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Ricorso inammissibile: i limiti del giudizio di fatto

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile presentato da un detenuto che lamentava condizioni di detenzione inumana. La decisione si fonda sul principio che il ricorso sollevava unicamente questioni di fatto, non consentite in sede di legittimità. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione e i Limiti del Giudizio di Legittimità

L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio di come funziona il giudizio davanti alla Corte di Cassazione e delle conseguenze di un ricorso inammissibile. Il caso, originato da una richiesta di accertamento di detenzione inumana, si conclude con una pronuncia che ribadisce un principio cardine della procedura penale: la Suprema Corte è giudice della legge, non dei fatti. Analizziamo insieme la vicenda e le sue implicazioni pratiche.

Il Percorso Giudiziario: dal Reclamo alla Cassazione

La vicenda ha inizio quando un detenuto presenta un reclamo al Tribunale di Sorveglianza avverso la decisione del Magistrato di Sorveglianza, che aveva respinto la sua istanza per l’accertamento di condizioni di detenzione inumana, ai sensi dell’art. 35-ter dell’ordinamento penitenziario.

Anche il Tribunale di Sorveglianza, con ordinanza del 7 febbraio 2024, respinge il reclamo. Non dandosi per vinto, il detenuto decide di portare la questione fino all’ultimo grado di giudizio, proponendo ricorso per cassazione e lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione nella decisione del tribunale.

La Decisione della Cassazione e il concetto di ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 20 giugno 2024, tronca nettamente il percorso del ricorrente, dichiarando il suo ricorso inammissibile. La ragione è tanto semplice quanto fondamentale nel nostro ordinamento: il ricorso era basato su motivi non consentiti.

Il ricorrente, infatti, non ha sollevato reali questioni di diritto, ma ha presentato quelle che tecnicamente vengono definite “doglianze di mero fatto”. In altre parole, ha cercato di ottenere dalla Cassazione una nuova valutazione dei fatti e delle circostanze del caso, un compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (primo e secondo grado) e non alla Suprema Corte, il cui ruolo è unicamente quello di verificare la corretta applicazione delle norme giuridiche.

Le Pesanti Conseguenze di un Ricorso Inammissibile

La declaratoria di inammissibilità non è una mera formalità, ma comporta conseguenze economiche significative per chi la subisce. In base all’articolo 616 del codice di procedura penale, la Corte ha disposto:

1. La condanna al pagamento delle spese processuali: il ricorrente deve farsi carico dei costi del procedimento che ha inutilmente attivato.
2. Il versamento di una sanzione pecuniaria: la Corte ha condannato il ricorrente a versare la somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende. Questa sanzione viene irrogata quando non emergono elementi che possano giustificare l’errore del ricorrente, ovvero quando la sua colpa nel determinare la causa di inammissibilità è evidente.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte sono lapidarie ma estremamente chiare. Il percorso argomentativo seguito dal Tribunale di Sorveglianza nella decisione impugnata è stato ritenuto “del tutto chiaro e immune da vizi in diritto”. Le critiche mosse dal ricorrente, invece, si sono limitate a contestare la valutazione dei fatti, senza individuare alcuna effettiva violazione di legge. Pertanto, il ricorso non superava il filtro di ammissibilità, che richiede la deduzione di specifici errori di diritto e non un generico dissenso sulla ricostruzione dei fatti. La condanna alle spese e alla sanzione pecuniaria è la conseguenza automatica prevista dalla legge in questi casi, in assenza di prove che escludano la colpa del ricorrente nell’aver proposto un’impugnazione con motivi palesemente infondati.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un insegnamento cruciale per chiunque intenda adire la Corte di Cassazione: non è una terza istanza di giudizio sui fatti. L’appello alla Suprema Corte deve essere fondato su precise e argomentate censure di carattere giuridico, come l’errata interpretazione di una norma o un vizio logico manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato. Tentare di ottenere una nuova valutazione del merito della vicenda porta inevitabilmente a una declaratoria di ricorso inammissibile, con la conseguente condanna a spese e sanzioni che possono rivelarsi molto onerose.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Sulla base dell’ordinanza, un ricorso è dichiarato inammissibile quando viene proposto per motivi non consentiti, come le doglianze di mero fatto, cioè quando si contesta la valutazione dei fatti già compiuta dai giudici precedenti, anziché sollevare questioni relative a violazioni di legge.

Cosa succede quando un ricorso viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se non vi sono elementi per escludere una sua colpa, al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.

Qual è la differenza tra un errore di fatto e un errore di diritto secondo questa decisione?
L’ordinanza chiarisce che un errore di fatto (o doglianza di mero fatto) riguarda la ricostruzione degli eventi e la valutazione delle prove. Un errore di diritto, invece, riguarda l’errata applicazione o interpretazione delle norme giuridiche. La Corte di Cassazione può esaminare solo gli errori di diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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