Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18098 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18098 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/03/2025
SENTENZA
COGNOME NOME COGNOME nato in Bulgaria il 15/04/1986 avverso la sentenza del 09/04/2024 della Corte Appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 15 marzo 2023 dal Tribunale di Forlì, ha rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 8 629 e 56-629 cod. pen. e 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Ha proposto ricorso per cassazione il suddetto imputato, a mezzo del proprio difensore, formulando nove motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ribadita affermazione di responsabilità in ordine a tutti i rea contestati. La Corte di appello avrebbe interpretato in maniera priva di effettivo riscontro con le emergenze istruttorie il contenuto dei messaggi Whatsapp tra COGNOME e COGNOME e impropriamente valorizzato il riferimento di quest’ultima ai prelievi da lei effettuati in corrispondenza con i versamenti di COGNOME all’imputato.
2.2. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alle dichiarazioni di NOME COGNOME interpretate fraintendendone il senso e non leggendole in endiadi con quanto riferito in sede di indagini difensive.
2.3. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla testimonianza di NOME COGNOME e NOME COGNOME, travisandone il reale contenuto, in particolare per quanto attiene ai rapporti tra l’imputato e NOME, omettendo altresì di tenere in adeguata considerazione la registrazione audio in cui quest’ultimo descriveva le dinamiche maliziose con cui si liberava di soci scomodi.
2.4. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla testimonianza di NOME COGNOME e NOME COGNOME privilegiando immotivatamente la versione della donna e senza tenere conto che COGNOME e COGNOME collaboravano nella comune attività di spaccio. Non risulterebbero dirimenti sul punto né la documentazione bancaria, né il passaggio di proprietà dell’autovettura in favore di COGNOME, né l’episodio dell’incendio (in ordine al quale sarebbero tuttora in corso indagini). Peraltro, il tale “COGNOME” che avrebbe minacciato il teste COGNOME prima dell’udienza altri non sarebbe che NOME COGNOME.
2.5. Violazione di legge in relazione all’art. 533 cod. proc. pen., non avendo offerto la Corte territoriale alcuna argomentazione in ordine alla versione alternativa fornita dall’imputato. In particolare, le reciproche posizioni di dare avere tra COGNOME e COGNOME soci in re illicita, comporterebbero l’insussistenza dell’ingiustizia del profitto, ex art. 629 cod. pen., di modo che potrebbe ipotizzarsi, in presenza di violenza e minaccia, solo una violenza privata, avuto riguardo anche all’assenza di situazioni tutelate dall’ordinamento.
2.6. Violazione di legge in relazione all’art. 82 cod. proc. pen., poiché la Corte di appello avrebbe confermato le statuizioni civili, nonostante la remissione della querela e la revoca della costituzione (discendente dal mancato deposito delle conclusioni), richiamando irritualmente la mancata esibizione dell’accordo transattivo e la mancata previsione nella procura speciale di un’espressa facoltà di revoca.
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2.7. Violazione di legge in relazione all’art. 99, quarto comma, cod. pen., poiché sarebbe stata ritenuta la recidiva sulla sola scorta del casellario giudiziale.
2.8. Vizio di motivazione in relazione ai singoli aumenti a titolo di continuazione, non potendo reputarsi sufficiente il mero richiamo alle argomentazioni – irritualmente cumulative per tutti i delitti satellite – del pri giudice.
2.9. Carenza di motivazione e travisamento delle prove in ordine al risarcimento dei danni alle parti civili, essendo stato riconosciuto un danno patrimoniale senza alcun elemento concreto a supporto di tale statuizione.
Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 611, comma 1, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
I primi quattro motivi replicano questioni già correttamente disattese nella sentenza impugnata, senza misurarsi in concreto con le argomentazioni ivi esposte.
2.1. In primo luogo, occorre registrare la piena conferma della ricostruzione in fatto e delle considerazioni in diritto operate dal primo giudice da parte della Corte territoriale, che giunge ad analoghe conclusioni, sulla scorta di una conforme ponderazione del compendio istruttorio. I giudici di appello hanno pienamente condiviso, con motivazione logica e persuasiva, la decisione di primo grado, ricostruendo analiticamente la posizione e le condotte direttamente imputabili al ricorrente. La sentenza di secondo grado si salda, quindi, con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, poiché i motivi di gravame non hanno riguardato elementi nuovi, ma si sono limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229-01; Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01). D’altronde, in presenza di una “doppia conforme” anche nell’iter motivazionale, il giudice di appello non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. In tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non
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espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260841-01). Neppure la mancata enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prov contrarie, con riguardo all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione, determina la nullità della sentenza d’appello per mancanza di motivazione, se tali prove non risultano decisive e se il vaglio sulla loro attendibilità possa, comunque, essere ricavato per relationem dalla lettura della motivazione (Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 27585301).
