Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4227 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 4227 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PAOLA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/06/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG PIETRO COGNOME
Il Proc. Gen., riportandosi alle conclusioni già depositate, chiede che venga dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO, al termine del proprio intervento, insiste nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza del 6 giugno 2023 il Tribunale del riesame di Catanzaro ha annullato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunal Catanzaro del 6 aprile 2023, limitatamente ai reati di cui ai capi 18, 19 e confermato nel resto l’impugnata ordinanza con la quale è stata applicata la mis cautelare della custodia in carcere ritenendo sussistente i gravi indizi dei art. 416-bis cod. pen., di estorsione, detenzione e porto di armi, ricett tentato incendio doloso, ex art. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difenso dell’indagato deducendo «la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. B) ed E)» proc. pen., in relazione agli art. 273 cod. proc. pen., 416-bis cod. pen., 74 n. 309 del 1990, e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità motivazione.
2.1. Contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale del riesame, dagli a investigativi non emergerebbe il possibile inquadramento della condotta ricorrente all’interno dell’associazione mafiosa di cui al capo 1); le interce e le attività investigative confermerebbero tale assunto difensivo, poiché proverebbero l’accordo criminoso.
Il Giudice per le indagini preliminari ed il Tribunale del riesame si sareb limitati a richiamare la richiesta di misura cautelare; la motivazione non sa specifica e precisa sul reato associativo contestato.
2.2. Anche la motivazione sui reati fine di cui ai capi 15,17,20,21 e 31 sarebbe precisa e vi sarebbero dei vuoti argomentativi.
Dopo aver riportato il testo dell’imputazione sub capo 15) e fatto riferim alla motivazione dell’ordinanza genetica, si evidenzia che le captazioni rip nel ricorso non sarebbero seguite da riscontro probatorio.
La motivazione dell’ordinanza impugnata (pag. 16) sul capo, riportata n ricorso, sarebbe illogica e nessun riscontro sarebbe stato fornito per affer oltre ogni ragionevole dubbio, che il ricorrente sia responsabile del f concorso; né a tale mancanza potrebbe sopperire il ragionamento deduttivo de giudici.
2.3. Dopo aver riportato il capo 17, si sostiene che il Giudice per le in preliminari avrebbe condiviso il ragionamento del Pubblico ministero.
2.4. Trascritto il capo 20, si rileva che gli elementi di prova sarebbero co da una conversazione tra NOME e NOME.
Riportate le pagine 17 e 18 dell’ordinanza impugnata, il ricorrente richiama le precedenti contestazioni: la motivazione sarebbe illogica ed apodittica perché fondata su deduzioni logiche.
2.5. Riprodotto il capo 21, si rileva che il Tribunale del riesame avrebbe effettuato una deduzione sulla presenza del ricorrente, fondata sul nome NOME. Non vi sarebbero elementi ulteriori e la motivazione sarebbe il frutto di una deduzione.
2.6. Dopo aver riportato il capo 31, si afferma che gli elementi adoperati sarebbero gli stessi già valutati per ritenere il ricorrente partecipe dell’associazione di cui al capo 1. Sarebbe evidente l’illogicità della motivazione (pag. 21 dell’ordinanza impugnata). L’operatività del ricorrente nell’associazione sarebbe un dato sconosciuto alla difesa. Nelle conversazioni ambientali e telefoniche il ricorrente non proferirebbe nessuna frase.
2.6. In relazione al capo 62, il cui testo è trascritto nel ricorso, dopo aver riportato la motivazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame (pag. 25) ed espresso considerazioni in diritto sul reato associativo, si sostiene che le intercettazioni telefoniche ed ambientali non fornirebbero alcun riscontro alla consapevole partecipazione del ricorrente all’associazione per delinquere.
Il Giudice per le indagini preliminari non avrebbe indicato gli elementi di riscontro relativi all’accordo tra il ricorrente e gli altri associati. Inoltr sussisterebbe alcun elemento che provi la consapevolezza del ricorrente delle attività degli altri partecipi; il contenuto delle intercettazioni poste alla base provvedimento impugnato non presenterebbe elementi sulla coscienza e volontà del ricorrente di far parte dell’associazione per delinquere.
Dopo i richiami alla giurisprudenza, anche sulla condotta di partecipazione, si afferma che gli elementi costitutivi mancherebbero: nell’ordinanza impugnata non sarebbero state menzionate le condotte che collochino il ricorrente a monte del mercato della droga. Mancherebbero elementi sicuri e qualificabili come sintomatici dei collegamenti tra il ricorrente e l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanza stupefacente.
