Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 216 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 216 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a AVERSA il 26/05/1971
avverso la sentenza del 05/04/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che l’articolato motivo di ricorso, con cui si lamenta vizio di motivazione, anche per travisamento delle dichiarazioni della persona offesa ed omessa considerazione delle prospettazioni difensive, in ordine alla affermazione di responsabilità per il reato di rapina impropria pluriaggravata ascritta all’odierna ricorrente, finisce, in realtà, per contestare il risultato dell’apprezzamento e della valutazione degli elementi acquisiti al processo di cui sollecita una rivisitazione auspicando un approdo diverso ed alternativo rispetto alle conclusioni cui sono pervenuti, in termini conformi, i giudici di merito; il motivo appare dunque mirato a contestare una decisione asseritamente sbagliata in quanto, a parere della difesa, fondata su una valutazione che si assume erronea delle fonti di prova e resa senza tenere in considerazione elementi dalla difesa ritenuti fondamentali per la definizione del processo ma di cui, tuttavia, la stessa difesa non è in grado di spiegare la rilevanza decisiva;
ritenuto che l’atto d’appello, come il ricorso, lamentano le incertezze e le discrasie di cui sarebbe stata caratterizzata la deposizione della persona offesa circa l’entità della somma sottratta dalla odierna ricorrente invocando, tuttavia, atti delle indagini preliminari che, dalla lettura delle due sentenze di merito, non risulta siano stati acquisiti al fascicolo del dibattimento e nemmeno utilizzati per le rituali contestazioni;
rilevato che il motivo è dunque formulato in termini non consentiti in questa sede, dovendosi, in particolare, ribadire, a tal proposito, che la valutazione dei dati processuali e la scelta, tra i vari risultati di prova, di quelli ritenuti più i a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (cfr. Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362), poiché, infatti, il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, così come per quanto attiene alla valutazione di contrasti testimoniali e alle divergenti versioni ed interpretazioni dei fatti, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Cort Suprema;
ritenuto che con la suddetta doglianza si è prospettata una differente lettura dei dati processuali, una diversa ricostruzione storica dei fatti e un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (con particolare riferimento alle dichiarazioni rese dalle persone offese), stante, invec preclusione per la Corte di cassazione, non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventual altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 31/05/2000, lakani, Rv. 216260);
considerato che, in conclusione, deve osservarsi come la Corte territoriale, con motivazione che, contrariamente a quanto lamentato dalla ricorrente, risulta esente da vizi di logicità, ha congruamente indicato le ragioni di fatto e di diritto poste a base del suo convincimento (cfr., in particolare, pagg. 5 e 6 della impugnata sentenza), da un lato, fondando la propria decisione, del tutto legittimamente e in conformità coi principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv. 265104 – 01), sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa e, dall’altro, specificando come gli elementi addotti dalla difesa non si sono dimostrati in grado di scalfire e disarticolare il solido quadro probatorio sussistente a sostegno della dichiarazione di responsabilità dell’odierna ricorrente, così come non in grado di inficiare la credibilità del racconto reso dalla COGNOME sono risultate le sue dimenticanze in ordine alla ricostruzione dei fatti (ritenute giustificabili alla luc della sua veneranda età);
considerato che la chiusura del dibattimento ha importato la implicita ma univoca revoca delle prove ammesse in origine e che quando la revoca intervenga senza adeguata motivazione sul necessario requisito della loro superfluità si determina una nullità di ordine generale a regime intermedio, ovvero una violazione del diritto della parte di “difendersi provando”, stabilito dall’art. 495 comma 2, cod. proc. pen., corrispondente al principio della “parità delle armi” sancito dall’art. 6, comma 3, lett. d), della CEDU, al quale si richiama l’art. 111, comma 2, della Costituzione in tema di contraddittorio tra le parti (cfr., Sez. 5, Sentenza n. 16976 del 12/02/2020, Polise, Rv. 279166 – 01) che deve essere eccepite, a pena di decadenza, in sede di formulazione e precisazione del conclusioni (cfr., Sez. 3, n. 29649 dei 27/03/2018, COGNOME, Rv. 273590 Sez. 6, n. 42182 del 16/10/2012, Statelia, Rv. 254338 – 01);
rilevato che nel caso di specie alcun rilievo era stato sollevato dalla difesa che, per altro verso, né con l’atto d’appello e nemmeno con il ricorso è stata in grado di evidenziare la essenzialità del contributo conoscitivo che i testi della difesa
avrebbero potuto apportare alla ricostruzione della vicenda limitandosi a lamentare l’impossibilità di una revoca “tacita”;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2024.