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Ricorso inammissibile: i limiti della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile, ribadendo un principio fondamentale: il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti di una causa, ma di garantire la corretta applicazione della legge. La ricorrente, condannata in appello, aveva contestato la valutazione delle prove e la logica della sentenza. La Suprema Corte ha respinto le sue argomentazioni, sottolineando che non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito. Anche la richiesta di un’attenuante per risarcimento del danno è stata negata a causa della sua tardività.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile: quando la Cassazione non può rivalutare i fatti

Con l’ordinanza n. 4463 del 2024, la Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per riaffermare con fermezza i confini del proprio giudizio. La decisione sottolinea un principio cardine del nostro sistema processuale: la Suprema Corte è giudice di legittimità, non di merito. Ciò significa che il suo compito non è quello di ricostruire i fatti o di valutare diversamente le prove, ma di controllare che la legge sia stata applicata correttamente nei gradi precedenti. Questo caso offre uno spunto chiaro per comprendere cosa si può e cosa non si può chiedere ai giudici di Piazza Cavour.

Il caso: dalla condanna in Appello al ricorso in Cassazione

La vicenda processuale trae origine da una sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello di Trento. L’imputata, ritenuta responsabile di una condotta illecita, decideva di presentare ricorso per Cassazione, affidandolo a due principali motivi di doglianza. In primo luogo, contestava la correttezza e la logicità della motivazione della sentenza d’appello, proponendo una diversa lettura dei dati processuali e una ricostruzione alternativa dei fatti. In sostanza, chiedeva alla Suprema Corte di riesaminare il merito della vicenda. In secondo luogo, lamentava il mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno, previsto dall’articolo 62 del codice penale.

Limiti del giudizio di legittimità e il ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha liquidato il primo motivo di ricorso come manifestamente inammissibile. I giudici hanno richiamato un orientamento consolidato, espresso anche dalle Sezioni Unite nella celebre sentenza ‘Jakani’, secondo cui è precluso alla Corte non solo sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche saggiare la tenuta logica della pronuncia attraverso un confronto con modelli di ragionamento esterni. Il giudice di merito, si legge nell’ordinanza, aveva fornito una motivazione esente da vizi logici, spiegando chiaramente le ragioni del suo convincimento, basato sul riconoscimento personale dell’imputata quale autrice del reato. Chiedere alla Cassazione una diversa interpretazione delle prove si traduce in una richiesta di un nuovo giudizio di fatto, che non rientra nelle sue competenze.

La questione del risarcimento tardivo nel giudizio abbreviato

Anche il secondo motivo di ricorso ha avuto esito negativo. La Corte ha osservato come già la Corte d’Appello avesse correttamente evidenziato l’impossibilità di riconoscere l’attenuante del risarcimento del danno. Il motivo? La tardività dello stesso. Nel contesto di un giudizio abbreviato, il risarcimento deve avvenire in tempi che dimostrino una reale volontà riparatoria, un requisito che nel caso di specie non è stato ritenuto soddisfatto. La tardività ha quindi precluso la concessione del beneficio.

Le motivazioni della Corte: un ricorso inammissibile

Sulla base di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato l’intero ricorso inammissibile. La decisione si fonda sulla netta distinzione tra giudizio di legittimità e giudizio di merito. La ricorrente, contestando la logica della motivazione sulla base di una diversa lettura delle prove, ha tentato di ottenere dalla Suprema Corte una nuova valutazione dei fatti, attività che per legge non le compete. Allo stesso modo, la questione dell’attenuante era già stata correttamente risolta dal giudice d’appello, evidenziando la tardività del risarcimento come ostacolo insormontabile per la sua applicazione.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della decisione

L’ordinanza in esame ha conseguenze pratiche immediate per la ricorrente, condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. A livello più generale, la decisione serve come monito: il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere all’infinito i fatti. È uno strumento di controllo sulla corretta applicazione delle norme giuridiche. Qualsiasi tentativo di trasformarlo in un appello mascherato, volto a ottenere una nuova e più favorevole valutazione delle prove, è destinato a scontrarsi con una pronuncia di inammissibilità.

È possibile contestare davanti alla Corte di Cassazione la ricostruzione dei fatti operata da un giudice di merito?
No, secondo quanto stabilito dall’ordinanza, alla Corte di Cassazione è precluso sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio o riesaminare l’attendibilità delle fonti di prova. Il suo ruolo è limitato al controllo della corretta applicazione della legge.

Perché il risarcimento del danno non ha comportato il riconoscimento di un’attenuante in questo caso?
Il risarcimento del danno è stato ritenuto tardivo. La Corte ha specificato che la Corte d’Appello aveva già correttamente segnalato che l’attenuante non poteva essere riconosciuta proprio in ragione della tardività del risarcimento nel contesto di un giudizio abbreviato.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro (tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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