Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3489 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3489 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GELA il 15/05/1977
avverso la sentenza del 27/11/2023 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 27 novembre 2023 la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la pronuncia del Tribunale di Gela del 20 marzo 2023 con cui NOME era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro 300,00 di multa in ordine al reato di cui agli artt. 624, 625 n. 2 e 7 cod. pen.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, eccependo, con tre distinti motivi: violazione di legge e vizio di motivazione per mancanza di prova grave, precisa e concordante in ordine all’avvenuta effettuazione, da parte sua, della manomissione del misuratore interno all’immobile; carenza della condizione di procedibilità, come richiesta dalla c.d. “Riforma Cartabia”, in relazione al delitto contestato; motivazione apparente e abnorme con riguardo alla mancata sostituzione della pena detentiva inflittagli con quella pecuniaria o con il lavoro socialmente utile.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
2.1. Ed infatti, con riguardo alla prima doglianza, deve essere osservato come esuli dai poteri della Corte di Cassazione quello di una «rilettura» degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207945-01).
La Corte regolatrice ha rilevato che, anche dopo la modifica dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006, n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, COGNOME, Rv. 234109-01).
In sede di legittimità, pertanto, non sono consentite censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., ex multis, Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv. 244181-01).
Delineato nei superiori termini l’orizzonte del presente scrutinio di legittimità, deve essere osservato, allora, come l’imputato in realtà invochi
un’inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio in atti, e, quindi, una rivisitazione del potere discrezionale riservato al giudice di merito in punto di valutazione della prova e di qualificazione del fatto delittuoso, senza confrontarsi, con la dovuta specificità, con l’iter logico-giuridico seguito d giudici di merito, mediante cui sono pervenuti ad affermare, in ragione del complessivo compendio probatorio in atti (cfr. p. 1 della sentenza impugnata), il pieno riconoscimento della responsabilità penale del prevenuto in ordine all’integrazione del delitto contestatogli.
2.2. Parimenti inammissibile è la seconda doglianza, avendo la Corte di appello adeguatamente esplicato come, nel caso di specie, vi sia la ricorrenza sia dell’aggravante della violenza sulle cose che quella di avere commesso il fatto su cose destinate ad un pubblico servizio, così rendendo il reato procedibile di ufficio (cfr. pp. 1 e s. della sentenza impugnata).
2.3. Stesso giudizio deve essere espresso, infine, pure con riguardo alla residua censura, dovendo essere osservato come essa, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale in replica alle analoghe doglianze eccepite con l’atto di appello – nella quale erano state congruamente evidenziate le ragioni di assenza dei presupposti per l’applicazione della pena pecuniaria o del lavoro socialmente utile in sostituzione della pena detentiva (cfr. p. 2 della sentenza impugnata) – reiteri le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado.
Per come ripetutamente chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatt che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, cioè, è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano i dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel
provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 17 ottobre 2024
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Il Consigliere estensore ente