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Ricorso inammissibile: i motivi generici in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile avverso una condanna per resistenza e detenzione di sostanze illecite. I motivi sono stati giudicati troppo generici e aspecifici, in quanto si limitavano a riproporre censure già respinte nei gradi di merito. La Corte ha sottolineato la correttezza e coerenza della sentenza impugnata, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando i Motivi d’Appello sono Troppo Generici

Presentare un ricorso in Cassazione richiede rigore e precisione. Non è sufficiente essere in disaccordo con una sentenza; è necessario articolare critiche specifiche e pertinenti. Un recente provvedimento della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di come la genericità dei motivi porti a una dichiarazione di ricorso inammissibile, con conseguenze significative per il ricorrente. In questo articolo, analizzeremo un’ordinanza che ribadisce l’importanza di formulare censure mirate e non meramente ripetitive.

Il Contesto del Caso: Dalla Corte d’Appello alla Cassazione

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo da parte della Corte d’Appello per due reati: resistenza a pubblico ufficiale (ex art. 337 c.p.) e detenzione illecita di sostanze stupefacenti (ex art. 73 T.U. Stupefacenti). Non accettando la decisione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, cercando di ottenere l’annullamento della sentenza di secondo grado.

Il suo ricorso, tuttavia, si è scontrato con un ostacolo procedurale insormontabile: la valutazione preliminare di ammissibilità da parte della Suprema Corte.

La Decisione della Suprema Corte e le ragioni del Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza dell’imputato, ma si ferma a un livello precedente, valutando la stessa struttura e contenuto del ricorso. Secondo i Giudici, i motivi presentati non erano consentiti dalla legge in sede di legittimità. Questo significa che le argomentazioni non erano idonee a essere esaminate dalla Cassazione, il cui compito non è rifare il processo, ma verificare la corretta applicazione della legge.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su diverse ragioni precise, che costituiscono un vero e proprio vademecum su come non redigere un ricorso in Cassazione.

In primo luogo, è stata evidenziata la “marcata genericità e aspecificità estrinseca” dei motivi. In termini semplici, il ricorso non attaccava in modo specifico le argomentazioni contenute nella sentenza della Corte d’Appello. Piuttosto che individuare un errore di diritto o un vizio logico nel ragionamento dei giudici di merito, il ricorrente si era limitato a replicare profili di censura già ampiamente esaminati e respinti nei precedenti gradi di giudizio.

La Suprema Corte ha constatato che i giudici d’appello avevano già vagliato e disatteso le doglianze difensive con “argomenti giuridicamente corretti, puntuali rispetto al portato delle doglianze difensive, coerenti con riguardo alle emergenze acquisite oltre che immuni da manifeste incongruenze logiche”. Di fronte a una motivazione così solida, un ricorso in Cassazione non può limitarsi a riproporre le stesse tesi, ma deve dimostrare dove e perché quel ragionamento sarebbe fallace dal punto di vista giuridico.

In sostanza, il ricorso è stato giudicato un tentativo di ottenere un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti, cosa preclusa in sede di legittimità.

Le Conclusioni

Le implicazioni di questa ordinanza sono duplici. Da un lato, essa conferma un principio fondamentale della procedura penale: l’appello in Cassazione non è un’ulteriore opportunità per discutere i fatti, ma un rigoroso controllo sulla legalità della decisione. I motivi devono essere specifici, tecnici e focalizzati su vizi di legge o di motivazione.

Dall’altro lato, la decisione ha conseguenze pratiche molto concrete per il ricorrente. Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la conferma definitiva della condanna, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende. Questo serve da deterrente contro la presentazione di ricorsi palesemente infondati o dilatori, che sovraccaricano il sistema giudiziario senza reali prospettive di accoglimento.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano ritenuti non consentiti dalla legge in sede di legittimità. Essi erano caratterizzati da marcata genericità e aspecificità, limitandosi a replicare censure già esaminate e respinte dai giudici di merito.

Cosa significa che i motivi di un ricorso sono “generici e aspecifici”?
Significa che le argomentazioni non si confrontano in modo mirato e critico con le specifiche ragioni della decisione impugnata. Invece di individuare un preciso errore di diritto o un vizio logico nella motivazione della sentenza, si limitano a riproporre in modo vago le stesse tesi difensive già disattese, senza contestare la coerenza e la correttezza del ragionamento del giudice.

Quali sono le conseguenze economiche per chi presenta un ricorso inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende. Nel caso specifico, tale somma è stata fissata in Euro tremila.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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