Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30724 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30724 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 22/08/1986
avverso la sentenza del 18/06/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
R.G.
rilevato che, con due motivi di ricorso, NOME COGNOME ha dedotto: a) il vizio di motivazione in ordine all’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. (dolendosi, in particolare, della mancata assoluzione dell’imputato per mancanza o insufficienza della prova della commissione del fatto da parte dell’imputato, essendosi appiattita la motivazione della sentenza d’appello su quella del primo giudice, senza esaminare le doglianze difensive che ruotavano attorno alla mancanza di impronte compatibili con quelle dell’imputato sugli involucri di stupefacente e sul bilancino, nonché sull’assenza di denaro contante in casa, non essendovi elementi di certezza in ordine alla riferibilità dello stupefacente all’attuale ricorrente, essend l’appartamento abitato da diversi soggetti, tanto che vi erano anche lavori in corso); b) il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio (dolendosi, in particolare, della motivazione in ordine al sensibile discostamento dal minimo edittale, tenuto conto che la quantità dello stupefacente detenuto e l’esistenza di precedenti penali non era ostativa alla determinazione nel minimo);
ritenuto che i motivi di ricorso proposti dalla difesa sono inammissibili in quanto entrambi riproducono profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici e di merito e non scanditi da specifica criticità dell argomentazioni a base della sentenza impugnata, prefigurando peraltro una rivalutazione e rilettura alternativa delle fonti probatorie, estranea al sindacato di legittimità, avulsa da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito, e comunque manifestamente infondati perché inerenti ad asserita contraddittorietà motivazionale non emergente dal provvedimento impugnato (si v., in particolare, le considerazioni espresse alle pagg. 6/7 della sentenza impugnata, che, con argomentazioni immuni dai denunciati vizi, chiariscono le ragioni per le quali il quadro probatorio consentiva di escludere la sostenibilità dell’alternativa ricostruzione dei fatti sostenuta dalla difesa, sia perché sfornita di concreti riscontri, sia perché smentita da elementi indiziari deponenti nel senso di escludere che lo stupefacente fosse stato collocato da terzi sotto il materasso nella stanza in uso al ricorrente a sua insaputa; la versione difensiva, si legge in sentenza, non trovava fondamento sul piano logico e fattuale, sia perché non è riscontrato che per raggiungere la terrazza ove era collocata la caldaia occorresse passare dalla camera dell’imputato, trattandosi di circostanza riferita solo da quest’ultimo, non confermata dal teste COGNOME né approfondita dalla difesa nel corso dell’esame di quest’ultimo, non essendo stato comprovato che il tecnico che doveva controllare la caldaia avesse avuto accesso alla camera dell’imputato, presenza del tecnico
necessitata dai concreti malfunzionamenti dell’impianto di riscaldamento che, peraltro, non è chiaro per quale ragione avrebbe dovuto occultare lo stupefacente sotto il materasso dell’imputato né come avrebbe inteso procedere al recupero in un momento successivo, non meglio definito, sempre all’insaputa dell’imputato; peraltro, si aggiunge, in sentenza, al momento dell’accesso degli operanti, il tecnico era già andato via, dunque non poteva nemmeno ipotizzarsi che potesse aver occultato lo stupefacente perché sorpreso dall’inattesa visita delle forze dell’odine, a differenza, invece, di quanto avvenuto per l’imputato, costretto ad occultare frettolosamente lo stupefacente ed il bilancino nel tentativo di eluderne il ritrovamento; quanto, poi, alla possibilità che potessero essere stati gli operai impegnati nel cantiere ad occultare lo stupefacente ed il bilancino nella camera da letto dell’imputato, la sentenza puntualizza come si sia trattato in realtà di mere congetture, prive di riscontri, smentite dal rinvenimento dello stupefacente e del bilancino sotto il materasso nella camera in disponibilità dell’imputato, laddove si chiarisce come la compagna di quest’ultimo era ricoverata in ospedale ed il figlio era stato affidato ad una baby sitter, in quel momento dunque entrambi assenti dall’abitazione; infine, i giudici ritengono non dirimente in senso contrario la mancanza di impronte papillari utili in sede di accertamenti dattiloscopici, costituendo ciò – si legge a pag. 5 della sentenza – un dato neutro in quanto compatibile con il maneggio dello stupefacente da parte dell’imputato e/o da altri complici rimasti sconosciuti, mediante l’uso di adeguate precauzioni atte ad evitare il contatto diretto}
Rilevato che, al cospetto di tale apparato argonnentativo, si tratta, all’evidenza, di censure generiche per aspecificità in quanto riproducono, senza alcun apprezzabile elemento di novità critica, le doglianze svolte davanti ai giudici di appello, dovendosi, a tal proposito, ribadire che, in tema di giudizio di legittimità l’introduzione nel disposo dell’art. 533 cod. proc. pen. del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio” ad opera della legge 20 febbraio 2006, n. 46, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, sicché la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, segnalata dalla difesa, non integra un vizio di motivazione se sia stata oggetto di disamina da parte del giudice di merito (Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285801 – 01), come avvenuto con meritevole scrupolo argomentativo dalla Corte d’appello; a ciò va, poi, aggiunto che l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per
espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione
alle acquisizioni processuali (per tutte: Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME
Rv. 226074 – 01), esistenza che, nella specie, non può essere posta in discussione;
ritenuto, infine, quanto al motivo afferente al trattamento sanzionatorio, che lo stesso non sfugge al giudizio di inammissibilità, posto che i giudici territorial
chiariscono le ragioni per le quali non fossero rinvenibili elementi tali da giustificare un ulteriore contenimento della pena, già adeguatamente ridimensionata dalla
benevole concessione delle attenuanti generiche; in particolare, i giudici di merito si preoccupano anche di chiarire le ragioni del discostamento dal minimo edittale,
osservando come l’imputato fosse gravato da condanne per reati della medesima indole, detenesse un quantitativo non minimale di sostanza da cui erano ricavabili
34 dosi medie singole, idoneo a soddisfare una platea non minimale di acquirenti, a fronte della capacità di attingere a canali di rifornimento benchè detenuto agli
arresti domiciliari; anche sotto tale profilo, dunque, la decisione non merita censura, dovendo, peraltro, ribadirsi come in tema di determinazione della pena,
nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283 – 01);
ritenuto, conclusivamente, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso 1’11 aprile 2025
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Il Consigl re estensore.
Il Presidente