Ricorso Inammissibile: Quando la Scelta del Rito Processuale Sana le Nullità
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sulle conseguenze delle scelte processuali. La Corte ha dichiarato un ricorso inammissibile, sottolineando come la selezione di un rito alternativo, come il giudizio abbreviato, comporti una forma di acquiescenza che ‘sana’ le nullità non assolute. Questa decisione ribadisce un principio fondamentale: le strategie difensive devono essere ponderate attentamente, poiché possono precludere la possibilità di sollevare determinate eccezioni in un secondo momento.
I Fatti del Processo
Il caso ha origine da una sentenza di condanna emessa dal GUP del Tribunale per un reato previsto dall’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti (d.P.R. 309/1990), relativo a fatti di lieve entità. La condanna, consistente in quattro mesi di reclusione e 600 euro di multa, è stata successivamente confermata dalla Corte d’Appello.
L’imputato, non rassegnato alla decisione, ha deciso di presentare ricorso per cassazione, affidando le sue speranze di annullamento a un vizio procedurale.
L’Appello in Cassazione e la Doglianza dell’Imputato
Il ricorrente ha basato la sua impugnazione sulla presunta nullità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla madre e dal suo convivente. Secondo la difesa, tali testimonianze non sarebbero dovute essere ammesse nel processo, e la loro invalidità avrebbe minato alla base l’intero impianto probatorio, rendendo insufficienti gli elementi per una pronuncia di condanna.
Si trattava, quindi, di una contestazione focalizzata su un aspetto prettamente procedurale, relativo alla formazione e all’utilizzabilità della prova.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha respinto la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile sulla base di due argomentazioni giuridiche interconnesse.
### L’Obbligo di Testimonianza dei Prossimi Congiunti
In primo luogo, i giudici hanno richiamato l’articolo 199 del codice di procedura penale. Questa norma, pur prevedendo una generale facoltà per i prossimi congiunti di astenersi dal testimoniare, stabilisce un’eccezione cruciale: l’obbligo di deporre sussiste quando il congiunto ha presentato denuncia, querela, istanza o quando lui stesso (o un suo prossimo congiunto) è la persona offesa dal reato. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la madre dell’imputato rientrasse in questa categoria, rendendo la sua testimonianza pienamente valida.
### La Sanatoria Tacita derivante dalla Scelta del Rito
Il secondo e più decisivo punto riguarda l’effetto della scelta del rito processuale. La Corte ha evidenziato che l’imputato, optando per un rito che presuppone l’accettazione degli atti fino a quel momento compiuti, ha prestato un’acquiescenza tacita. Come stabilito dall’articolo 183, lettera a), del codice di procedura penale, tale scelta costituisce una forma di sanatoria per tutte le nullità, ad eccezione di quelle ‘assolute’ (previste dall’art. 179 c.p.p.), che nel caso specifico non erano presenti.
In altre parole, scegliendo un rito alternativo, l’imputato accetta gli effetti degli atti del fascicolo del pubblico ministero e rinuncia implicitamente a eccepire vizi procedurali che non rientrano tra quelli insanabili. Questa rinuncia impedisce di sollevare le medesime questioni in sede di impugnazione, rendendo di conseguenza il ricorso inammissibile.
Le Conclusioni
La decisione della Corte di Cassazione si conclude con la declaratoria di inammissibilità del ricorso. In applicazione dell’articolo 616 del codice di procedura penale e della giurisprudenza della Corte Costituzionale (sent. 186/2000), non essendoci prova che il ricorso sia stato proposto senza colpa, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche: la scelta di un rito processuale non è mai neutra. Se da un lato può offrire benefici, come sconti di pena o una maggiore celerità, dall’altro comporta la rinuncia a determinate garanzie e facoltà difensive. Ogni strategia processuale deve quindi essere attentamente valutata, poiché le scelte compiute in una fase possono avere conseguenze irreversibili nelle successive, fino a precludere l’accesso al giudizio di legittimità.
Quando un parente stretto è obbligato a testimoniare contro un familiare?
Secondo l’articolo 199 del codice di procedura penale, citato nell’ordinanza, un parente stretto deve testimoniare quando ha presentato denuncia, querela o istanza, oppure quando egli stesso o un suo prossimo congiunto è la persona offesa dal reato.
La scelta di un rito processuale può impedire di contestare una nullità?
Sì. La Corte chiarisce che la scelta di un rito che implica l’accettazione degli atti (come il giudizio abbreviato) costituisce una forma di acquiescenza tacita. Questo ‘sana’ le nullità relative, impedendo all’imputato di eccepirle successivamente. Fanno eccezione solo le nullità assolute, che sono insanabili.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Come stabilito nell’ordinanza, la dichiarazione di inammissibilità per colpa del ricorrente comporta la condanna di quest’ultimo al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata dal giudice (in questo caso, 3.000 euro).
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24411 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24411 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Corigliano Calabro il 28/03/2000, avverso la sentenza del 14/10/2024 della Corte d’appello di Catanzaro visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Castrovillari del 05/07/2022, che aveva condannato COGNOME COGNOME in ordine al delitto di cui a ll’ articolo 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, alla pena di mesi 4 di reclusione ed euro 600,00 di multa.
Avverso tale sentenza l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando la nullità delle dichiarazioni accusatorie della madre del ragazzo e del
suo convivente e a cascata l’insufficienza degli elementi raccolti per fondare una pronuncia di condanna.
3. Il ricorso è inammissibile.
Come correttamente evidenziato dai giudici di appello, l’articolo 199 cod. proc. pen. precisa che anche i prossimi congiunti devono deporre quando hanno presentato denuncia, querela o istanza, ovvero essi (la madre dell’imputato) o un loro prossimo congiunto (il suo coniuge o compagno) sono offesi dal reato.
In secondo luogo, ha correttamente evidenziato che la stessa scelta del rito contratto impedisce all’imputato di eccepire eventuali nullità : trattasi infatti di una forma di acquiescenza tacita (art. 183 lett. a c.p.p.) (v. Sez. U, n. 39298 del 26/09/2006 – dep. 28/11/2006, Cieslinsky, Rv. 234835-01), per effetto della quale l’imputato accetta gli effetti degli atti e , pertanto, costituisce una forma di sanatoria tacita delle nullità, con l ‘unico sbarramento costituito dalle nullità assolute, che sono insanabili (art. 179 c.p.p.), caso certamente non ricorrente nel caso di specie.
4. Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa d i inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso l’11 aprile 2025.