Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15893 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15893 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME nato a Bari il 6 ottobre 1987; COGNOME Cristiano nato a Martina Franca il 21 marzo 1980; COGNOME NOME nato a Massafra il 15 agosto 1958;
avverso la sentenza del 24 aprile 2024 della Corte d’appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME e per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle attenuanti generiche in riferimento al ricorso di NOME COGNOME;
udito l’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso proposto nell’interesse del suo assistito, NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Il presente procedimento nasce da una complessa attività investigativa attraverso la quale è stata accertata l’esistenza di due compagini associative (una di stampo mafioso e l’altra finalizzata al traffico di stupefacenti), nonché una pluralità di reati in materia di stupefacenti e di armi, di danneggiamento, rapina aggravata, estorsione, riciclaggio e intestazione fittizia di beni e, in questo contesto, adottate misure cautelari personali e disposto il sequestro preventivo di un cospicuo patrimonio a carico di NOME COGNOME.
Oggetto dell’impugnazione è la sentenza emessa in sede di rinvio (disposto, da questa Corte, con sentenza del 23 novembre 2022) dalla Corte d’appello di Lecce, con la quale, in parziale riforma di quella resa dal Giudice per le indagini preliminari e per quel che rileva in questa sede, sono state rideterminate le pene irrogate agli odierni ricorrenti in relazione ad una pluralità di reati relati ad altrettante condotte di acquisto, trasporto e detenzione di sostanza stupefacente. In particolare, per quel che rileva in questa sede, per il COGNOME in relazione ai capi T, C, D, E, H ed I, per il Caporosso in relazione ai capi C, D, E, G, H, I, N e per NOME COGNOME in relazione ai soli capi G ed H.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si articola in un unico motivo d’impugnazione a mezzo del quale si deduce vizio di motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio, invocando l’applicazione della disciplina della continuazione tra i fatti giudicati nel parallel processo svoltosi dinanzi al Giudice dell’Udienza preliminare di Taranto (ed originariamente contestati anche al capo I della rubrica di questo processo), la cui pena, peraltro, sarebbe stata integralmente scontata, e quelli per i quali è intervenuta condanna (B, G, e H).
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si compone di un unico motivo d’impugnazione a mezzo del quale si deduce vizio di motivazione nella parte in cui la Corte territoriale si sarebbe acriticamente adagiata sulle motivazioni offerte in primo grado, senza valutare le censure sollevate dalla difesa.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si articola in due motivi d’impugnazione.
5.1. Il primo deduce vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato di cui al capo I) (avere, in concorso con altri coimputati, acquistato un quantitativo imprecisato di stupefacente, affidato a NOME COGNOME nella palestra RAGIONE_SOCIALE per la successiva consegna a NOME COGNOME e la
conseguente custodia). La difesa sostiene che la Corte territoriale avrebbe ritenuto che il sequestro di stupefacente eseguito nei confronti dei fratelli COGNOME potesse rappresentare un riscontro al contenuto delle conversazioni intercettate a carico del Caporosso, senza considerare, da un canto, che da queste emerge solo il compimento di un viaggio e una sosta all’area di servizio di appena un minuto, troppo breve per poter essere ritenuta sufficiente all’acquisto della sostanza; dall’altro, l’assenza di un idoneo riscontro probatorio alla ricostruzione della dinamica della consegna ipotizzata dalla Corte territoriale (all’esterno della palestra e per il tramite della fidanzata).
5.2. Il secondo motivo deduce vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena, nella parte in cui la Corte territoriale, essendo rimasta immutata la pena finale, non avrebbe valutato il diverso regime sanzionatorio intervenuto successivamente alla sentenza di primo grado. Non sarebbero state differenziate le condotte in relazione alla qualità dello stupefacente (leggero o pesante), né sarebbe stata offerta alcuna motivazione a sostegno del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è formulato in termini manifestamente generici. Le doglianze sollevate dalla difesa sono indeterminate e aspecifiche e sviluppate tramite argomentazioni del tutto astratte, sfornite di qualsivoglia addentellato concreto alla motivazione della sentenza censurata. Il ricorrente si è limitato a dedurre un’asserita omissione motivazionale senza indicare le censure pretermesse e la loro decisività rispetto al complesso impianto argomentativo offerto nella sentenza impugnata, impedendo, così, a questa Corte di esercitare il sindacato richiesto. In ciò l’inammissibilità del ricorso.
