Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 220 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 220 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a BAGO( ALBANIA) il 13/08/1989
COGNOME nato a BAGO( ALBANIA) il 19/04/1992
avverso la sentenza del 27/11/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
letti i ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME dall’avvocato NOME COGNOME con due distinti atti dal tenore pressoché integralmente sovrapponibile;
considerato che il primo motivo di entrambi i ricorsi, con cui la difesa deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria in appello, è manifestamente infondato avendo la Corte di merito puntualmente evidenziato come l’istanza difensiva fosse assolutamente generica rispetto alla puntualità della ricostruzione della vicenda operata nel corso del giudizio di primo grado che, d’altro canto, era stato definito con rito abbreviato senza che fosse intervenuta alcuna sollecitazione istruttoria; ed è appena il caso di ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata assunzione in appello, a seguito di giudizio abbreviato non condizionato, di prove richieste dalla parte solo nel caso in cui si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o di manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (cfr., Sez. 3, Sentenza n. 3028 del 15/12/2023, dep. 2024, D., Rv. 285745 – 01);
ribadito che, in tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, mentre nelle ipotesi di cui ai commi 1 (richiesta di riassunzione di prove già acquisite e di assunzione di nuove prove) e 3 (rinnovazione “ex officio”) dell’art. 603 cod. proc. pen. è necessaria la dimostrazione, in positivo, della necessità (assoluta nel caso dei comma terzo) del mezzo di prova da assumere, onde superare la presunzione di completezza del compendio probatorio, nell’ipotesi di cui al comma secondo del citato art. 603, al contrario, è richiesta la prova, negativa, della manifesta superfluità e della irrilevanza del mezzo, al fine di superare la presunzione, opposta, di necessità della rinnovazione, discendente dalla impossibilità di una precedente articolazione della prova, in quanto sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado (cfr., Sez. 3, n. 13888 del 27/01/2017, D., Rv. 269334 01; Sez. 2 , n. 1314 del 07/12/2023, dep. 2024, Rv. 285777 – 01; Sez. 3, n. 42711 del 23/06/2016, H., Rv. 267973 – 01, secondo cui è inammissibile la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante assunzione di prove sopravvenute dopo il giudizio di primo grado ove non vengano indicati o forniti elementi concreti per consentire al giudice di valutare l’effettiva sopravvenienza della prova);
ritenuto che il secondo motivo del ricorso si risolve in una contestazione, “nel merito”, della attendibilità della persona offesa su cui i giudici di merito hanno fornito una motivazione ampia, esaustiva e dettagliata (cfr., pagg. 7 -9 della sentenza) con cui la difesa non si confronta;
considerato che, a fronte di una motivazione esente da vizi con cui i giudici di appello hanno congruamente esplicato le ragioni di fatto e di diritto poste a base del proprio convincimento in ordine alla affermazione di responsabilità dei reati di concorso in rapina e tentata estorsione ascritti agli odierni ricorrenti, indicando come pienamente attendibile, coerente, lineare, oltre che supportata da riscontri esterni, la ricostruzione dei fatti esposta dalla persona offesa, emerge come le doglianze difensive articolate nei primi due motivi dei due identici ricorsi siano propongano censure estranee al sindacato di questa Corte, perché solo formalmente sono volte a censurare vizi riconducibili all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. peri., essendo, invero, tese a contestare una decisione che si assume errata in quanto fondata su una valutazione non condivisa di un materiale probatorio che giudicato insufficiente, e finendo per prospettare così una diversa lettura delle risultanze processuali, un differente giudizio di rilevanza e di attendibilità delle fonti di prova, ed evidenziando ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento;
ribadito che il controllo di legittimità ha ad oggetto il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve effettivamente rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della scelta e della valutazione del materiale probatorio poste a base della decisione, che, in quanto riservate al giudice di merito, sono estranee al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di cassazione, alla quale, pertanto, è preclusa la possibilità di una nuova e diversa valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa interpretazione, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti probatorie (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 18521 d 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099);
rilevato che il terzo motivo di entrambi gli identici ricorsi, con cui la difesa deduce vizio di motivazione in relazione all’omessa applicazione delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente atteso che la Corte territoriale (cfr., pagg. 10 e 11 della impugnata sentenza) ha adeguatamente indicato le ragioni della
propria decisione sul punto, dovendosi a tal proposito ribadire, da un lato come il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti possa essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell’imputato (cfr., in tal senso, Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610); e dall’altro lato, che in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, insindacabile in questa sede se non sotto il profilo della manifesta illogicità, e non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente che egli faccia riferimento a quelli riten decisivi o comunque rilevanti (nel caso di specie, la negativa condotta processuale tenuta dal ricorrente consistita nel negare l’addebito, fornendo un’inverosimile versione della vicenda), rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (cfr., in tal senso, tra le tante, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269);
osservato che il quarto identico motivo dei due ricorsi qui in esame, con cui la difesa deduce vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione della circostanza attenuante del danno della speciale tenuità in favore degli odierni ricorrenti, è formulato in termini non consentiti in sede di legittimità, perché reiterativo di una doglianza già sottoposta all’attenzione della Corte territoriale che l’ha disattesa facendo corretta applicazione dei principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità secondo cui la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subìto in conseguenza del reato, senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 28269 del 31/05/2023, Conte, Rv. 284868 – 01; Sez. 2, n. 5049 del 22/12/2020, dep 2021, COGNOME, Rv. 280615-01; Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Sicu, Rv. 269241 -01; Sez. 5, n. 24003 del 14/01/2014, COGNOME, Rv. 260201 – 01);
ritenuto che il quinto motivo di ricorso, identico per entrambi, con cui la difesa deduce vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena irrogata, è manifestamente infondato avendo i ricorrenti, nella sostanza, finito per rivendicare un inesistente diritto al minimo della pena, mentre il primo giudice, con
motivazione condivisa dalla Corte territoriale, ha fissato la pena base nella misura intermedia, facendo riferimento ai criteri previsti dall’art. 133 cod. pen., evidenziando puntualmente quelli che avevano fondato una diagnosi negativa, quali l’intensità del dolo e la gravità delle condotte realizzate;
ribadito che, d’altro canto, la graduazione del trattamento sanzionatorio, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e a titolo di continuazione, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., cosicché nel giudizio di cassazione è comunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione (come nel caso di specie) non sia frutto di arbitrio o di ragionamento illogico (cfr., Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142);
considerato, infine, che il sesto motivo del ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME con cui si deduce vizio di motivazione in ordine all’omessa applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. è reiterativo di doglianze già correttamente attenzionate dai giudici di merito, oltre che aspecifico, perchè non caratterizzato dai requisiti richiesti, a pena di nullità del ricorso, dagli artt. 581 e 591 cod. proc. peri., in relazione al tenore del provvedimento impugnato (cfr., vedi pag. 11-12), ed a fronte di una congrua motivazione fornita sul punto dalla Corte di appello, che, in conformità con i principi affermati da questa Corte, ha esplicato come quello del COGNOME non possa essere ritenuto un contributo del tutto marginale alla realizzazione dei reati del caso;
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma, il ‘ 3. dicembre 2024.