Ricorso inammissibile: perché la Cassazione non è un terzo grado di giudizio
La Corte di Cassazione ha recentemente ribadito i confini invalicabili del proprio giudizio con un’ordinanza che ha dichiarato un ricorso inammissibile contro una condanna per furto aggravato. Questa decisione offre un’importante lezione sui motivi per cui un ricorso può essere respinto senza nemmeno entrare nel merito delle questioni sollevate. Comprendere la differenza tra giudizio di merito e giudizio di legittimità è fondamentale per chiunque si avvicini al mondo del diritto processuale penale.
Il Contesto Processuale
Il caso trae origine da una sentenza di condanna per furto aggravato emessa dal Tribunale di Grosseto. La decisione è stata successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Firenze. L’imputato, non rassegnato, ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, affidandosi a tre principali motivi di doglianza.
Le censure sollevate e il ricorso inammissibile
Il ricorrente ha basato la sua difesa su tre argomenti principali, sperando di ottenere un annullamento della condanna:
1. Vizio di motivazione: L’imputato sosteneva che la valutazione delle prove da parte dei giudici di merito fosse errata e illogica, proponendo una propria interpretazione alternativa.
2. Errata applicazione della legge: Si lamentava una mancata applicazione dell’articolo 81 del codice penale sulla continuazione del reato.
3. Diniego delle attenuanti generiche e applicazione della recidiva: Il ricorrente contestava sia il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sia l’applicazione della recidiva.
Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ritenuto ogni singolo motivo non meritevole di accoglimento, portando a una dichiarazione di completa inammissibilità.
La Decisione della Suprema Corte
La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni del ricorrente. Per quanto riguarda il vizio di motivazione, ha chiarito che il tentativo di sovrapporre una propria valutazione delle prove a quella, logica e adeguata, del giudice di merito non è consentito in sede di legittimità. Il ricorso in Cassazione non serve a decidere chi ha “più ragione” sui fatti, ma a verificare se il giudice abbia commesso errori di diritto o di logica manifesta.
Il secondo motivo è stato giudicato manifestamente infondato, poiché la continuazione era già stata riconosciuta in primo grado. Infine, la censura sul diniego delle attenuanti generiche è stata ritenuta inammissibile perché la valutazione del giudice di merito era basata su elementi concreti (i precedenti penali) e, come tale, insindacabile in Cassazione. La questione sulla recidiva, invece, è stata respinta perché sollevata per la prima volta in questa sede, una pratica vietata dal codice di procedura penale.
Le Motivazioni
La motivazione centrale dell’ordinanza risiede nella netta distinzione tra il ruolo dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e quello della Corte di Cassazione. Quest’ultima non è un “terzo grado” dove si può ridiscutere l’intera vicenda fattuale. Il suo compito è quello di “nomofilachia”, ovvero assicurare l’uniforme interpretazione della legge.
La Corte ha specificato che le censure ammissibili sono solo quelle relative a una motivazione mancante, palesemente illogica o contraddittoria. Non sono invece ammesse doglianze che attaccano la “persuasività” o la “puntualità” della ricostruzione dei fatti. Chiedere alla Cassazione di riconsiderare la credibilità di un testimone o il valore di una prova significa invadere un campo che non le compete. Per questo motivo, il primo e il terzo motivo sono stati giudicati inammissibili.
L’inammissibilità del motivo sulla recidiva, invece, si fonda su un principio procedurale cardine: non si possono introdurre “motivi nuovi” nel giudizio di Cassazione. Le questioni devono essere state sollevate e discusse nei gradi di merito, salvo eccezioni specifiche non ricorrenti nel caso di specie.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame è un chiaro monito: il ricorso per Cassazione è uno strumento tecnico con limiti precisi. Non può essere utilizzato come un’ultima spiaggia per tentare di ottenere una nuova valutazione dei fatti. La conseguenza di un ricorso inammissibile non è solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria, in questo caso fissata in 3.000 euro. Questa decisione rafforza la funzione della Corte di Cassazione come giudice della legge, non dei fatti, garantendo così la certezza del diritto e l’efficienza del sistema giudiziario.
Perché un motivo basato sulla valutazione delle prove è stato dichiarato inammissibile?
Perché il ricorrente non lamentava un errore di diritto o un vizio logico manifesto della motivazione, ma cercava di sostituire la propria interpretazione delle prove a quella del giudice di merito. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo la corretta applicazione della legge.
È possibile presentare per la prima volta un motivo di ricorso in Cassazione?
No, di regola non è possibile. L’ordinanza ha dichiarato inammissibile il motivo relativo all’applicazione della recidiva proprio perché era stato proposto per la prima volta in sede di legittimità, in violazione delle norme procedurali che richiedono che le questioni siano state precedentemente sollevate nei gradi di merito.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la condanna impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 997 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 997 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 18/12/1953
avverso la sentenza del 07/10/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Grosseto in data 8 giugno 2017, che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di furto aggravato e l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia;
che il secondo motivo, con il quale il ricorrente si duole dell’errata applicazione della legge in relazione alla mancata applicazione dell’art. 81, secondo comma, cod. pen., è manifestamente infondato, rilevato che la continuazione è stata riconosciuta già dal giudice di primo grado;
che il terzo motivo, nella parte in cui il ricorrente si duole del diniego delle attenuanti generiche, è inammissibile, in quanto, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del
13/04/2017, COGNOME Rv. 271269) e, in particolare, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli riten decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899) e nel caso di specie la Corte di merito ha fatto riferimento ai precedenti specifici dell’imputato;
che il terzo motivo, nella parte relativa all’applicazione della recidiva, è inammissibile ex art. 609, comma 3, cod. proc. pen., trattandosi di motivo proposto per la prima volta con il ricorso per cassazione;
che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 13/12/2023.