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Ricorso inammissibile: la Cassazione conferma condanna

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino straniero condannato per essersi trattenuto in Italia senza giustificato motivo dopo un ordine di espulsione. La Corte ha stabilito che le censure sollevate miravano a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, confermando la decisione del Giudice di Pace. Il ricorso inammissibile è stato quindi respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione Non Può Riesaminare i Fatti

L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio di come funziona il giudizio in Corte di Cassazione e delinea i limiti entro cui un condannato può impugnare una sentenza. Al centro della vicenda vi è il concetto di ricorso inammissibile, un esito che si verifica quando l’impugnazione non presenta vizi di legittimità, ma tenta piuttosto di ottenere una nuova valutazione del merito della causa, compito che non spetta alla Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Un cittadino straniero veniva condannato dal Giudice di Pace di Perugia al pagamento di una multa di settemila euro. Il reato contestato era quello previsto dall’art. 14, comma 5-ter del Testo Unico sull’Immigrazione, ovvero l’essersi trattenuto nel territorio nazionale senza un giustificato motivo, violando un ordine di allontanamento emesso dal Questore.

Contro questa decisione, l’imputato, tramite il suo legale, proponeva ricorso per Cassazione, lamentando una presunta violazione di legge e vizi di motivazione. In sostanza, contestava sia la sussistenza del reato sia l’adeguatezza della pena inflitta, sostenendo che le sue argomentazioni difensive non erano state correttamente valutate.

La Decisione della Corte e il Principio del Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del nostro ordinamento processuale: la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Questo significa che il suo compito non è quello di ricostruire i fatti o di valutare nuovamente le prove, ma solo di verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza impugnata sia logica e non contraddittoria.

L’impossibilità di una nuova valutazione dei fatti in Cassazione

I giudici hanno osservato che i motivi del ricorso si concentravano su una riconsiderazione degli elementi fattuali. La difesa, ad esempio, aveva addotto l’impossibilità economica di acquistare un biglietto aereo come giustificazione per la permanenza in Italia. Tuttavia, il Giudice di Pace aveva già esaminato e superato questa tesi, fornendo una motivazione ritenuta dalla Cassazione né illogica né contraddittoria. Le doglianze dell’imputato, quindi, non denunciavano un errore di diritto, ma miravano a ottenere una diversa interpretazione dei fatti, cosa preclusa in sede di legittimità.

La discrezionalità del Giudice sul trattamento sanzionatorio

Anche la censura relativa alla pena è stata respinta. La Corte ha ribadito che la determinazione della sanzione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale potere, se esercitato in modo logico e coerente, non è sindacabile in Cassazione. Nel caso specifico, la pena inflitta era peraltro prossima al minimo previsto dalla legge, rendendo la critica della difesa ancora più debole.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte è netta: il ricorso è fondato su censure non consentite. Invocare una “rivalutazione inerente a dati fattuali” equivale a chiedere alla Cassazione di agire come un terzo grado di giudizio di merito, snaturando la sua funzione. La sentenza del Giudice di Pace aveva ricostruito in modo dettagliato gli elementi di prova della permanenza illegale del soggetto e aveva logicamente confutato le giustificazioni addotte. Gli argomenti difensivi, secondo la Corte, erano finalizzati unicamente a provocare una “non consentita riconsiderazione di elementi fattuali”, motivo per cui il ricorso doveva essere dichiarato inammissibile.

Le Conclusioni

La declaratoria di inammissibilità ha comportato non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa pronuncia ribadisce un’importante lezione processuale: un ricorso in Cassazione deve basarsi su solidi motivi di diritto, come l’errata interpretazione di una norma o un vizio logico palese nella motivazione, e non può essere utilizzato come un’ultima speranza per rimettere in discussione i fatti già accertati nei precedenti gradi di giudizio.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate non riguardavano violazioni di legge o vizi logici della motivazione, ma si limitavano a chiedere una nuova valutazione dei fatti già esaminati dal giudice di merito, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.

La difficoltà economica a comprare un biglietto aereo è una giustificazione valida per non rispettare l’ordine di espulsione?
Secondo quanto emerge dalla decisione, il giudice di merito aveva già valutato e respinto questa giustificazione, considerandola non sufficiente a scagionare l’imputato. La Corte di Cassazione ha ritenuto questa valutazione né illogica né contraddittoria e, pertanto, non sindacabile in sede di legittimità.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale. La sentenza impugnata diventa definitiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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