Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27070 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27070 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Taranto il 17/01/1954;
avverso l’ordinanza emessa in data 12/11/2024 dal Tribunale di Potenza visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udite le conclusioni degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Potenza ha rigettato la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME e ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza che in data 22 ottobre 2024 ha disposto nei suoi confronti la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere.
In queste ordinanze COGNOME è stato ritenuto gravemente indiziato del delitto di cui ai capi 1), 25), 32), 34), 36), 37), 41), 46), 56) e 61).
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso avverso questa ordinanza e ne hanno chiesto l’annullamento, deducendo undici motivi di ricorso e, segnatamente:
il vizio di violazione di legge e di manifesta illogicità della motivazione con riferimento al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. (capo 1 dell’imputazione cautelare);
Il Tribunale del riesame non avrebbe dimostrato le ragioni per le quali dall’unione tra pregresse associazioni criminali sarebbe scaturita una nuova associazione, né che la cooperativa RAGIONE_SOCIALE costituisca schermo di attività illecite e, dunque, fosse stata illecitamente costituita.
Le precedenti sentenze non avrebbero mai accertato l’operatività in territorio lucano di un clan COGNOME né alcuna condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso al ricorrente.
La confederazione mafiosa contestata agli COGNOME–COGNOME non può essere considerata un gruppo mafioso “a soggettività diversa”, come ritenuto dal Tribunale del riesame, in quanto l’associazione accertata dal giudicato operava nel territorio di Taranto e non già in territorio lucano.
Il Tribunale non avrebbe considerato gli elementi addotti dalla difesa e volti a confutare questa contestazione. La condotta collaborativa di alcune persone offese dimostrerebbe l’assenza della forza di intimidazione del clan.
il vizio di motivazione con riferimento al delitto di detenzione e di porto in luogo pubblico di 6,5 kg. di esplosivo e di kg. 5,7 di tritolo contestato al capo 25), in quanto la conversazione intrattenuta presso la Casa circondariale di Taranto tra NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME riguardava il sequestro del materiale esplosivo avvenuto nell’aprile del 2023 e non nel dicembre.
Il Tribunale del riesame, inoltre, avrebbe travisato lo svolgimento dei fatti nel descrivere la foto 19, nella quale NOME COGNOME non è più oggetto di osservazione da parte degli inquirenti.
il vizio di motivazione con riferimento al tentativo di estorsione contestato al capi 32), in quanto la riunione del 2 settembre 2023 non era stata finalizzata a minacciare o estorcere alcuno dei presenti.
NOME COGNOME non vi avrebbe partecipato, neppure telefonicamente e la riunione si sarebbe svolta in pieno giorno, in luogo pubblico e trafficato.
il vizio di motivazione con riferimento ai delitti di detenzione di armi contestati ai capi 34) e 41), in quanto non sarebbe stato fornito alcun riscontro all’intercettazione n. 3721 R.I.T. 721/2023 dell’11/11/2023.
il vizio di motivazione con riferimento al delitto di tentata estorsione contestata al capo 36), in quanto è dubbia la natura della pretesa creditoria avanzata dal ricorrente;
il vizio di motivazione con riferimento al delitto di tentata estorsione contestata al capo 46), in quanto non vi sarebbe prova dell’effettività dell’attività di pesca svolta e dell’«obolo» versato al clan.
il vizio di motivazione con riferimento al delitto di estorsione consumata ai danni dei pescatori professionali NOME e NOME COGNOME, contestato al capo 47), in quanto sarebbe frutto di un travisamento delle intercettazioni;
il vizio di motivazione con riferimento all’estorsione del miticoltore NOME contestata al capo 56), in quanto non vi sarebbe stata alcuna conversazione tra la persona offesa e il ricorrente;
il vizio di motivazione con riferimento al delitto di illecita concorrenza con violenza o minaccia contestato al capo 61), in quanto dalle precedenti estorsioni contestate non può desumersi la commissione del delitto di cui all’art. 513-bis cod. pen.;
10) il vizio di motivazione con riferimento all’aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod. pen. contestata in relazione ai delitti di cui ai capi 25), 32), 34), 36), 37), 41), 46), 47), 56) e 61) dell’imputazione cautelare, in quanto in nessuna conversazione risulterebbe il ricorso al metodo mafioso.
Parimenti sarebbe insussistente la finalità agevolatrice, in quanto le condotte poste in essere dall’imputato sarebbero state funzionali non già a favorire l’associazione, ma a fini di arricchimento personale.
il vizio di motivazione con riferimento alle esigenze cautelari, in quanto i precedenti richiamati dal Tribunale del riesame risalirebbero a oltre venti anni fa e non sarebbero dimostrativi della concretezza e dell’attualità delle esigenze cautelari, che avrebbero potuto essere soddisfatte anche a mezzo dell’applicazione degli arresti domiciliari con la previsione di appositi strumenti di controllo.
In data 25 marzo 2025 e in data 3 aprile 2025 gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno chiesto la trattazione orale del ricorso.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 10 aprile 2025, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto i motivi proposti
sono diversi da quelli consentiti dalla legge o, comunque, manifestamente infondati.
I motivi sono, infatti, inammissibilEt, per aspecificità in quanto non si confrontano con la motivazione dell’ordinanza impugnata, ma ne contestano singoli frammenti, e si risolvono nella sollecitazione a pervenire ad un rinnovato esame delle risultanze di merito, non consentita in sede di legittimità.
I motivi di ricorso, infatti, si incentrano sulla proposizione di una ricostruzione fattuale antagonista rispetto a quella delineata dall’ordinanza impugnata.
I motivi, dunque, pur quando deducono il vizio di violazione di legge, sono volti ad ottenere uno rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dal Tribunale del riesame e si riducono ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, con riferimento a ciascuna imputazione cautelare, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un’effettiva illogicità o carenza della motivazione su punti decisivi della regiudicanda cautelare.
Esula, tuttavia, dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, COGNOME, Rv. 207944).
Per il disposto dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio della motivazione deve essere desumibile dalla lettura del provvedimento impugnato, nel senso che esso deve essere “interno” all’atto-sentenza e non il frutto di una rivisitazione in termini critici della valutazione del materiale probatorio, perché in tale ultimo caso verrebbe introdotto un giudizio sul merito valutativo della prova che non è ammissibile nel giudizio di legittimità (ex plurimis: Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01).
E’, dunque, inammissibile il ricorso per cassazione che, offrendo al giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari, solleciti quest’ultimo ad una rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi, anziché al controllo sulle modalità con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica della interpretazione che ne è stata fornita (ex plurimis: Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, E., Rv. 276566; Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012, Aprovitola, Rv. 253774).
Sono, inoltre, inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte nel procedimento di riesame, con l’aggiunta di espressioni che
contestino, in termini meramente essertivi e apodittici, la correttezza dell’ordinanza impugnata, che difettino di una critica puntuale al provvedimento e
non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stati accolti (cfr.,
con riferimento ai motivi di appello, Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021,
COGNOME
Rv. 281521 – 01).
Inammissibili sono, inoltre, le censure mosse alla motivazione relativa alle esigenze cautelari.
In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca l’assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di
specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la
ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito
(ex plurimis:
Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017,
COGNOME, Rv. 270628).
Il Tribunale del riesame ha, peraltro, congruamente motivato la sussistenza delle esigenze cautelari in ragione del ruolo apicale assunto dal ricorrente nel sodalizio mafioso e in applicazione della doppia presunzione sancita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., peraltro non considerata nei ricorsi.
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2025.