Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4773 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 4773 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato il 21/10/1985
NOME COGNOME nato il 07/08/1988
avverso la sentenza del 09/05/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili:
udite le conclusioni della parte civile costituita COGNOME NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili, con condanna alle spese sostenute;
udite le conclusioni dei difensori dei ricorrenti, Avv. NOME COGNOME ed Avv. NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi con ogni conseguente statuizione.
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RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Firenze sull’appello proposto dalla difesa di NOME COGNOME NOME e dal Pubblico ministero avverso la sentenza del Tribunale di Firenze del 14/06/2023 ed in parziale riforma della stessa, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 585 cod. pen. contestata al capo 12), ha rideterminato la pena nei confronti di NOME COGNOME NOME nella misura di anni quattro, mesi nove, giorni venti di reclusione ed euro 700 di multa ed ha altresì condannato NOME per il delitto alla stessa contestato al capo 9) della rubrica alla pena di anni due e mesi due di reclusione ed euro 700 di multa.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, per mezzo dei rispettivi difensori, NOME e NOME NOMECOGNOME proponendo motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod. proc. pen.
Ricorso COGNOME NOME COGNOME.
3.1. GLYPH Violazione di legge e vizio della motivazione quanto alla intervenuta condanna per il delitto di ricettazione piuttosto che del delitto di furto, così come riqualificato il fatto dal giudice di primo grado (con conseguente dichiarazione di non doversi procedere per difetto di querela); contrariamente a quanto ritenuto dal Pubblico ministero e dal giudice di secondo grado le intercettazioni rappresentavano plasticamente l’intervenuta partecipazione della ricorrente ai furti, per cui il ritrovamento dei beni nella sua abitazione era da considerare semplicemente un evento successivo alla commissione dei furti, avendo svolto la Recinas il ruolo di depositaria degli stessi; la motivazione della Corte di appello sul punto è apodittica.
3.2. GLYPH Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 648 cod. pen. per avere la Corte territoriale omesso di esaminare e motivare quanto alle deduzioni difensive, che avevano rilevato la mancanza di prova quanto al reato presupposto della ricettazione, reato che invece era stato ritenuto sussistente solo in considerazione delle caratteristiche dei beni rinvenuti nella disponibilità della COGNOME; contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello il numero dei beni si deve ritenere assai esiguo e gli oggetti, anche con etichette e cartellini identificativi possono essere stati dalla
stessa acquistati all’ingrosso e a stock; manca qualunque considerazione quanto alla ricorrenza dell’elemento soggettivo; la ricorrente sarebbe una consapevole utilizzatrice dei beni a posteriori e, dunque, si tratterebbe di un concorso morale a posteriori, incompatibile con la ricettazione che è delitto istantaneo.
3.3. GLYPH Violazione di legge e vizio della motivazione per omessa qualificazione del fatto di ricettazione ai sensi del comma quarto dell’art. 648 cod. pen., nonché quanto alla omessa concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.
3.4. GLYPH Violazione di legge in ordine alla mancata qualificazione del fatto quale ipotesi contravvenzionale ai sensi dell’art. 712 cod. pen.; ricorre sul punto una omissione di motivazione atteso che il tema era stato specificamente posto dalla difesa.
Ricorso NOME NOME.
4.1. GLYPH Violazione di legge, per i capi 1) e 2) in relazione all’art. 644 e 56, 629 cod.pen.; la Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado senza alcun approfondimento, ritenendo ingiustificatamente credibile la persona offesa COGNOME nonostante la presenza di numerosi elementi che ne minavano a credibilità; non poteva essere sminuita la circostanza che tale teste avesse ricoperto il ruolo di garante nel prestito di denaro da parte dell’imputato alla persona offesa NOME COGNOME che è la vera testimonianza omessa nel dibattimento; inoltre, atteso il materiale, anche documentale, versato in atti, nessun valore può essere attribuito al fraseggio intercorso tra il ricorrente e il Gramignano; la Corte di appello ha anche omesso di motivare sulla prospettata possibilità di ritenere integrato il reato di cui all’art. 392 cod. pen.
4.2. GLYPH Violazione di legge in relazione al capo 3) di imputazione con riferimento all’art. 644 cod. pen.; è assente la prova circa la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di usura e la Corte di appello, seppur diversamente argomentando rispetto al giudice di primo grado, ha disatteso le doglianze difensive con motivazione che non rispecchia i canoni normativi; è del tutto assente la prova della sussistenza di un patto contrario alla legge, ricorrendo un normale prestito di denaro.
