Ricorso inammissibile: quando le censure di fatto non bastano in Cassazione
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. Il caso in esame ha portato a dichiarare il ricorso inammissibile presentato da un imputato condannato per reati legati agli stupefacenti, poiché i motivi sollevati si limitavano a contestare la valutazione delle prove, un’attività riservata ai giudici dei gradi precedenti. Analizziamo la decisione per comprendere meglio i confini del sindacato della Suprema Corte.
I Fatti del Caso: La Condanna in Appello
Il ricorrente era stato condannato dalla Corte d’Appello di Torino per una serie di episodi legati alla cessione di sostanze stupefacenti. La condanna si fondava su diversi elementi, tra cui le dichiarazioni di alcuni acquirenti che avevano testimoniato di aver avuto contatti con l’imputato per l’acquisto di cocaina in più occasioni. Inoltre, l’imputato era stato trovato in possesso di 13 dosi di droga mentre circolava in auto, circostanza che, secondo i giudici di merito, comprovava un’attività di spaccio e non un semplice uso personale.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Contestazione delle prove testimoniali: Si criticava la valutazione delle dichiarazioni rese da diversi testimoni, ritenendole inaffidabili o non sufficientemente provate.
2. Utilizzo di atti del fascicolo del PM: Si sollevava una censura generica sull’utilizzo di dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero.
3. Destinazione a uso personale: Si sosteneva che la sostanza stupefacente detenuta (le 13 dosi) fosse destinata esclusivamente all’uso personale e non allo spaccio, contestando la logicità della conclusione dei giudici di merito.
La Decisione sul ricorso inammissibile della Cassazione
La Suprema Corte ha respinto tutte le argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si basa su una netta distinzione tra vizi di legittimità, che la Cassazione può esaminare, e censure di fatto, che invece non può.
Valutazione delle Prove Testimoniali
Riguardo al primo motivo, la Corte ha definito “incensurabile” la valutazione delle testimonianze operata dalla Corte d’Appello. I giudici di merito avevano correttamente considerato le dichiarazioni alla luce delle contestazioni, confermando la loro validità. La Cassazione ha sottolineato che tentare di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove è un’operazione preclusa in sede di legittimità, a meno che non si dimostri un vizio logico manifesto nel ragionamento del giudice, cosa che nel caso di specie non è avvenuta. Anche l’assenza di messaggi pertinenti sul telefono dell’imputato è stata ritenuta irrilevante a fronte delle chiare testimonianze.
La Destinazione dello Stupefacente
Anche il terzo motivo, relativo all’uso personale, è stato ritenuto infondato. La Corte ha stabilito che la conclusione dei giudici di merito, i quali avevano escluso l’uso personale, non era affatto illogica. Anzi, era supportata da elementi concreti come “l’inequivoco accertamento del contesto che documentava l’attività di preparazione a fini di cessione a terzi” e “l’irragionevole detenzione delle 13 dosi mentre circolava in strada”.
Le Motivazioni
Le motivazioni alla base della decisione di inammissibilità risiedono nel fatto che i motivi del ricorso erano “riproduttivi di censure in fatto già adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito” o proposti in maniera “generica”. In sostanza, il ricorrente non ha evidenziato errori di diritto o vizi logici macroscopici nella sentenza d’appello, ma ha tentato di ottenere una terza valutazione dei fatti, compito che esula dalle funzioni della Corte di Cassazione. Il ricorso che si limita a presentare una lettura alternativa delle prove, senza demolire la coerenza logico-giuridica della sentenza impugnata, è destinato a essere dichiarato inammissibile.
Le Conclusioni
Questa ordinanza conferma che per avere successo in Cassazione non è sufficiente essere in disaccordo con la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di primo e secondo grado. È necessario individuare e argomentare specifici errori di diritto o palesi illogicità nel percorso motivazionale della sentenza. La valutazione delle prove, se congrua e logica, rimane insindacabile. La decisione comporta per il ricorrente, oltre alla conferma della condanna, il pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, a testimonianza della manifesta infondatezza del suo ricorso.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano in parte riproposizioni di questioni di fatto già valutate correttamente dal giudice di merito, e in parte formulati in modo generico, senza contestare specificamente le argomentazioni giuridiche della sentenza impugnata.
È sufficiente negare le testimonianze a carico per ottenere l’annullamento di una condanna in Cassazione?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha ritenuto ‘incensurabile’ (cioè corretta e non criticabile) la valutazione delle testimonianze fatta dalla Corte d’Appello, specificando che il ricorso non può limitarsi a contestare i fatti, ma deve evidenziare vizi logici o giuridici nel ragionamento del giudice precedente.
La detenzione di 13 dosi di stupefacente può essere considerata per uso personale?
Nel caso specifico, no. La Corte ha ritenuto non illogica la decisione del giudice di merito di escludere l’uso personale, basandosi sul contesto dell’attività di preparazione per la cessione a terzi e sulla ‘irragionevole detenzione’ di 13 dosi mentre l’imputato circolava in strada.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5751 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5751 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 26/02/1973
avverso la sentenza del 07/03/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Ritenuto che il GLYPH primo motivo è riproduttivo di censure in fatto già adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito in quanto:
In relazione al reato di cui al capo 1.d), risultano correttamente considerate le dichiarazioni della NOME alla luce delle contestazioni mossele e della conferma dei contatti con il ricorrente;
GLYPH In relazione al capo 1.e), incensurabile è la valutazione del teste COGNOME in ordine all’acquisto dal ricorrente, in due occasioni, di cocaina e non rilevando che la cessione sia avvenuta tramite il Reale;
In relazione al capo 1.f), incensurabile è la valutazione della testimonianza del COGNOME sui plurimi contatti avuti con il ricorrente per l’acquisto di stupefacente e sulle relative occasioni di cessione.
In relazione al capo 1.c), del pari incensurabili sono le valutazioni del teste COGNOME sugli acquisti di stupefacente dall’imputato, non illogicamente essendo escluso rilievo al mancato rinvenimento sul telefono del ricorrente della pertinente messaggistica;
Ritenuto che il secondo motivo sulla utilizzazione delle dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero è genericamente proposto rispetto alla corretta valutazione delle dichiarazioni degli assuntori;
Ritenuto che il terzo motivo sulla destinazione dello stupefacente detenuto dal ricorrente di cui al punto a) è genericamente proposta per ragioni in fatto rispetto alla non illogica esclusione della detenzione a fini GLYPH personali GLYPH dello GLYPH stupefacente GLYPH sulla GLYPH base GLYPH dell’inequivoco accertamento del contesto che documentava l’attività di preparazione a fini di cessione a terzi dello stupefacente detenuto, nonché della irragionevole detenzione delle 13 dosi mentre circolava in strada.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18.11.2024