Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4566 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4566 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il 05/09/1958
avverso l’ordinanza del 15/07/2024 del TRIB. DEL RIESAME di Napoli Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Sost Procuratore generale, COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; udite le conclusioni dell’Avv. COGNOME e dell’Avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. L’ordinanza impugnata è stata emessa il 15 luglio 2024 dal Tribunale del riesame di Napoli, che ha respinto l’istanza di riesame presentata nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli gli aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere, riconoscendolo gravemente indiziato del reato di cui all’art.
416-bis, cod. pen., quale capo e promotore del clan COGNOME, dal 2017 con condotta perdurante.
L’indagato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo dei difensori di fiducia.
I due motivi che compongono il ricorso – indicati unitariamente ed unitariamente illustrati – lamentano violazione degli artt. 405, 406 e 407 e dell’art. 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Il ricorrente deduce, in primo luogo, che l’eccezione di inutilizzabilità di alcuni atti d’indagine per scadenza del termini delle indagini preliminari, di cui alla memoria presentata al Tribunale del riesame ed allegata al ricorso, era stata respinta dal Tribunale del riesame sia per la sua genericità circa gli atti colpiti da inutilizzabilità – a dispetto del fatto che non vi è alcun onere di precisione in capo alla parte – sia perché il Collegio ha sostenuto che tutte le proroghe fossero state regolarmente autorizzate; ciò nonostante, il Tribunale ha dato atto che, dalla consultazione informatica, risultava un’iscrizione al 29 ottobre 2019, quindi il termine non poteva essere andato oltre il 29 ottobre 2021.
Il ricorrente sostiene altresì che, poiché la contestazione associativa va dal 2017 con condotta perdurante, sarebbero inutilizzabili tutte le conversazioni precedenti.
Ma il vizio più rilevante del provvedimento impugnato – continua il ricorso – è quello di aver travisato le conversazioni intercettate; in particolare il ricorrente, riportando passaggi di intercettazioni, ritiene contraddittoria l’ordinanza impugnata laddove prima assume che COGNOME investì COGNOME del ruolo di suo luogotenente e poi che i due non si erano incontrati, sicché la storia dell’investitura non era altro che una fantasia popolare del Rione amicizia. Sarebbe altresì contraddittorio ritenere che COGNOME fosse animato da efficientismo criminale, se poi si era costretti ad ammettere che non aveva voluto incontrare i maggiorenti dei clan e, più in generale, nessun soggetto diverso dai parenti più stretti.
Come precisato nella memoria depositata dinanzi al Tribunale del riesame, le intercettazioni intra alios non fornirebbero linfa alla necessaria gravità indiziaria, perché non si comprenderebbe il grado di vicinanza che i conversanti avevano con l’indagato e la loro eventuale collocazione criminale.
Quanto alla figura di NOME COGNOME, soggetto incensurato, nessun controllo sulle sue attività era stato fatto e la sua età (egli è classe 1995) evidenzia che, quando Basti iniziò la latitanza, aveva dieci anni, quando l’indagato fu arrestato tredici e quando fu scarcerato venticinque. Né il nome di COGNOME era emerso nelle pur copiose intercettazioni tese alla cattura del
latitante, né il giovane poteva aver intrattenuto contatti con COGNOME durante l’incarcerazione di quest’ultimo, giacché il ricorrente era sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis o.p. Il ricorso prosegue citando alcune intercettazioni di conversazioni di NOME COGNOME con i familiari, a riprova che questi non aveva incontrato COGNOME dopo la sua scarcerazione .
Il ricorso passa, quindi, a dolersi del peso indiziario attribuito alla convocazione di NOME COGNOME e parla di «assoluta incertezza della fonte di conoscenza da parte del COGNOME». Segue un nuovo accenno all’inutilizzabilità delle indagini per scadenza termini, un altro all’incertezza circa il fatto che la convocazione anzidetta fosse giunta dal ricorrente, un altro ancora all’eccessivo lasso temporale tra l’asserita convocazione e la scoperta del reale intendimento dell’indagato da parte del COGNOME. Non si comprenderebbe – prosegue il ricorso -«in che occasione e soprattutto con quale portato di conoscenza il COGNOME apprenderebbe da una fonte non meglio qualificata la confidenza da un soggetto non meglio identificato che avrebbe avuto l’abitudine di ubriacarsi e di assumere droga che gli avrebbe detto:” Tu avevi un appuntamento quando è uscito o’ NOME ? Se andavi non tornavi più”».
