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Ricorso inammissibile: la Cassazione chiarisce

Un soggetto, condannato per reati legati agli stupefacenti, ha presentato ricorso in Cassazione chiedendo la riqualificazione del fatto in ipotesi di lieve entità e contestando la confisca di denaro. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, poiché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza di secondo grado, che aveva ampiamente giustificato sia la gravità del reato sia la legittimità della confisca.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione Respinge la Mera Reiterazione dei Motivi

Nel processo penale, il ricorso in Cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio, un momento cruciale in cui si può contestare una sentenza per vizi di legittimità. Tuttavia, non è una terza istanza per riesaminare i fatti. Un’ordinanza recente della Suprema Corte ribadisce un principio fondamentale: un ricorso inammissibile è tale quando si limita a riproporre le stesse argomentazioni già valutate e respinte in appello, senza un confronto critico con la decisione impugnata. Analizziamo il caso per capire meglio.

I Fatti del Caso

L’imputato era stato condannato in primo e secondo grado per reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti, in concorso con altre persone. La Corte d’Appello di Torino, pur riformando parzialmente la pena, aveva confermato la sua responsabilità penale, condannandolo a due anni, due mesi e venti giorni di reclusione e a 6.000 euro di multa.

A fronte di questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, basandolo su due motivi principali: la mancata riqualificazione del reato nell’ipotesi di lieve entità (prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti) e l’illegittimità della confisca di una somma di denaro disposta nei suoi confronti.

I Motivi del Ricorso e la Regola del ricorso inammissibile

I motivi presentati dall’imputato miravano a ottenere un trattamento sanzionatorio più mite e la restituzione del denaro. La difesa sosteneva che le circostanze del fatto non fossero così gravi da escludere l’ipotesi della lieve entità, caratterizzata da una minore offensività della condotta.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha immediatamente rilevato una criticità fondamentale: i motivi del ricorso erano una mera riproposizione delle doglianze già avanzate nell’atto di appello. L’imputato non si era confrontato con le argomentazioni logico-giuridiche con cui la Corte d’Appello aveva respinto tali richieste, ma si era limitato a reiterarle. Questo comportamento processuale porta a qualificare il ricorso inammissibile, poiché non attacca la logica della sentenza di secondo grado, ma cerca un improbabile terzo esame del merito dei fatti.

La Valutazione sulla Gravità del Fatto

La Corte d’Appello aveva ampiamente motivato la decisione di non riconoscere l’ipotesi di lieve entità. Aveva evidenziato elementi negativi specifici, come:

* La lesione al bene giuridico della salute pubblica.
* Il ruolo dell’imputato nel rifornire altri soggetti che a loro volta erano spacciatori.
* L’estrema dimestichezza e spregiudicatezza dimostrate nella condotta criminale.

Questi fattori, valutati complessivamente, portavano a escludere che il fatto potesse essere considerato di lieve entità, in linea con i principi di offensività e proporzionalità della pena stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità.

La Legittimità della Confisca

Anche riguardo alla confisca del denaro, la Corte territoriale aveva fornito una motivazione chiara. La misura era stata disposta perché l’imputato non era stato in grado di giustificare la legittima provenienza della somma, risultata sproporzionata rispetto al suo reddito dichiarato. Questo presupposto legittima l’applicazione della confisca, come previsto dalla normativa.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha sottolineato che i motivi proposti non erano “consentiti dalla legge in sede di legittimità”. Essi, infatti, non denunciavano un vizio di violazione di legge o un difetto di motivazione della sentenza d’appello, ma si limitavano a riproporre le medesime critiche già espresse nel precedente grado di giudizio.

La Suprema Corte ha richiamato la propria giurisprudenza consolidata, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che “riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato” (Cass. n. 36154/2024). In sostanza, il ricorso non può essere una copia dell’appello, ma deve specificamente individuare e contestare gli errori di diritto o i vizi logici presenti nella motivazione della sentenza di secondo grado.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica per la redazione degli atti processuali. Un ricorso per Cassazione efficace non può limitarsi a esprimere disaccordo con la decisione precedente. Deve, invece, smontare pezzo per pezzo il ragionamento del giudice d’appello, dimostrando dove e perché quel ragionamento sia errato dal punto di vista giuridico o manifestamente illogico. La mera riproposizione di argomenti già vagliati e respinti si traduce in un ricorso inammissibile, con conseguente spreco di tempo e risorse, e la definitiva conferma della condanna.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni e critiche già presentate nell’atto di appello, senza confrontarsi criticamente con le motivazioni con cui la Corte d’Appello le aveva respinte. Questo lo rende un atto non consentito in sede di legittimità.

Quali elementi ha considerato la Corte d’Appello per escludere la lieve entità del reato?
La Corte d’Appello ha escluso la lieve entità del reato basandosi su diversi elementi negativi, tra cui la lesione alla salute pubblica, il fatto che l’imputato rifornisse altri spacciatori, e l’estrema dimestichezza e spregiudicatezza dimostrate nella sua condotta.

Su quale presupposto è stata confermata la confisca del denaro?
La confisca è stata confermata sul presupposto che l’imputato non avesse fornito alcuna giustificazione sulla legittima provenienza del denaro, il cui ammontare era sproporzionato rispetto al suo reddito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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