Vi sarebbe stata poi una duplicazione di contestazioni tra il reato di cui al capo 1), ex art. 416-bis cod. pen., e quello di cui al capo 62) ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990. In entrambe le contestazioni il ricorrente sarebbe dedito alla gestione del traffico delle sostanze stupefacenti; gli elementi di prova sarebbero costituiti dal collegamento, per entrambe le associazioni, con NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.7. Per quanto riguarda le imputazioni ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 67, 70, 171, da 184 e 197, da 303 a 309), «la difesa rimarca con forza quanto ampiamente argomentato in precedenza»; la motivazione non sarebbe specifica e
precisa con riferimento ai reati contestati, soprattutto in relazione alla contiguità giuridica esistente tra i reati di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 in concorso ex art. 110 cod. pen. ed ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono formulati, nel loro incipit, deducendo la «violazione dell’art. 606 c.p.p. …»: va rilevato che tale norma descrive i casi in cui è possibil esperire il ricorso per cassazione, sicché i vizi sussistono non per la violazione dell’art. 606 cod. proc. pen. ma quando il provvedimento impugnato sia incorso in violazione di legge sostanziale o processuale o in uno dei vizi della motivazione.
1.1. Il ricorso è inammissibile per genericità laddove deduce il travisamento della prova perché le prove specificamente travisate non sono neanche chiaramente indicate.
1.1.1. Secondo la giurisprudenza, il ricorso per cassazione, con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 – 01).
In ogni caso, va ricordato che il travisamento della prova, ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen., può essere invocato quale vizio della motivazione, sotto i profili della contraddittorietà o illogicità manifesta, solo quando il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o sul risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale – quanto al contenuto di una conversazione intercettata, ad es. il vizio sussiste se nella conversazione si dice rosso ed il giudice ha scritto bianco – o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia.
1.1.2. Il ricorrente invece, contesta in modo del tutto inammissibile l’adeguatezza della valutazione che il giudice di merito ha effettuato delle intercettazioni effettuate per ottenerne una diversa: il ricorrente invoca una
valutazione di merito sugli elementi acquisiti nelle indagini preliminari che non è riconducibile ai vizi della motivazione tassativamente indicati dalla legge.
1.2. Il ricorrente contesta genericamente che la motivazione debba essere «precisa», al di fuori dei vizi descritti dall’art. 606, lett. e), cod. proc. pen.
1.3. Il ricorso contesta, per la gran parte, la motivazione dell’ordinanza genetica; si confronta solo con una parte dell’ordinanza impugnata e si limita a negare la valenza indiziaria ritenuta dal Tribunale del riesame; ad esempio, sui capi 15 e 17 – sul quale vi è solo un riferimento nel ricorso all’ordinanza genetica – la motivazione è analizzata solo nella prima parte, mentre le argomentazioni del Tribunale del riesame finiscono a pag. 17.
1.4. Sui capi 20 e 21 ci si limita ad affermare che la conversazione sarebbe avvenuta tra soggetti diversi dal ricorrente, senza confrontarsi con la motivazione dell’ordinanza impugnata sul perché risulti anche il coinvolgimento dell’indagato nel delitto contestato.
1.5. Il Tribunale del riesame ha correttamente applicato il principio per cui gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni, anche quando non vi abbia partecipato l’imputato, costituiscono fonte di prova diretta, soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, senza necessità di riscontro ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Cigliola, Rv. 268414 – 01), fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettat secondo criteri di linearità logica.
1.6. Del tutto inammissibile è il ricorso sul capo 31 in cui si afferma che la mera – illogicità della motivazione sarebbe evidente.
In tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che «attaccano» la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spesso della valenza probatoria del singolo elemento.
1.7. Anche con riferimento al capo 62), ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, il ricorso è inammissibile perché aspecifico: la motivazione dell’ordinanza impugnata inizia a pag. 21, mentre il ricorrente si confronta solo con una piccola parte della motivazione; il ricorso prospetta solo interpretazioni alternative senza, però,
nessun reale confronto con l’ordinanza impugnata e non dimostra neanche che il Tribunale del riesame abbia erroneamente applicato la norma sostanziale.
1.8. Quanto al concorso tra i delitti ex art. 416-bis cod. pen. e 74 d.P.R. n. 309 del 1990, il ricorso è inammissibile per il difetto del requisito della specificità estrinseca, posto che non si confronta con la motivazione dell’ordinanza impugnata che a pag. 11 ha specificamente indicato le ragioni della sussistenza della gravità indiziaria di entrambi i reati.
1.9. Infine, deve rilevarsi che con i motivi di riesame non furono dedotte specifiche questioni sui reati ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 di cui ai capi 67,70, 171, da 184 e 197, da 303 a 309; le contestazioni si limitavano a generiche affermazioni su quanto «argomentato in precedenza» e sulla necessità di una motivazione precisa e specifica.
Il ricorso riprende letteralmente tali generiche argomentazioni ed è pertanto inammissibile ai sensi dell’art. 581 cod. proc. pen.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 28/11/2023.