Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 10435 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 10435 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME AntonioCOGNOME nato a Caivano il 14/1/1971
avverso l’ordinanza del 23/10/2024 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; udito per il ricorrente l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23 ottobre 2024 il Tribunale di Napoli ha rigettato la richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME nei confronti dell’ordinanza del 12 settembre 2024 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con la quale era stata applicata allo stesso COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90, di cui capo a), e a due contestazioni del reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90, di cui a capi 39) e 40).
Avverso tale ordinanza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo ha eccepito, a norma degli artt. 192, terzo, comma 335, 405 e 407, terzo comma, cod. proc. pen., l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME il 18 marzo 2024 in altro procedimento, perché rese successivamente alla scadenza del termine stabilito per la conclusione delle indagini preliminari, in quanto il ricorrente era stato iscritto nel registro d indagati il 3 maggio 2020.
Tali dichiarazioni, inoltre, sarebbero prive della prescritta valutazione sulla loro attendibilità intrinseca ed estrinseca, essendo, tra l’altro, prive di qualsi riferimento ai rapporti di partecipazione del ricorrente al Clan Gallo (al quale, secondo la contestazione, il ricorrente si sarebbe associato).
2.2. Con il secondo motivo ha lamentato la violazione degli artt. 125, terzo comma, 192, primo comma, e 273 cod. proc. pen. e un vizio della motivazione, con riferimento alla valutazione e alla considerazione del contenuto delle conversazioni intercettate, dalle quali emergerebbero, in realtà, rapporti di sfiducia e mendaci tra i conversanti, incompatibili con l’esistenza del contestato vincolo associativo.
2.3. Con il terzo motivo ha lamentato la violazione degli artt. 125, terzo comma, 192, terzo comma, e 273 cod. proc. pen. e 73 e 74 d.P.R. 309/90, con riferimento alla gravità indiziaria in ordine alla partecipazione al sodalizio criminal di cui al capo a), ricavata da una sola condotta di acquisto di stupefacenti, in assenza della dimostrazione di continuità di acquisti di stupefacenti, senza considerare che all’epoca dei fatti contestati il ricorrente si trovava ristretto a arresti domiciliari in relazione alle contestazioni mossegli in altro procedimento, e senza neppure valutare la mancanza di stabilità degli acquisiti, la consistenza qualitativa e quantitativa degli stessi, la loro rilevanza economica e, soprattutto, la loro incidenza sulla operatività del sodalizio, onde poter desumere da essi la partecipazione alla associazione di cui al capo a).
Dalle conversazioni intercettate emergerebbe, infatti, un rapporto s clientelare e non anche associativo tra il Clan Gallo e il ricorrente, in q singoli spacciatori (quale il ricorrente) venivano considerati fungibili dai ver sodalizio, e le dichiarazioni su tale punto dei collaboratori di giustizia COGNOME, COGNOME COGNOME, COGNOME NOME) risultavano del tutto generiche e pri della necessaria concludenza.
Ha censurato anche la lettura degli elementi indiziari, in particolare conversazioni tra COGNOME e COGNOME, in relazione ai reati fine di cui ai ca 40), in quanto dalle stesse non si desumerebbero elementi idonei a far rite che in occasione dei loro incontri il COGNOME, tramite il COGNOME, avesse effettiva ceduto sostanza stupefacente al ricorrente COGNOME; ha quindi eccepito genericità ed equivocità degli elementi di prova ritenuti dimostrativi di cessioni, in quanto da essi non si ricavava affatto il perfezionamento delle ces contestate ai suddetti capi 39) e 40).
