Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19552 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19552 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 14/03/1962
avverso la sentenza del 13/09/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti il ricorso e la memoria presentati nell’interesse di NOME COGNOME osservato preliminarmente che la richiesta di discussione in pubblica udienza è manifestamente infondata, posto che l’art. 610 cod. proc. pen. prevede che la decisione si tenga in camera di consiglio e che solo ove non venga dichiarata l’inammissibilità, gli atti sono rimessi al -Residente della Corte;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che lamenta la mancata declaratoria di estinzione del reato di cui all’art. 648 cod. pen. per intervenuta prescrizione, è manifestamente infondato poiché prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il combinato disposto degli artt. 157 e 160 cod. pen. alla luce del quale il termine necessario a prescrivere il delitto di ricettazione è pari a dieci anni; pertanto, nel caso di specie, il tempo necessario a far maturare detta causa di estinzione del reato non è certamente decorso;
considerato che il secondo motivo di ricorso, che contesta l’affermazione di responsabilità per il delitto di ricettazione, non è consentito poiché non risulta connotato dai requisiti, richiesti a pena di inammissibilità del ricorso, dall’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., essendo fondato su profili di censura che si risolvono nella reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non caratterizzati da un effettivo confronto con le ragioni poste a base della decisione, e dunque non specifici ma soltanto apparenti, omettendo di assolvere la tipica funzione di una concreta critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che il giudice di appello ha correttamente ritenuto integrato il delitto de quo con adeguato richiamo alla decisione del giudice di prime cure dovendosi rilevare come «ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione» (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01);
che, inoltre, le doglianze difensive tendono a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito, estranee al sindacato del presente giudizio ed avulse da pertinente individuazione di specifici e decisivi travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudicanti;
che, nella specie, i giudici del merito hanno ampiamente vagliato e disatteso, con corretti argomenti logici e giuridici (cfr. Sez. 2, n. 6734 del
30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373 – 01; Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020,
COGNOME Rv. 279908 – 01; Sez. 2, n. 51551 del 04/1272019, COGNOME Rv.
278231 – 01), le doglianze difensive dell’appello, meramente riproposte in questa sede (si veda pag. 3 della sentenza impugnata);
osservato, inoltre, che le doglianze relative alla non configurabilità del reato
di cui all’art. 474 cod. pen., mancando la registrazione del marchio, con conseguente esclusione del delitto di cui all’art. 648 cod. pen., sono
manifestamente infondate poiché «ai fini della sussistenza del delitto previsto dall’art. 474 cod. pen, allorchè si tratti di marchio di larghissimo uso e di
incontestata utilizzazione da parte delle relative società produttrici, non è
richiesta la prova della sua registrazione, gravando in tal caso l’onere di provare la insussistenza dei presupposti per la sua protezione su chi tale insussistenza
deduce» (Sez. 2, n. 36139 del 19/07/2017, COGNOME, Rv. 271140 – 01);
considerato che la doglianza con cui si censura il mancato riconoscimento
della fattispecie attenuata di cui all’art. 648, comma quarto, cod. pen., non è consentita in sede di legittimità perché la censura non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello, secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen., come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata (si veda pag. 2), che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nell’odierno ricorso, se incompleto o comunque non corretto;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
p.Q.m.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 15 aprile 2025.