti civili: COGNOME NOME e COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 5.500,00 oltre accessori di legge; COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 4.000,00 oltre accessori di legge; COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 4.000,00 oltre accessori di legge.
Così deciso il 24/1/2024