Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3752 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3752 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SANTA NINFA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/02/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata con o senza rinvio, con ogni conseguente statuizione; conclusioni ribadite con memoria depositata in data 06/12/2023.
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di appello di Palermo ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Sciacca, eliminando la condizione del risarcimento del danno alla persona offesa apposta al beneficio della sospensione condizionale della pena, con conferma nel resto della condanna di COGNOME NOME alla pena di giustizia per le contestazioni allo stesso ascritte (capo a) art. 4 della I.n. 110
del 1975, capo b) art. 633, comma 2, n. 1 in relazione all’art. 625 n. 7 cod. pen.).
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, proponendo motivi di ricorso, che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Vizio della motivazione perché manifestamente illogica e contraddittoria in relazione all’art. 635 cod. pen., con evidente travisamento della prova, sia quanto alla collocazione temporale dell’attività di appostamento e osservazione, che quanto alle dichiarazioni rese dai testi operanti in ordine alla disponibilità del cacciavite in capo al ricorrente, che tra l’altro non veniva ritrovato addosso al COGNOME, ma nella vettura.
2.2. Violazione di legge ed erronea applicazione dell’art. 4 della I. n. 110 del 1975; il reato non si poteva ritenere integrato atteso che la vettura dove era stato controllato il COGNOME era parcheggiata all’interno della sua proprietà e non sulla pubblica via, con conseguente travisamento della prova sul punto.
2.3. Violazione di legge in relazione all’art. 131-bis cod. pen.; era evidente che il fatto fosse di lieve entità; la Corte di appello ha immotivatamente disatteso tale richiesta che poteva essere entrambi i capi di imputazione. rif rita ad
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2.4. Vizio della motivazione perché manifestamente illogica e contraddittoria per travisamento della prova in considerazione della mancata concessione della esimente di cui all’art. 131-bis cod. pen.; la Corte di appello motiva in modo apodittico ritenendo che la presenza di un coltello e di un cacciavite al fine di commettere il danneggiamento, oltre alla esposizione alla pubblica fede, evidenziano che il fatto non possa ritenersi tenue, nonostante come già detto la prova sul punto fosse stata travisata, perché nessuno dei testi aveva effettivamente potuto notare il COGNOME con un cacciavite in mano.
2.5. Intervenuta prescrizione del reato di cui all’art. 4 della I. n. 110 del 1975, atteso il decorso di quattro anni dalla commissione del fatto.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Il ricorso è inammissibile per essere stato proposto con motivi non consentiti, oltre che, all’evidenza, manifestamente infondati.
I primi quattro motivi di ricorso si caratterizzano per la loro assoluta reiteratività rispetto ai motivi di appello, al fine di introdurre una lettur alternativa del merito non consentita in questa sede, tenuto conto tra l’altro della ricorrenza nel caso in esame di una c.d. doppia conforme.
In tal senso, occorre ricordare che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01). La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito che è inammissibile il ricorso di cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’appello, e motivatamente respinti in secondo grado, atteso che non si confronta criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma si limita, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01).
La Corte di appello ha, difatti, ricostruito in modo analitico e persuasivo con motivazione che non si presta a censure in questa sede, la condotta posta in essere dal ricorrente, i tempi e i modi di osservazione da parte del personale operante, le caratteristiche dell’azione, immediatamente confermata dall’esito della perquisizione e del sequestro, escludendo qualsiasi travisamento delle prove e del fatto per come genericamente dedotto dalla difesa, oltre che la particolare offensività della condotta tanto da doversi escludere l’applicazione della esimente di cui all’art. 131-bis cod. pen. (pag. 4 e seg.), e con tale motivazione il ricorrente non si confronta limitandosi a proporre una lettura alternativa e parcellizzata degli elementi acquisiti in giudizio.
I motivi si caratterizzano, dunque, per un’evidente genericità e mancanza di specificità. La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, co. 1,
lett. c), c.p.p., all’inammissibilità (cfr. Sez.4, n. 256 del 18/09/1997, COGNOME, Rv. 210157-02; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 25556801; Sez. 2, n. 11951 del 20/01/2014, COGNOME, Rv. 259435-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME NOME, Rv. 277710 -01).
Questa Corte ha ripetutamente affermato che è preclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa ed alternativa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277758-01, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01).
Da ciò consegue l’inammissibilità di tutte le doglianze che criticano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento, rappresentando tutto ciò una non ammissibile interferenza con la valutazione del fatto riservata al giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747-01, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).
Manifestamente infondata, oltre che totalmente generica nella sua deduzione, la censura relativa all’intervenuto decorso del termine di prescrizione per il reato contestato al capo a) della rubrica, tenuto conto della data di commissione del fatto (14/03/2018), della data di pronuncia della sentenza di appello e delle cause di sospensione del termine di prescrizione, neanche specificamente citate dal ricorrente.
Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21 dicembre 2023.