Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18723 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18723 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/05/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25/05/2023 la Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del GIP presso il Tribunale di Macerata del 14/06/2021, che aveva condannato NOME COGNOME per i reati di cui all’articolo 73, commi 1, 1 -bis e 5, d.P.R. 309/1990 alla pena di mesi 8 di reclusione ed euro 1.500 di multa.
Avverso tale sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando violazione di legge in riferimento agli articoli 192 e 546 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Censura in particolare che la Corte di appello avrebbe fatto un “copiaincolla” della prima sentenza, senza valutare le censure proposte con l’atto di appello, relative sia alla deposizione del teste “immemore” (l’acquirente), sia in relazione al contenuto della perizia tossicologica, che dimostra l’assenza di principio attivo nel materiale sequestrato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Esso, infatti, si limita ad una lettura “alternativa” dei mezzi di prova, non consentita nel giudizio di cassazione (esula infatti dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali; v., ex plurimis, Sez. U., 30/4/1997, n. 6402, Rv. 207944).
La sentenza di appello, che in caso di “doppia conforme” si fonde con quella di primo grado, sicchè i due provvedimenti formano un unicum, precisa che le risultanze istruttorie del primo giudizio indubitabilmente fondavano un giudizio di responsabilità; sul punto, si vedano pag. 5 e ss., in cui la Corte territoriale esamina le deposizioni dei testi COGNOME e degli operanti, nonché gli esiti della perquisizione domiciliare presso l’imputato, da cui si ricavava per via indiziaria la sussistenza dello spaccio dello stupefacente (rinvenimento di bilancino di precisione, materiale per il confezionamento, schede telefoniche e danaro contante).
Di tale principio la corte di appello ha fatto buon governo (pag. 4), richiamando la motivazione della prima sentenza ed aggiungendo alla stessa le sue valutazioni (pag. 5 ss.).
Per il resto, il ricorso hi manifesta come fattuale e rivalutativo degli elementi di prova già oggetto di valutazione dei giudici dei due gradi di merito.
Il Collegio rammenta che, nell’apprezzamento delle fonti di prova, GLYPH il compito del giudice di legittimità non è di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma solo di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Rv 203428; per una compiuta e completa enucleazione della deducibilità del vizio di motivazione, da ultimo Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv 235507).
Dall’affermazione di questo principio, ormai costante nel panorama giurisprudenziale, discende che esula dai poteri della RAGIONE_SOCIALEzione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell'”iter argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217).
Si aggiunge che, in riferimento all’articolo 500 cod. proc. pen., questa Corte ha costantemente ritenuto (Sez. 2, n. 35428 del 08/05/2018, Caia, Rv. 273455 – 01; Sez. 4, n. 18973 del 9.3.2009, Rv 244042; Sez. 2, n. 17089 del 28/02/2017, Rv. 270091) che le dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni al testimone, che siano state successivamente confermate, anche se in termini laconici (come avvenuto nel caso in esame), vanno recepite e valutate come dichiarazioni rese direttamente dal medesimo in sede dibattimentale.
In particolare, si è ritenuto che, sebbene l’art. 500, comma 2, c.p.p. preveda che le contestazioni possano «essere valutate ai fini della credibilità del teste», non può certo ritenersi che il contenuto della contestazione, laddove abbia comunque, e finanche in termini laconici, trovato conferma da parte dell’esaminato (c.d. “teste immemore”), non debba poi, necessariamente e logicamente, essere apprezzato e recepito quale dichiarazione resa direttamente dal medesimo in sede dibattimentale. Le dichiarazioni rese in sede predibattimentale, ove il testimone manifesti genuina difficoltà di elaborazione del ricordo e ne affermi la veridicità, anche mediante richiami atti a giustificare il deficit mnemonico, devono ritenersi confermate e, in quanto tali, possono essere
recepite ed utilizzate come se rese direttamente in dibattimento (Sez. 2, n. 17089 del 28/02/2017, Lubine, Rv. 270091 – 01, richiamata in sentenza).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha fatto buon governo di tale principio (pag. 6) in riferimento alla deposizione del teste COGNOME.
2. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 23 febbraio 2024.