Quanto all’incontro con NOME COGNOME secondo il Tribunale del riesame avvenuto per informarsi sulle sorti del clan COGNOME, il ricorso sostiene che la figura del COGNOME non era stata oggetto di alcun approfondimento investigativo.
L’impugnativa prosegue lamentando l’errata lettura delle captazioni avvenute in carcere dopo il nuovo arresto di COGNOME, quando il Tribunale aveva concluso che il riferimento di quest’ultimo ai “pantaloni” andasse ricondotto a somme di denaro detenute da NOME COGNOME per conto del clan.
Le dichiarazioni di NOME COGNOME, genero del COGNOME – prosegue il ricorso sarebbero state equivocate perché egli aveva dichiarato di non avere mai fatto parte della cosca, donde non poteva dirsi che il suo riferimento al fatto che il suocero continuava a comandare si riferisse al versante malavitoso e non a quello familiare della vita del ricorrente.
Basti sostiene, infine, che non assumerebbero rilievo indiziario i pizzini ritrovati e le dazioni periodiche di denaro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Il ricorso è innanzitutto inammissibile quando affronta il tema dell’inutilizzabilità, per scadenza dei termini di cui all’art. 405 cod. proc. pen., delle indagini (e di alcune intercettazioni) in quanto non precisa come esse si
collochino cronologicamente rispetto al tempo delle iscrizioni per il reato associativo e neanche quali sarebbero esattamente gli atti affetti da inutilizzabilità (a parte un’intercettazione), sì da avere inibito qualsiasi vaglio al Collegio della cautela circa l’intempestività di questo o di quell’atto investigativo e da connotare di genericità il ricorso per cassazione. Tanto a voler tacer del fatto che l’indicazione degli atti affetti da inutilizzabilità sarebbe l’ineludibil precondizione per affrontare il tema – altrettanto ineludibile e invece eluso dal ricorrente – della loro eventuale decisività rispetto alla tenuta del provvedimento impugnato. Da questo punto di vista, infatti, non puntualizzando quali siano gli atti affetti da inutilizzabilità, il ricorso manca della doverosa indicazione delle ragioni per cui il materiale residuo all’esito della ideale eliminazione del dato inutilizzabile non superi la cosiddetta “prova di resistenza”, come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, che si intende in questa sede ribadire. E’ ad oggi insuperato, infatti, il principio sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui è onere del ricorrente che eccepisca l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per cassazione per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416, proprio in tema di atti asseritamente compiuti dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari; in termini, Sez. 6, n. 1219 del 12/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278123; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, COGNOME e altro, Rv. 269218; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262011).
2. Il ricorso è inammissibile anche per altre ragioni.
2.1. In primo luogo, esso è denso di riferimenti in fatto, privi della dovuta organicità e, in definitiva, scarsamente comprensibili in quanto affrontano singoli argomenti, tralasciando di considerare la tenuta complessiva dell’ordinanza impugnata e malcelando, dietro la denunzia di omissioni motivazionali sugli argomenti addotti nella memoria, un tentativo di incursione nel merito, precluso in questa sede.
Detta anomalia compromette l’ammissibilità del ricorso, perché il Collegio accede all’esegesi – fatta propria anche dalle Sezioni Unite – secondo cui, nel giudizio presso la Corte di cassazione, non è consentito invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali; l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha, infatti, un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, se non, in quest’ultimo caso, nelle ipotesi di errore del giudice nella lettura degli atti interni del giudizio denunciabile, sempre nel rispetto della catena devolutiva, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), ultima parte, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 279005, in motivazione; Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260). Non vi è spazio, dunque, per l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; pronunzia che trova precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, COGNOME, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
2.2. Dal canto suo, l’ordinanza impugnata non incorre in vizi motivazionali, in quanto è fondata su plurimi dati investigativi, razionalmente collegati gli uni agli altri.
