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Ricorso inammissibile: la Cassazione e i suoi limiti

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato contro una condanna per il reato di danneggiamento. L’ordinanza chiarisce che la Corte non può riesaminare i fatti, ma solo la corretta applicazione della legge. I motivi sono stati respinti perché tentavano una nuova valutazione delle prove, erano formulati in modo generico e manifestamente infondati riguardo la richiesta di attenuanti. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando e Perché la Cassazione lo Dichiara

Presentare un ricorso alla Corte di Cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma l’accesso a questa fase è tutt’altro che scontato. La Corte non è un terzo giudice del fatto, ma un organo di legittimità, il cui compito è assicurare la corretta applicazione della legge. Un’ordinanza recente della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio pratico dei motivi che conducono a un ricorso inammissibile, evidenziando gli errori da evitare nella formulazione dell’atto di impugnazione.

I Fatti del Caso

Il caso in esame riguarda un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di danneggiamento, previsto dall’articolo 635 del codice penale. Non ritenendo giusta la decisione della Corte d’Appello, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a tre distinti motivi di doglianza. Tuttavia, la Suprema Corte ha respinto in toto l’impugnazione, dichiarandola inammissibile e condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione.

Analisi dei Motivi del Ricorso Inammissibile

La decisione della Cassazione si fonda sull’analisi tecnica di ciascuno dei motivi presentati, ognuno dei quali è stato ritenuto viziato per ragioni diverse ma ugualmente dirimenti. Esaminiamoli nel dettaglio.

Primo Motivo: Il Divieto di Rivalutazione dei Fatti

Il primo motivo del ricorso contestava la ricostruzione dei fatti e la valutazione della responsabilità penale, inclusa la sussistenza del dolo. La Cassazione ha prontamente rilevato come tale censura mirasse a ottenere una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio, un’attività preclusa in sede di legittimità. Il giudice di merito aveva fornito una motivazione logica e giuridicamente corretta, e il ricorrente non può chiedere alla Cassazione di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici dei gradi precedenti. Questo è un errore classico che porta a un ricorso inammissibile.

Secondo Motivo: La Genericità della Censura

Il secondo motivo chiedeva la riqualificazione del reato in un’ipotesi meno grave (art. 639 c.p.). Anche in questo caso, la Corte ha dichiarato l’inammissibilità, ma per una ragione di natura procedurale: la genericità. Il ricorso era privo dei requisiti prescritti dall’art. 581 c.p.p., in quanto non indicava in modo specifico gli elementi a sostegno della richiesta. In pratica, non basta affermare un principio, ma occorre argomentare puntualmente perché la sentenza impugnata sarebbe errata, permettendo così alla Corte di esercitare il proprio sindacato.

Terzo Motivo: La Manifesta Infondatezza

Infine, il terzo motivo lamentava la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.) e l’applicazione di una pena non al minimo edittale. La Cassazione ha liquidato questo punto come manifestamente infondato. Ha infatti ribadito che, per negare le attenuanti, è sufficiente che il giudice di merito fornisca una motivazione esente da illogicità, come avvenuto nel caso di specie, dove si era fatto riferimento all’assenza di elementi positivamente valutabili e alla presenza di precedenti penali a carico del ricorrente.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

L’ordinanza in commento ribadisce con fermezza i paletti del giudizio di legittimità. La Corte non riesamina il fatto, ma controlla che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza impugnata sia congrua, logica e non contraddittoria. Qualsiasi motivo di ricorso che cerchi di forzare questi confini, proponendo una lettura alternativa delle prove o sollevando questioni in modo vago e non specifico, è destinato a essere dichiarato inammissibile. La decisione si allinea a un consolidato orientamento giurisprudenziale, citando numerosi precedenti a supporto di ogni punto trattato, a testimonianza della solidità dei principi applicati.

Le Conclusioni

Le implicazioni pratiche di questa ordinanza sono significative. In primo luogo, essa sottolinea l’importanza cruciale della tecnica redazionale del ricorso per Cassazione: ogni motivo deve essere autosufficiente, specifico e incentrato su vizi di legittimità, non di merito. In secondo luogo, le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile non sono trascurabili. Oltre alla conferma della condanna, il ricorrente è obbligato a pagare le spese processuali e una somma, in questo caso di 3.000 euro, a favore della Cassa delle ammende. Questo provvedimento serve da monito: il ricorso in Cassazione è uno strumento serio, da utilizzare con perizia e solo quando sussistono validi motivi di diritto.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando non rispetta i requisiti di legge. Secondo l’ordinanza, ciò avviene se tenta di ottenere una nuova valutazione dei fatti (preclusa in sede di legittimità), se i motivi sono formulati in modo generico e indeterminato, oppure se sono manifestamente infondati.

Cosa significa che un motivo di ricorso è ‘generico’?
Un motivo è considerato ‘generico’ quando non indica gli elementi specifici che sono alla base della censura formulata. In pratica, non consente al giudice dell’impugnazione di individuare con precisione i rilievi mossi alla sentenza e di esercitare il proprio controllo, come richiesto dall’art. 581, comma 1, lett. c) del codice di procedura penale.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
Le conseguenze sono duplici. In primo luogo, la sentenza impugnata diventa definitiva. In secondo luogo, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico ammontava a tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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