Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione Chiude la Porta
Presentare un ricorso alla Corte di Cassazione è l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma non è una terza istanza sul merito dei fatti. Una recente ordinanza della Suprema Corte ci ricorda i rigidi paletti che governano questo strumento, chiarendo perché un ricorso inammissibile viene respinto senza un’analisi del contenuto. Il caso in esame riguarda un imputato condannato per tentata violenza privata e danneggiamento, il cui appello è stato dichiarato inammissibile per la genericità e l’infondatezza dei motivi proposti.
I Fatti del Processo e la Decisione d’Appello
Il ricorrente era stato condannato nei gradi di merito per i reati di cui agli articoli 56 e 610 c.p. (tentata violenza privata) e 635 c.p. (danneggiamento). La Corte d’Appello aveva confermato la sua responsabilità, individuando con precisione gli elementi costitutivi dei reati contestati. Insoddisfatto della decisione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, articolando diverse censure contro la sentenza di secondo grado.
L’Analisi della Cassazione e il Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione, tuttavia, non è entrata nel vivo delle argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su principi consolidati della procedura penale che definiscono chiaramente i limiti del giudizio di legittimità.
La Genericità dei Motivi e la Reiterazione delle Argomentazioni
Il primo motivo di ricorso, relativo alla responsabilità per tentata violenza privata, è stato giudicato indeducibile. La Corte ha osservato che le argomentazioni erano una ‘pedissequa reiterazione’ di quelle già presentate e respinte dalla Corte d’Appello. Un ricorso in Cassazione non può limitarsi a riproporre le stesse difese, ma deve svolgere una critica argomentata e specifica contro i vizi logico-giuridici della sentenza impugnata. In assenza di ciò, i motivi sono considerati non specifici e, quindi, solo apparenti.
Il Divieto di Rivalutare le Prove nel Giudizio di Legittimità
Il secondo motivo, che contestava la motivazione sulla responsabilità per il reato di danneggiamento, è stato parimenti respinto. Il ricorrente chiedeva, in sostanza, una diversa valutazione delle fonti di prova. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: non ha il potere di sovrapporre la propria valutazione a quella dei giudici di merito. Il suo compito non è saggiare la tenuta logica della decisione confrontandola con ‘altri modelli di ragionamento’, ma solo verificare che la motivazione sia esente da vizi logici manifesti, come in questo caso.
La Corretta Applicazione della Recidiva e delle Attenuanti
Anche le censure sulla sussistenza della recidiva e sulla mancata concessione delle attenuanti generiche sono state ritenute infondate. La Corte ha confermato che il giudice di merito aveva correttamente applicato i criteri dell’art. 133 c.p. per valutare la recidiva, esaminando il rapporto concreto tra i reati passati e quello attuale. Allo stesso modo, il diniego delle attenuanti generiche era supportato da una motivazione logica, e il giudice non è tenuto a esaminare ogni singolo elemento favorevole o sfavorevole, ma solo quelli ritenuti decisivi.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi presentati non rispettavano i requisiti richiesti dalla legge per l’accesso al giudizio di legittimità. In sintesi, il ricorso era:
1. Generico e Ripetitivo: Si limitava a riproporre le stesse tesi dell’appello senza una critica specifica alla sentenza.
2. Focalizzato sul Merito: Chiedeva una nuova valutazione delle prove, compito precluso alla Corte di Cassazione.
3. Manifestamente Infondato: Le contestazioni sulla recidiva e sulle attenuanti si scontravano con una motivazione immune da vizi logici da parte del giudice di merito.
Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa
Questa ordinanza è un monito importante per la difesa tecnica. Un ricorso per Cassazione deve essere un atto di alta specializzazione giuridica, concentrato esclusivamente sulla denuncia di vizi di legittimità (errori di diritto o vizi logici manifesti della motivazione). Tentare di trasformare il giudizio di Cassazione in un terzo grado di merito, riproponendo questioni di fatto o valutazioni probatorie, è una strategia destinata al fallimento, che conduce a una dichiarazione di ricorso inammissibile e a ulteriori oneri economici per l’assistito.
Perché un ricorso può essere dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando è privo dei requisiti richiesti dalla legge. Ad esempio, se i motivi sono generici, si limitano a ripetere argomentazioni già respinte in appello senza una critica specifica alla sentenza, oppure se chiedono alla Corte di riesaminare i fatti e le prove del processo, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito.
La Corte di Cassazione può riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No. La Corte di Cassazione svolge un giudizio di legittimità, ovvero verifica la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. Non può sostituire la propria valutazione delle prove a quella compiuta nei gradi di merito, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica o contraddittoria.
Cosa succede quando un ricorso viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, come stabilito nel caso di specie, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45450 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45450 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a TARANTO il 03/11/1984
avverso la sentenza del 21/02/2024 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità per il delitto di cui all’art. 56 e 610 cod. pen., è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito (si veda in particolare pag. 2 della sentenza impugnata dove la corte d’appello ha correttamente individuato gli elementi costitutivi della condotta criminosa contestata), dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
ritenuto che il secondo motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 635 cod. pen. denunciando la illogicità della motivazione sulla base di un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova, non è consentito dalla legge, stante la preclusione per la Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260);
che il giudice di merito, con motivazione esente da vizi logici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si veda, in particolare, pag. 3 della sentenza impugnata) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini della dichiarazione di responsabilità e della sussistenza del reato;
ritenuto che il terzo motivo di ricorso che contesta la sussistenza della recidiva non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato, atteso che il giudice di merito ha fatto corretta applicazione (si vedano, in particolare, le pagine 3-4 della sentenza impugnata) dei principi della giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’ arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia
indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice”;
ritenuto che il quarto motivo di ricorso che contesta la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato in presenza (si veda pag. 4 della sentenza impugnata) di una motivazione esente da evidenti illogicità, anche considerato il principio affermato da questa Corte, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.
Roma, 24/09/2024