Il Tribunale del riesame, infatti, dopo aver inquadrato la figura di NOME COGNOME – condannato in via definitiva per il periodo anteriore al 2010 e attualmente sotto processo per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., sempre come capo del clan COGNOME, e soggetto circondato da un’indiscussa aura criminale – ha precisato che due sono le macroaree investigative che hanno fondato l’ipotesi accusatoria: da una parte le dichiarazioni del genero di COGNOME, NOME COGNOME (che aveva collaborato con la giustizia per un limitato periodo di tempo), dall’altra le intercettazioni.
Riguardo alla prima, NOME COGNOME nel periodo della sua collaborazione con la giustizia, aveva confermato che il suocero continuava a rivestire un ruolo di vertice nel sodalizio, ad onta della sua lunga carcerazione; e che, quando COGNOME era stato scarcerato per soli cinque giorni nel 2020, aveva preso decisioni delicatissime, legate alla verifica circa la criticità della situazione finanziaria della compagine.
Ed è proprio in relazione a questi cinque giorni di libertà del ricorrente, dall’Il al 16 maggio 2020 – quando COGNOME fu scarcerato per un errore di calcolo e poi riarrestato -che si concentrano i dati investigativi più rilevanti scaturenti dalle intercettazioni,
In questo pur ristretto arco di tempo, si era infatti registrato un particolare attivismo dell’indagato, significativo della sue prerogative di capo della compagine. Il Tribunale del riesame le ha valorizzate e collegate razionalmente, sì da offrire un quadro complessivo organico circa l’immanenza del ruolo verticistico di COGNOME.
In primo luogo, COGNOME aveva convocato il giovane NOME COGNOME per investirlo di un ruolo nel clan, incontro che poi non era in concreto avvenuto perché fissato nel pomeriggio del giorno in cui il ricorrente era stato riarrestato, tanto traendosi dalle intercettazioni di COGNOME con il padre detenuto – da cui si evince tutto il potere di sottomissione dell’indagato – e dalla captazione di una conversazione tra la madre di COGNOME e la moglie di un altro accolito, tuttavia escluso, NOME COGNOME.
Il Collegio della cautela ha poi valorizzato contra reum le intercettazioni avvenute presso l’abitazione di NOME COGNOME, eloquenti della posizione di supremazia di COGNOME nell’ambito del clan COGNOME, dell’iniziativa di convocare NOME COGNOME da parte di quest’ultimo durante il periodo di libertà di cui aveva goduto, del ruolo rivestito da NOME COGNOME e della volontà del ricorrente di rompere l’alleanza di Secondigliano, sì da indurre i conversanti a ragionare sulle misure da intraprendere per affrontare un’eventuale lotta armata a far data dal momento in cui COGNOME sarebbe stato definitivamente scarcerato. Trattasi di argomenti che – scrive il Tribunale del riesame, con motivazione del tutto logica – presuppongono una posizione di assoluta supremazia di COGNOME nell’ambito del clan di appartenenza, ruolo che, a dispetto della carcerazione, lo vedeva ancora in grado di assumere le decisioni strategiche più delicate per il sodalizio
Altra fonte di conoscenza che il Collegio della cautela ha preso in considerazione è data dalle intercettazioni a casa di NOME COGNOME nelle quali emergeva che, nei cinque giorni di libertà di cui COGNOME aveva impropriamente beneficiato, si era incontrato anche con NOME COGNOME per informarsi sull’andamento del clan COGNOME.
Di fronte a questo assetto, il ricorso tenta di contrastarlo evidenziandone limiti in termini di tenuta logica della motivazione o di sua carenza o contraddittorietà, indulgendo su singole circostanze di fatto, peraltro enucleandole dal contesto. Si tratta, come si è affermato, di un’impostazione fallace, che travalica i confini del giudizio di legittimità.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
Giacché dal presente provvedimento non discende la rimessione in libertà del detenuto, si dispone che la Cancelleria effettui gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così è deciso, 12/11/2024