Ugualmente inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME.
Il ricorso attiene esclusivamente al profilo sanzionatorio, quanto, in particolare, all’invocata applicazione della disciplina della continuazione tra i fatti giudicati nel parallelo processo svoltosi dinanzi al Giudice dell’udienza preliminare di Taranto (ed originariamente contestati anche al capo I della rubrica di questo processo), e quelli per i quali, in questo giudizio, è intervenuta condanna.
La censura è inammissibile in quanto già valutata da questa Corte nel precedente giudizio (che, poi, ha condotto all’annullamento parziale della prima sentenza d’appello). In quella sede, era stato rilevato come la richiesta di applicazione della disciplina della continuazione non era stata devoluta né con l’atto di appello, né con successiva richiesta all’esito della sopravvenuta irrevocabilità della sentenza relativa al fatto già giudicato (rispetto alla decorrenza
del termine per proporre appello). Sulla questione si è quindi formato un giudicato parziale che rende indeducibile il relativo motivo di ricorso.
Ugualmente indeducibile è il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
3.1. Va premesso che l’imputato, condannato in primo grado per i reati di cui ai capi B), C), D), E), G), H), I), J), N), S), T), U) E V), veniva assolto, secondo grado, dai delitti di cui ai capi 3) ed S), con rideterminazione della pena in complessivi anni 20 di reclusione. Questa Corte annullava la sentenza limitatamente al reato di cui al capo I) e agli aumenti per continuazione applicati per i reati di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990. Con riferimento, nello specifico, al reato di cui al capo I), l’annullamento veniva disposto in quanto la prima sentenza d’appello si era limitata a descrivere la condotta addebitata senza affrontare le censure descritte nell’atto di appello, neanche enunciate. Celebrato il giudizio di rinvio, la responsabilità in relazione al reato di cui al capo I) veniva confermata e gli aumenti in continuazione rideterminati.
3.2. I due motivi di censura articolati dalla difesa attengono, il primo, alla ritenuta responsabilità in relazione al capo I) e, il secondo, al trattamento sanzionatorio irrogato.
Entrambe le censure sono inammissibili.
3.2.1. Al capo I) è contestato il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, perché il COGNOME (in concorso con altri coimputati) avrebbe ceduto una quantità imprecisata di stupefacente a NOME COGNOME (per il tramite di NOME COGNOME, che, insieme al fratello NOME, avrebbe dovuto portarlo presso un’abitazione messa a disposizione di NOME COGNOME per la successiva custodia.
La Corte territoriale ha fondato il giudizio di responsabilità alla luce di una pluralità di conversazioni intercettate che hanno dato conto: dell’incontro tra il COGNOME e NOME COGNOME (referente per l’attività di spaccio dei putignanesi) presso la stazione di servizio sulla SS 100 in direzione Bari; della fermata presso la stazione di servizio Agip lungo la SP 23 (durante la quale e prima di scendere dalla vettura un uomo gli chiedeva se tutto andasse bene); dell’arrivo presso la palestra del Balsamo, dove il COGNOME cercava il Laterza; della consegna dello stupefacente ad NOME, compagna di NOME COGNOME (e da ciò l’irrilevanza del mancato ingresso del COGNOME all’interno nella palestra); dei contatti intervenuti tra NOME e il compagno (NOME COGNOME), tra il COGNOME e il Balsamo e tra quest’ultimo e il COGNOME e dei successivi contatti con il COGNOME (durante i quali si ha indiretta conferma della precedente consegna alla compagna dello stupefacente); del successivo incontro tra i fratelli COGNOME e il COGNOME
(nell’occasione del quale lo stupefacente è stato sequestrato); del successivo incontro concordato tra Caporosso, NOME e COGNOME (ricollegato all’intervento delle forze dell’ordine all’incontro tra Lovero e i Laterza).
