Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11827 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11827 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Civitanova Marche (Mc) DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/3/2023 della Corte di appello di Ancona; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13/3/2023, la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia emessa il 5/11/2020 dal Tribunale di Fermo, rideterminava nella misura del dispositivo la pena inflitta a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME con riguardo ai delitti di cui agli artt. 110, 81, 624, 625 cod. pen., 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Propone ricorso per cassazione COGNOME, deducendo i seguenti motivi:
erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione con riguardo ad entrambi i reati. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna senza
confrontarsi con le dettagliate obiezioni contenute nel gravame e fondando il proprio giudizio soltanto su inconsistenti, indimostrate ed apodittiche presunzioni, oltre che su materiale dichiarativo ed intercettivo privo di ogni chiarezza e persuasività (a cominciare dall’individuazione del luogo in cui il COGNOME si sarebbe trovato). La sentenza, peraltro, avrebbe ribadito la colpevolezza del ricorrente in forza della sola conoscenza con i coimputati, e senza valutare quale sarebbe stato l’eventuale apporto concorsuale, rimasto privo di ogni riscontro. Queste considerazioni, frutto di un approccio superficiale e non condivisibile, varrebbero poi sia per il reato in materia di stupefacenti che per il furto di energia elettrica, addebitato soltanto per una sorta di presunzione, ossia come mera conseguenza della ipotizzata responsabilità per il reato sub A); con riguardo ancora al capo B), peraltro, la stessa istruttoria avrebbe evidenziato la necessità di minime competenze tecniche, risultate del tutto estranee al ricorrente;
le medesime censure sono poi mosse quanto alla pena, ritenuta eccessiva in relazione alle condotte e priva di una corretta graduazione in rapporto al contributo eventualmente offerto, dunque fissata in violazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale dell decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte, osserva allora il Collegio che le censure mosse con il primo motivo sono inammissibili; dietro la parvenza di una violazione di legge o di un vizio motivazionale, infatti, i ricorso tende ad ottenere in questa sede una nuova ed alternativa lettura delle medesime emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito (servizi di osservazione, intercettazioni), sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito.
La doglianza, inoltre, trascura che la Corte di appello – pronunciandosi sulla responsabilità del ricorrente – ha steso una motivazione del tutto congrua, fondata
su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente illogica; come tale, quindi, non censurabile.
5.1. Dalla lettura unitaria delle sentenze di merito, consentita in ragione della doppia conforme, emergono infatti plurimi elementi a conferma del concorso del COGNOME in entrambi i reati contestati, diffusamente richiamati nella decisione di primo grado, alle pagg. 20-22. In particolare, il Tribunale aveva proceduto ad una analitica ricostruzione degli spostamenti del ricorrente nei giorni immediatamente precedenti e successivi all’arresto del correo NOME COGNOME (da e per la contrada Gabbiano, dove si trovava il casolare con la piantagione e la sostanza), così come delle conversazioni che lo stesso COGNOME aveva intrattenuto con i coimputati COGNOME e COGNOME, evidenziando che la lettura complessiva di tali dati particolarmente analitica nella prima decisione – forniva più che affidabile elemento di riscontro alla piena partecipazione del ricorrente nella coltivazione di 500 piante di marijuana, nella detenzione a fine di vendita di oltre 6600 grammi della stessa sostanza, oltre che nel furto di energia elettrica. Con specifico riguardo proprio al capo B), le sentenze hanno poi evidenziato che le conversazioni lasciavano emergere tanto la competenza, quanto l’abitualità del COGNOME nelle coltivazioni, delle quali risultava conoscere anche aspetti tecnici, oltre a preoccuparsi dell’ingente consumo di energia elettrica, dato che questo avrebbe potuto far scoprire l’esistenza della piantagione.
5.1. Ebbene, di questo ampio compendio istruttorio, oltre che della ragionata e logica lettura offertane nelle sentenze impugnate, il ricorso non fa sostanziale cenno, limitandosi ad una censura del tutto generica, con la quale si lamenta che la responsabilità sarebbe stata affermata soltanto su presunzioni e con lettura approssimativa di intercettazioni vaghe, in forza del solo rapporto di conoscenza con il citato COGNOME e con gli altri imputati: di fatto, dunque, l’impugnazione non si confronta con i dettagliati argomenti spesi dai Giudici del merito, tali da contrastare efficacemente le analoghe censure in punto di prova della responsabilità concorsuale, risultando pertanto inammissibile.
Alle stesse conclusioni, di seguito, il Collegio giunge anche con riguardo alla seconda doglianza, che lamenta il vizio di motivazione quanto alla misura della pena. Pronunciandosi sulla medesima questione, la Corte di appello ha giustificato una pena base superiore al minimo edittale in ragione delle modalità della condotta di cui al capo A), “dotata di un minimo di organizzazione”, del complessivo dato ponderale, del fatto che la piantagione fosse perfettamente dotata di adeguate attrezzature per assicurare la ventilazione, la climatizzazione, l’irrigazione e il riscaldamento, dotazioni risultate di alto livello tecnologico, così da ritenere – con argomento privo di illogicità manifesta – che l’attività illecita realizzata non fos
affatto occasionale, ma destinata a rifornire un vasto mercato di consumatori modo continuativo.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce d sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, n fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia propos ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilit alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 6 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello d versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2024