2.2. Il ricorrente contesta reiteratamente l’interpretazione delle registrazioni e dei messaggi acquisiti in giudizio e apprezzati, in modo logico e persuasivo, dai giudici di merito. Alla luce delle considerazioni che precedono, appare, dunque, evidente come, all’attività valutativa propria del giudicante di merito non si sottragga il concreto tenore di queste emergenze documentali. L’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati è rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non può essere sindacata dalla Corte di cassazione se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715-01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389-01). Analogamente, rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità anche l’attendibilità delle persone offese e degli altri testimoni, salvo che il giudice stess non sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, COGNOME, Rv. 240524-01; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, COGNOME, Rv. 239342-01).
2.3. La sentenza impugnata valuta logicamente – collocandoli nel più ampio scenario dei rapporti tra COGNOME, da un lato, e COGNOME e COGNOME, dall’altro – i messaggi prodotti dalla difesa, privi di continuità temporale (poiché non depositati nella loro versione integrale), concludendo per l’inconferenza dell’asserito tono amichevole e pacifico, dimostrativo in realtà solo dello stato di soggezione della donna, impossibilitata a rispondere con modi sgarbati alle minacciose richieste dell’imputato. Oltre alla cessione, quale datio in solutum, dell’autovettura della madre, risultano indirettamente comprovate per tabulas anche le costanti consegne di denaro, alla luce dei riscontri oggettivi alla narrazione delle due parti civili. (Sul punto, i giudici bolognesi richiamano l’accenno della sentenza di primo grado alla documentazione – richiesta di finanziamento, estratti conto, etc. – in ordine alle modalità di reperimento della provvista; su tali dati informativi, i ricorrente non articola doglianze specifiche)
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2.4. La sostanziale ritrattazione da parte di NOME COGNOME sentito nell’ambito delle indagini difensive, rispetto alle propalazioni accusatorie rilasciate agl inquirenti, è congruamente chiarita dai giudici bolognesi, che la ricollegano alle pressioni minatorie provenienti dall’imputato, già riferite in precedenza, e ne traggono un’ulteriore conferma non solo dell’attività di spaccio, ma anche delle modalità intimidatorie con cui era curato il recupero crediti.
2.5. Nel caso di “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova può essere dedotto in cassazione solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente distorto sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, Sessa, Rv. 283777-01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 26921701; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258438-01) ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi in un medesimo travisamento in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, COGNOME, Rv. 280155-01).
Il continuum argomentativo delle due pronunce di merito e la piena tenuta logica dei due apparati motivazionali esclude, quindi, la possibilità di dedurre genericamente il travisamento della prova ovvero altri vizi ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen.
2.5.1. Nello specifico, anche avuto riguardo al contenuto della registrazione del dialogo tra presenti, le dichiarazioni dei testi COGNOME e COGNOME (già inficiate dalla loro dimidiata attendibilità, essendo entrambi amici dell’imputato e alla luce delle numerose contraddizioni del secondo), correttamente valutate, al netto delle circostanze marginali o inconferenti, rappresentano in definitiva ulteriori conferme dell’ipotesi accusatoria, ribadendo che COGNOME spacciava per conto di COGNOME ed aveva accumulato un debito consistente nei suoi confronti.
Risultava, altresì, privo di pregio l’assunto difensivo della strumentalità della denuncia di Genov, asseritamente diretta a colpire un concorrente nella medesima piazza di spaccio, tenuto conto del procedimento penale scaturito prevedibilmente anche nei suoi confronti a seguito dell’autodenuncia e della correlata, inevitabile interruzione dell’attività illecita.
2.5.2. Del pari, risultano adeguatamente scrutinati, in entrambi i gradi di giudizio, i rapporti tra COGNOME e COGNOME, in particolare per quanto attiene alla genesi della volontà collaborativa del primo, stanco dei soprusi e delle intimidazioni da parte del “socio tiranno” nell’attività criminale. La Corte di merito ha, altres fornito piena risposta alle deduzioni difensive in merito ai tentativi di subornazione
da parte di tale “COGNOME” (che, peraltro, il Tribunale aveva già identificato nell persona di COGNOME) nei confronti di COGNOME notando l’assoluta mancanza di validi elementi a supporto, nonché alle dichiarazioni di NOME COGNOME.
2.6. Tutti i profili di censura in esame risultano, pertanto, non consentiti, siccome diretti a sollecitare un’impossibile rilettura del materiale istruttorio ( fronte di un discorso giustificativo scevro da vizi logico-giuridici), generici, quanto sterilmente reiterativi, e, comunque, manifestamente infondati.