4.3. COGNOME Vizio della motivazione perché illogica in relazione al capo 12) in quanto fondata sul travisamento della prova con particolare riferimento alla testimonianza della prova del teste Vento; la
verbalizzazione congiunta in sede di indagini delle dichiarazioni dei testi COGNOME e COGNOME avrebbe dovuto condurre ad una assoluzione sul punto; la Corte di appello è incorsa in un palese vizio della motivazione, travisando la testimonianza del COGNOME, le cui dichiarazioni per come riportate in sentenza non coincidono con quanto dichiarato in dibattimento; sfugge da quale elemento poi la Corte di appello abbia potuto appellare come fantasiosa e non corroborata la tesi difensiva secondo la quale il COGNOME avrebbe avuto un bastone in mano, sebbene invece tale circostanza sia emersa dalle risposte dallo stesso rese al presidente del collegio in primo grado (udienza 20/07/2021).
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili.
La parte civile si è associata alle conclusioni della Procura generale ed ha depositato memoria e nota spese evidenziando di essere stata ammessa al Patrocinio a carico dello Stato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché proposti con motivi generici, non consentiti, oltre che manifestamente infondati.
Il ricorso proposto da NOME è inammissibile, attesa la proposizione di motivi all’evidenzia generici ed aspecifici, in mancanza di effettivo confronto con la motivazione della Corte di appello, oltre che ampiamente versati in fatto, al fine di introdurre una lettura alternativa del merito, non consentita in questa sede (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277758-01).
2.1. GLYPH I quattro motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, attesa la proposizione di questioni incentrate sulla ritenuta sussistenza del delitto di ricettazione e sulla sua caratterizzazione circostanziale da diverse prospettive, ma al fine di precipuo di contestare la sussistenza del fatto. Le censure non colgono nel segno e si manifestano nella loro genericità ed aspecificità in mancanza di reale confronto con la motivazione della Corte di appello, che ha, con considerazioni del tutto immuni da illogicità, in modo chiaro
e con percorso argomentativo del tutto convincente, ricostruito e qualificato la condotta ascritta alla RAGIONE_SOCIALE come ricettazione.
La Corte di appello ha difatti ricostruito gli elementi a carico della ricorrente, sottolineando: – la particolare pregnanza dell’elemento rappresentato dalla detenzione di un grande numero di beni nuovi e con cartellino identificativo, la cui provenienza non è stata in alcun modo giustificata; – la non conducenza delle captazioni al fine di ritenere integrato il diverso delitto di furto, attesa la portata delle stesse, analizzate nel loro contenuto e quanto al periodo temporale di riferimento in modo specifico e con argomentazioni che non si prestano a censure; – l’irrilevanza dell’accertamento del delitto presupposto (con corretta applicazione del principio affermato sul tema da Sez. 1, n. 46419 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277334-01), chiaramente riscontrabile nel caso in esame in considerazione del numero dei beni detenuti, delle loro caratteristiche e della diretta riferibilità anche ad esercizi commerciali ai quali all’evidenza risultavano sottratti (a fronte del riferimento nella chiamata telefonica ad uno solo di tali beni); – la mancata ed effettiva allegazione di una diversa ricostruzione del fatto, che per le sue caratteristiche e per il numero dei beni rinvenuti non poteva né essere diversamente considerato ai sensi del comma quarto dell’art. 648 cod. pen. o dell’art. 62, n. 4, cod. pen., né tanto meno essere riqualificato quale incauto acquisto.
2.2. A fronte di tale ampia considerazione, del tutto immune da illogicità, la ricorrente si è limitata a proporre una propria non consentita lettura alternativa sia delle captazioni (dovendosi sul punto ricordare che costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la valutazione del contenuto delle captazioni, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non può essere sindacata dalla Corte di cassazione se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite, sicché è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il contenuto sia stato indicato in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715-01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389-01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650-01) che dell’esito del dibattimento.
