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Ricorso inammissibile: la Cassazione conferma condanna

La Corte di Cassazione, con ordinanza 6908/2024, ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati contro una sentenza della Corte d’Appello di Firenze in materia di stupefacenti. La Suprema Corte ha stabilito che un ricorso inammissibile si configura quando le censure proposte sono una mera ripetizione di argomenti già vagliati e respinti nei gradi di merito, senza sollevare vizi di legittimità. Di conseguenza, la condanna è stata confermata e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando l’Appello in Cassazione è Destinato a Fallire

Presentare un ricorso alla Corte di Cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma non è una seconda possibilità per ridiscutere i fatti. Un ricorso inammissibile è l’esito che attende chi tenta di riproporre le stesse argomentazioni già respinte, senza evidenziare un reale errore di diritto. L’ordinanza n. 6908 del 2024 della Suprema Corte ce ne fornisce un chiaro esempio.

I Fatti del Caso

Due soggetti, condannati dalla Corte d’Appello di Firenze per reati legati al commercio di sostanze stupefacenti, hanno presentato ricorso per Cassazione sperando di ottenere una riforma della sentenza. Le loro difese hanno sollevato due questioni principali:
1. Uno dei ricorrenti chiedeva la riqualificazione del reato in un’ipotesi di minore gravità (prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti), sostenendo che la sua condotta fosse di lieve entità.
2. L’altro lamentava il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, evidenziando elementi a suo favore che, a suo dire, non erano stati adeguatamente considerati.

L’Analisi della Corte e il Concetto di Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambe le istanze, dichiarando i ricorsi inammissibili. La ragione di questa decisione non risiede in una nuova analisi dei fatti, ma in un principio fondamentale del processo penale: la Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è stabilire se l’imputato sia colpevole o innocente, ma verificare se i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge.

Nel caso specifico, i giudici supremi hanno osservato che le argomentazioni difensive erano una semplice replica di quelle già presentate e respinte dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva fornito motivazioni “giuridicamente corrette, puntuali e coerenti”, immuni da “manifeste incongruenze logiche”. Di fronte a una motivazione solida, la Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha spiegato in modo dettagliato perché le censure non potevano essere accolte. Riguardo alla richiesta di derubricazione del reato, i giudici di merito avevano già valorizzato elementi concreti, come la “capacità di approvvigionamento e smercio della sostanza”, che rendevano la condotta incompatibile con l’ipotesi di lieve entità. Riproporre la stessa tesi senza contestare un vizio logico o giuridico nella motivazione della sentenza d’appello rende il ricorso inammissibile.

Analogamente, per quanto concerne le attenuanti generiche, la Corte d’Appello aveva già bilanciato gli elementi a favore e contro l’imputato, ritenendo prevalente la gravità derivante dal “prolungato protrarsi delle condotte illecite”. La difesa, in sede di legittimità, si limitava a offrire una diversa lettura degli stessi fatti, attività che esula dalle competenze della Cassazione.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale: il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si può sperare in una rivalutazione completa del caso. Per avere successo, un ricorso deve individuare specifici errori di diritto o vizi logici manifesti nella motivazione della sentenza impugnata. Proporre censure generiche o ripetitive non solo è inefficace, ma comporta conseguenze economiche. Come previsto dall’articolo 616 del Codice di Procedura Penale, la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. La decisione, quindi, serve da monito: un appello in Cassazione deve essere un atto tecnico e mirato, non un tentativo di rimettere tutto in discussione.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili?
I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili perché riproponevano le medesime censure già esaminate e respinte dai giudici di merito, con argomentazioni considerate giuridicamente corrette, coerenti e prive di vizi logici. Non sono stati sollevati profili di illegittimità, ma si è tentato di ottenere una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 Euro) a favore della Cassa delle ammende. La sentenza impugnata diventa definitiva.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di considerare il reato come ‘lieve entità’ se i giudici di merito lo hanno escluso?
No, se i giudici di merito hanno escluso l’ipotesi di lieve entità con una motivazione logica e coerente, basata su elementi concreti come la capacità di approvvigionamento e smercio della sostanza, la Corte di Cassazione non può riesaminare tale valutazione. Può intervenire solo se la motivazione è manifestamente illogica o viola una norma di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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