Il quinto motivo risulta manifestamente infondato, sia perché, lungi dall’obliterare i profili di gravame, la Corte territoriale ha espressamente disatteso le specifiche deduzioni difensive, nei termini sopra brevemente riepilogati, sia perché, in ogni caso, nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, come più ampiamente chiarito al precedente paragrafo 2.1.
La pretesa violazione della regola COGNOME, d’altronde, può essere portata nel perimetro cognitivo del giudice di legittimità solo censurando l’illogicità manifesta del discorso giustificativo di merito (cfr. Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556-01; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).
L’invocata riqualificazione del fatto, infine, in realtà postula irritualmente peraltro in termini insuperabilmente generici, privi di riferimenti specifici ai singo delitti di estorsione ascritti all’imputato – una diversa ricostruzione della vicenda storica, da cui poi trarre le auspicate conclusioni in iure.
Quanto alla recidiva reiterata specifica infraquinquennale, la Corte bolognese ha condiviso gli argomenti espressi sul punto dal primo giudice, richiamando la costanza con cui COGNOME ha commesso reati di variegata natura in un consistente arco temporale, segno di uno stabile inserimento nei circuiti criminali, così dimostrando un’indole incline alla violenza e impermeabile all’effetto deterrente delle plurime condanne subite.
Risulta così adeguatamente delineata, in coerenza con i principi di diritto costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità, una sequenza recidivante di chiara pregnanza, che, data la tipologia, la non occasionalità e la collocazione temporale dei reati precedenti, risulta senza dubbio espressiva di una maggiore pericolosità e di una più accentuata colpevolezza del reo (Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023, Antignano, Rv. 284425-01; Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270419-01).
Le doglianze sul punto sono, pertanto, manifestamente infondate.
È altresì manifestamente priva di fondamento la censura inerente al difetto di motivazione relativamente ai singoli aumenti ex art. 81 cod. pen.
Non è in dubbio, infatti, l’obbligo per il giudice di argomentare, quanto alle modalità di determinazione della pena complessiva, anche in merito all’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269-01, che sottolinea, d’altronde, come il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena sia correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato rapporto di proporzione tra le pene, che risultino rispettati i limiti previsti dall’ 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale; cfr. anche Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, COGNOME, Rv. 284005, secondo cui il giudice di merito, nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen.).
Tuttavia, non è riscontrabile alcuna carenza motivazionale, dal momento che le originarie statuizioni del Tribunale in punto di trattamento sanzionatorio sono state condivise nelle loro direttrici generali dai giudici di appello, che hanno poi proceduto semplicemente ad attenuarne la consistenza. In ogni caso, l’iter attraverso cui addivenire al quantum, puntualmente indicato per ogni singolo delitto posto in continuazione in ragione della rispettiva gravità, era stato giustificato con specifici richiami alla consistenza del profitto e all’intensità del violenze e minacce. Risulta così pienamente rispettato l’onere argomentativo, anche esplicitando l’applicazione dell’aumento minimo ex art. 81, quarto comma, cod. pen. (cfr. Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288-01; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243-01; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283-01, secondo cui nel caso in cui venga irrogata una pena molto al di sotto della media edittale, l’obbligo motivazionale si attenua ed è sufficiente che si richiami il criterio di adeguatezza della pena).
Sono manifestamente infondate le censure, articolate nel sesto e nel nono motivo, inerenti le statuizioni civili.
6.1. Ai sensi dei primi tre commi dell’art. 82 cod. proc. pen., «la costituzione di parte civile può essere revocata in ogni stato e grado del procedimento con dichiarazione fatta personalmente dalla parte o da un suo procuratore speciale in udienza ovvero con atto scritto depositato nella cancelleria del giudice e notificato alle altre parti. La costituzione si intende revocata se la parte civile non presenta le conclusioni a norma dell’articolo 523 ovvero se promuove l’azione davanti al giudice civile. Avvenuta la revoca della costituzione a norma dei commi 1 e 2, il
giudice penale non può conoscere delle spese e dei danni che l’intervento della parte civile ha cagionato all’imputato e al responsabile civile. L’azione relativa può essere proposta davanti al giudice civile».
Nondimeno, in virtù del cosiddetto principio di immanenza (sancito dall’art. 76, comma 2, cod. proc. pen., secondo cui «la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo»), la parte civile, una volt costituita, deve ritenersi presente nel processo, anche nei successivi gradi di giudizio, di modo che la caducazione della costituzione ex lege in conseguenza della mancata presentazione delle conclusioni trova applicazione solo per il giudizio di primo grado, poiché in tal caso non si formerebbe il petitum sul quale il giudice deve pronunciarsi; al contrario, le conclusioni rassegnate in primo grado restano valide in ogni stato e grado del processo (Sez. 5, n. 18125 del 31/01/2024, Puleio, non mass.; Sez. 2, n. 900 del 29/11/2023, dep. 2024, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 24637 del 06/04/2018, COGNOME, Rv. 273338-01; Sez. 6, n. 25012 del 23/05/2013, COGNOME, Rv. 257032-01; Sez. 2, n. 24063 del 20/05/2008, COGNOME, Rv. 240616-01).