Ciò premesso, per come si è detto, la difesa censura la ricostruzione offerta dalla Corte territoriale deducendo: a) che non vi è traccia, nelle conversazioni intercettate, di uno specifico riferimento allo stupefacente; b) che la limitatissima durata dell’incontro presso l’area di servizio (appena un minuto) non potrebbe essere stata sufficiente per l’acquisto dello stupefacente; c) che la ritenuta consegna alla compagna del COGNOME sarebbe solo un’ipotesi formulata dalla Corte; d) che, pertanto, il sequestro di stupefacente eseguito nei confronti dei fratelli COGNOME non potrebbe rappresentare un riscontro al contenuto delle conversazioni intercettate a carico del COGNOME.
Ebbene, le difese non si confrontano con le analitiche argomentazioni offerte dalla Corte territoriale: si limitano a prospettare una diversa valutazione degli elementi probatori acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale (peraltro solo di alcuni) ed utilizzati dalla Corte territoriale fondamento del giudizio di responsabilità, postulando che questa Corte possa apprezzare (e diversamente valutare) il dato istruttorio e la ricostruzione fattuale prospettata dai giudici di merito. Tanto, però, significa censurare la valutazione della prova, non la motivazione che di essa ne danno i giudici di merito; significa chiedere a questa Corte una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, articolata sulla base dei diversi parametri di ricostruzione e valutazione, dimenticando i limiti propri del sindacato riservato a questa Corte, che non è chiamata a verificare l’intrinseca adeguatezza delle argomentazioni offerte dal giudice di merito, scegliendo tra diverse possibili ricostruzioni, ma al solo riscontro – sui vari punti della decisione impugnata – della complessiva esistenza, non manifesta illogicità e coerenza dell’apparato argomentativo (ex multis, cfr. Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, COGNOME, Rv. 254107; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Rv. 260841).
3.2.2. Le censure afferenti al trattamento sanzionatorio sono, ugualmente, inammissibili in quanto, in parte (in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche), prospettate per la prima volta solo in questa sede e, in parte, articolate in fatto. Il rinvio, infatti, sotto tale profilo, è disposto solo ai fini della necessaria rideterminazione degli aumenti irrogati a titolo di continuazione alla luce della nuova e più favorevole cornice sanzionatoria conseguenti alla decisione della Corte costituzionale n. 40 del 2019. Tali aumenti sono stati effettivamente rideterminati (da mesi due a mesi uno e giorni quindici per ciascun reato) e la concreta quantificazione ancorata allo specifico contesto (associativo) all’interno del quale sono stati commessi i singoli reati.
Ebbene, la graduazione della pena presuppone un apprezzamento in fatto e un conseguente esercizio di discrezionalità (ed è, quindi, riservata al giudice di
merito e insindacabile in sede di legittimità, ove non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione: Sez. 5, n. 5582
del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142). Naturale corollario di tale assunto è che il giudice deve dar conto, sia pure sinteticamente, delle singole decisioni adottate
nell’esercizio del suo potere discrezionale; onere che può ritenersi adempiuto allorché il giudice di merito abbia indicato, nel corpo della sentenza, gli
elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 9120 d
02/07/1998, Rv. 211582; Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, Rv.
258410) ed è tanto meno stringente quanto più la determinazione è prossima al minimo edittale, rimanendo, in ultimo, sufficiente il semplice richiamo al criterio
di adeguatezza, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.
(Sez. 2, n. 28852 del 08/052013, Rv. 256464).
In concreto, da un canto, l’oggettiva limitata dimensione dell’aumento disposto (un mese e quindici giorni per ciascun episodio di spaccio) rende ampiamente sufficiente la (pur sintetica) motivazione offerta; dall’altro, l’applicazione del limite di cui all’art 78 cod. pen. rende irrilevante ogni questione astrattamente prospettabile.
In conclusione, tutti i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara i ricorsi inammissibili e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’11 marzo 2025