Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33833 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33833 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato in Israele il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/11/2024 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; uditi i difensori del ricorrente, AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che si sono riportati ai motivi d’impugnazione chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, con atto del proprio difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Roma indicata in epigrafe, nella parte in cui ne ha confermato la condanna per il delitto di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio.
Nella sua qualità di esponente di un’associazione di categoria del settore e, in quanto tale, interlocutore istituzionale dei funzionari del Comune di Roma NOME COGNOME e NOME COGNOME, egli avrebbe periodicamente corrisposto loro,
trattenendone per sé una parte, somme di denaro nell’ordine di alcune migliaia di euro, versategli dal commerciante ambulante bengalese NOME COGNOME, così consentendo a quest’ultimo di ottenere indebitamente l’assegnazione di più favorevoli postazioni di vendita, in violazione dei relativi regolamenti comunali.
Il ricorso rassegna essenzialmente tre doglianze.
2.1. In primo luogo, muove plurime censure alla motivazione della decisione, rilevando, in sintesi:
che la ricostruzione dei fatti poggia essenzialmente sul narrato di COGNOME, tuttavia incoerente, lacunoso e privo di indicazioni individualizzanti;
che le sue sono chiamate di correo, tuttavia non valutate come tali dai giudici di merito, i quali non hanno perciò osservato il protocollo valutativo per esse ormai definito dalla giurisprudenza di legittimità;
che quegli aveva interesse ad ingigantire gli episodi e ad accreditarsi come vittima, così da sottrarsi a responsabilità;
che gli episodi specifici da lui narrati difettano di riscontri;
che le affermazioni rese dal COGNOME in alcune conversazioni intercettate e valorizzate a suo carico dalla sentenza impugnata costituivano semplici e vaghe millanterie per accreditarsi agli occhi di COGNOME, mancando, invece, elementi dimostrativi di un suo effettivo contributo al rilascio dei provvedimenti a costui favorevoli;
-che non può costituire riscontro a quelle accuse il rinvenimento di consistenti somme di denaro in contanti nella disponibilità dei due funzionari COGNOME e COGNOME, mancando qualsiasi elemento che possa ricondurre le stesse al COGNOME;
che, dalle conversazioni intercettate tra quei due funzionari, emerge che, a differenza di quanto riferito da COGNOME, il loro rapporto con il ricorrente non fosse affatto benevolo né particolarmente stretto e che non vi fosse con lo stesso alcuna unità d’intenti;
che, in realtà, COGNOME, in ragione del suo ruolo sindacale, si limitava a svolgere una legittima attività di mediazione tra i pubblici funzionari competenti ed i commercianti ambulanti, curando nell’interesse di questi ultimi anche alcune incombenze burocratiche ed ottenendo in corrispettivo modestissimi compensi.
2.2. Il ricorso si duole, poi, della qualificazione giuridica del fatto.
Si deduce, cioè, che, ove si ritenesse accertata l’avvenuta dazione di denaro da parte di COGNOME, i fatti andrebbero comunque sussunti nella diversa fattispecie incriminatrice della induzione indebita di cui all’art. 319 -quater, cod. pen., avendo quegli agito in posizione di soggezione rispetto ai due funzionari e
soltanto per il timore di non poter continuare a svolgere il proprio lavoro, giacché – come da lui riferito ad un suo conoscente in servizio presso la polizia locale della città – fin dall’inizio della sua attività egli era stato destinatario di insist richieste di denaro da parte di alcuni impiegati comunali del settore.
2.3. Da ultimo, il ricorrente lamenta l’assenza di motivazione, in sentenza, sul mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 323-bis, primo comma, cod. pen., pur specificamente richiesto dalla difesa. In effetti, quand’anche l’accusa si ritenesse dimostrata, si sarebbe trattato pur sempre della dazione ai pubblici ufficiali di una somma di denaro assai modesta.
Ha depositato memoria scritta la Procura AVV_NOTAIO, chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso.
Il primo deduce essenzialmente ipotetici errori di valutazione delle risultanze istruttorie, perciò chiedendo a questa Corte un giudizio di puro merito, che non le compete.
La doglianza, peraltro, si presenta aspecifica, perché si limita a considerare soltanto alcune delle prove raccolte in istruttoria, obliterando completamente le plurime conversazioni intercettate, specificamente richiamate in sentenza ed obiettivamente concludenti.
Il secondo motivo, in tema di riqualificazione del fatto come induzione indebita ex art. 319-quater, cod. pen., è del tutto generico.
La relativa deduzione, infatti, è puramente assertiva, poiché non è sorretta dall’indicazione di specifiche e concludenti risultanze istruttorie eventualmente trascurate in sentenza e dalle quali poter ragionevolmente desumere sia che COGNOME versasse in una condizione di soggezione verso i funzionari comunali, sia che COGNOME abbia agito esclusivamente nell’interesse di costui: aspetti, questi, entrambi indispensabili per potersi in astratto ipotizzare la diversa qualificazione giuridica proposta.
Il terzo motivo, infine, relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 323-bis, primo comma, cod. pen., è precluso in questa sede, poiché quivi proposto per la prima volta (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.).
A questo si aggiunga che esso pure è generico, poiché si risolve nell’invocazione dell’applicazione della circostanza, per di più sulla base, anche in questo caso, della valutazione di profili di fatto, non consentita al giudice di legittimità.
L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2025.