Tale principio di immanenza della parte civile non vale ad escludere il rispetto delle forme che regolano la sua presenza nel processo. Occorre, a tale proposito, distinguere tra la procura speciale rilasciata, ai sensi degli artt. 76 e 122 cod. proc. pen., da chi sostiene di essere danneggiato dal reato (il cosiddetto legittimato ad causam, titolare del diritto al risarcimento e alle restituzioni), così da conferire a procuratore la capacità di essere soggetto del rapporto processuale (legitimatio ad processum), avendo in tal modo quest’ultimo titolo di promuovere l’azione risarcitoria in nome e per conto del rappresentato, e la procura speciale – che risponde a un’esigenza schiettamente pubblicistica – rilasciata, ex art. 100 cod. proc. pen., relativa soltanto allo ius postulandi ed avente pertanto ad oggetto la rappresentanza tecnica in giudizio (Sez. U, n. 44712 del 27/10/2004, COGNOME, Rv. 229179-01, in motivazione; in termini, cfr. Sez, 5, n. 43479 del 18/03/2015, COGNOME, Rv. 265226 – 01).
Solo in relazione alla procura alle liti, si prevede che il difensore possa compiere e ricevere, nell’interesse della parte rappresentata, tutti gli atti del procedimento che dalla legge non siano espressamente riservati a quest’ultima; e, anche in questo caso, il procuratore, non potrebbe comunque compiere atti che importino disposizione del diritto in contesa se non ne abbia ricevuto espressamente il potere (art. 100, comma 4, cod. proc. pen.).
6.2. Ciò, premesso, la lettura delle speculari procure speciali conferite da NOME COGNOME e NOME COGNOME all’avv. NOME COGNOME (che il Collegio può valutare, quale giudice del fatto processuale) conferma la correttezza delle conclusioni della Corte di merito.
L’atto contiene inconfutabilmente sia la procura alle liti ex art. 100 cod. proc. pen. («Nomina difensore di fiducia affinché lo rappresenti e difenda in ogni stato e grado di detto procedimento »), sia il conferimento della rappresentanza processuale ex artt. 76 e 122 cod. proc. pen. («Conferisce altresì procura speciale al nominato difensore perché in sua e vece e conto si costituisca parte civile nell’instaurando processo. Attribuisce, infine, al nominato difensore la facoltà di nominare sostituti ai quali si debbono intendere estese tutte le facoltà a lui conferite con il presente atto»).
Posto che l’art. 122, comma 1, cod. proc. pen. prevede che la procura speciale debba contenere «la determinazione dell’oggetto per cui è conferita», a pena di inammissibilità (e il successivo comma 3 esclude persino la possibilità di ratifica degli atti compiuti in difetto di rituale procura speciale), emerge manifestamente il difetto di poteri abdicativi in capo al legale nominato procuratore speciale. Difettava, quindi, la legittimazione del difensore alla dichiarazione di revoca della costituzione di parte civile (e resta priva di effetti, data la procedibilità officiosa tutti i delitti in contestazione, la remissione di querela).
6.3. La condanna al risarcimento del danno, di piena conferma delle statuizioni di primo grado, non lascia margini di dubbio su quale sia l’automobile oggetto di specifica voce di danno; in particolare, la sentenza di appello, p. 16, ritiene il discorso giustificativo del Tribunale insuscettibile di equivoci, essendo stata compiutamente individuata, «contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, anche l’auto su cui è stato calcolato l’importo, vale a dire la Peugeot “sottratta” alla Toncheva (p. 4 sent. primo grado )».
La sussistenza del danno risarcito, in via definitiva, anche sub specie di danno morale, è correttamente fatta discendere, all’esito dell’ampia ricostruzione dei fatti, «in considerazione della gravità e dell’insistenza delle minacce ricevute, tali da cagionare nella predetta un forte e giustificato timore per la propria incolumità, da cui è indubbiamente derivata sofferenza» (sentenza di primo grado, p. 22; concorda sul punto, globalmente, la Corte di appello, p. 16). Le doglianze mosse sul punto risultano meramente rivalutative.
La transazione intercorsa tra le parti sarà, nel caso, opponibile al creditore ipoteticamente procedente, laddove e per quanto già soddisfatto.
7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i
profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 19 marzo 2025.