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Nel considerare pienamente ricorrente la responsabilità della Recinas, la Corte di appello ha correttamente applicato il principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale risponde di ricettazione l’imputato, che, trovato nella disponibilità della refurtiva, in assenza di elementi probatori univocamente indicativi del suo coinvolgimento nella commissione del furto, non fornisca una spiegazione attendibile dell’origine della già menzionata disponibilità (Sez. 2, Sentenza n. 20193 del 19/04/2017, Rv. 270120-01). Le conclusioni della Corte di appello si devono infine ritenere pienamente adesive ai principi affermati da questa Corte anche quanto al possibile riconoscimento della ipotesi di cui al quarto comma dell’art. 648 cod. pen., atteso che è stato più volte affermato, con principio che qui si intende ribadire, che la “particolare tenuità”, nel delitto di ricettazione, vada desunta da una complessiva valutazione del fatto che comprenda le modalità dell’azione, la personalità dell’imputato e il valore economico della “res” (Sez. 2, n. 42866 del 20/06/2017, Pg/COGNOME, Rv. 271154-01), anche integrando tali elementi con ulteriori parametri di apprezzamento della circostanza desumibili all’art. 133 cod. pen., inerenti al profilo obbiettivo del fatto (l’entità del profitto) e a quello soggettivo (capacità a delinquere dell’agente) (Sez. 2, Sentenza n. 29346del 10/06/2022, Mazza, Rv.283340-01). La Corte di appello ha reso sul punto una motivazione non censurabile, che ha ricostruito specificamente la gravità del fatto, la chiara ricorrenza dell’elemento soggettivo e la piena riferibilità della azione nella sua portata offensiva alla ricorrente in applicazione dei principi appena enunciati, che all’evidenza escludono la possibilità di una diversa qualificazione o di un regime circostanziale ai sensi dell’art. 62, n. 4, cod. pen. 3. Ricorso NOME NOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
I motivi proposti non sono consentiti, atteso che gli stessi si caratterizzano per la loro oggettiva e completa sovrapponibilità ai motivi di appello, in assenza di reale confronto con la motivazione, del tutto immune da illogicità, resa dalla Corte di appello.
In tal senso si deve rilevare non solo la ricorrenza, nel caso in esame, di un accertamento conforme quanto alla responsabilità del ricorrente per i reati ascritti da parte del giudice di primo e di secondo grado, ma anche l’introduzione di una serie di censure all’evidenza versate in fatto al fine di sostenere, in modo non consentito in questa sede, una propria lettura dell’esito della istruttoria dibattimentale
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ritenuta più convincente (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099-01).
Deve essere, quindi, ribadito il principio di diritto affermato da questa Corte secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01). La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito che il ricorso di cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’appello, e motivatamente respinti in secondo grado, non si confronta criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma si limita, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 27697001).
In tal senso, occorre evidenziare come il primo e secondo motivo di ricorso siano all’evidenza non consentiti, essendosi la parte ricorrente limitata a contestare la valutazione effettuata dalla Corte di appello, con motivazione che non si presta a censure in questa sede, quanto alla attendibilità della persona offesa del delitto di cui al capo 1) e l’esito della istruttoria dibattimentale per come ampiamente ricostruito quanto al capo 2), nonostante i plurimi elementi valorizzati in tal senso (sia dal giudice di primo grado pag. 7 e segg. che dal giudice di appello pag. 23 e seg. che ha specificamente riscontrato la portata e offensività della condotta e la chiara intenzionalità evincibile dal complesso degli elementi, documentali e testimoniali, acquisiti in giudizio). Con tale motivazione il ricorrente non si confronta effettivamente.
Il terzo motivo di ricorso si caratterizza invece per genericità ed aspecificità, non ricorrendo tra l’altro alcun travisamento della prova, dedotto in modo aspecifico e in assenza di qualsiasi allegazione in ordine alla effettiva decisività in termini di prova di resistenza. Quanto alla genericità del motivo dedotto si deve ribadire che la mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, co. 1, lett. c), c.p.p., all’inammissibilità (cfr. Sez.4, n. 256 del 18/09/1997, COGNOME, Rv. 210157-02; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568-01; Sez. 2, n. 11951 del 20/01/2014, COGNOME, Rv. 259435-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 277710-01). La Corte di appello, difatti, contrariamente a quanto affermato in ricorso, ha esplicitamente tenuto conto della allegazione della difesa, sia quanto alla portata delle dichiarazioni delle persone offese, che quanto alla eventuale ricorrenza di un comportamento aggressivo posto in essere dalle stesse e dal quale il ricorrente si sarebbe meramente difeso, eccedendo nella sua legittima difesa (pag. 23 dove è stata esplicitamente affrontata la tematica della disponibilità da parte del COGNOME di un bastone, contrariamente a quanto dedotto in questa sede) ed ha reso sul punto una motivazione del tutto immune da illogicità, richiamando l’esito della istruttoria dibattimentale e ricostruendo con argomentazione approfondita e chiara la aggressione posta in essere e le conseguenze lesive della stessa.
Anche in questo caso il ricorrente non si confronta con la motivazione.
I ricorsi devono in conclusione essere dichiarati inammissibili con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. ,di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Deve, inoltre essere disposta la condanna di NOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME NOME COGNOME ammessa al Patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Firenze con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 83 e 83 d.P.R. n. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, NOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME NOME COGNOME ammessa al Patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Firenze con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 83 e 83 d.P.R. n. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Così deciso il 12/12/2024.