2.4. Con memoria del 16 gennaio 2025 il ricorrente, nel replicare alla memor depositata dal Procuratore Generale, con la quale è stata sollecita dichiarazione di inammissibilità del ricorso, ha ribadito la denuncia di viola degli artt. 125, terzo comma, 192, terzo comma, e 273 cod. proc. pen., nonc 73 e 74 d.P.R. 309/90, con riferimento alla gravità indiziaria della partecipa al sodalizio criminale di cui al capo a), sottolineando la mancata dimostraz della stabilità del rapporto di fornitura e anche della sua funzionalità agli s sodalizio, e anche a proposito della mancata dimostrazione della consapevolezz del ricorrente di far parte di detto sodalizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, essendo stato affidato a censure prive d necessaria specificità e fondate su rilievi in ordine alla lettura e alla va degli elementi indiziari che non sono consentiti nel giudizio di legittimità.
Il primo motivo, con il quale è stata eccepita l’inutilizzabilit dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME è inammissibile difetto di specificità, sia intrinseca, non essendo stato illustrato il con dette dichiarazioni e, soprattutto, la loro incidenza nell’ambito del complesso elementi indiziari a carico valutati ai fini della emissione della misura cau sia estrinseca, essendo privo del prescritto e necessario confronto critico motivazione dell’ordinanza impugnata e, soprattutto, della illustrazione rilevanza di tali dichiarazioni all’interno della struttura giustific provvedimento impugnato.
Deve, infatti, rammentarsi che è consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarir altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME Rv. 243416 – 01; conf. Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, COGNOME, Rv. 254108 – 01; Sez. 6, n. 1219 del 12/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278123 – 01).
Nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per difetto di specificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 3 , n. 39603 del 03/10/2024, COGNOME, Rv. 287024 – 02, in tema di acquisizione di elementi istruttori dopo la scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari; nel medesimo senso Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 270303 – 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269218 – 01; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262011 – 01).
Nel caso in esame, alcuna deduzione è stata sviluppata in ordine alla suddetta prova di resistenza, nel senso che il ricorrente si è limitato ad eccepire l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di NOME COGNOME senza in alcun modo illustrarne l’incidenza nel complesso degli elementi indiziari a carico considerati e valutati all’atto della emissione dell’ordinanza applicativa della misura e, successivamente, nella valutazione della sua richiesta di riesame, omettendo di considerare la pluralità degli altri elementi a carico (costituiti dalle dichiaraz convergenti dei collaboratori COGNOME e COGNOME; e dal contenuto, del tutto univoco, delle conversazioni intercettate, di cui sono stati riportati amp stralci nell’ordinanza impugnata, in particolare alle pagine 8 e 9, proprio a sottolinearne l’univoca valenza dimostrativa, non certamente smentita e nemmeno sminuita dalla eventuale espunzione delle dichiarazioni di NOME COGNOME), con la conseguente genericità della sua eccezione di inutilizzabilità, che ne comporta l’inammissibilità per difetto di specificità, sia intrinseca sia estrinsec (cfr. Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01; nonché Sez. 6, n. 56968 del 11/09/2017, COGNOME, Rv. 272202 – 01, sulla applicabilità del principio al giudizio di riesame in materia di misure cautelari personali, e Sez. 2, n. 21432 del 15/03/2023, I., Rv. 284718 – 01).
3. Il secondo e il terzo motivo, esaminabili congiuntamente in considerazione della sovrapponibilità delle censure con essi formulate, tutte relative alla valutazione degli elementi indiziari a carico e alla loro concludenza, sia in ordine al reato associativo di cui al capo a), sia a proposito dei reati fine di cui ai capi 3 e 40), sono inammissibili, essendo entrambi volti a censurare l’apprezzamento e la valutazione degli elementi indiziari a carico, in particolare il contenuto dell conversazioni intercettate, sottolineandone alcune discrepanze, ma su aspetti marginali e ‘di contorno, non incidenti sul nucleo essenziali di detti elementi indiziari e sulla loro idoneità dimostrativa della realizzazione delle condotte contestate,
Premesso che le doglianze concernenti le conversazioni intercettate, riportate alle pagine da 5 a 9 del ricorso, non riguardano il ricorrente COGNOME, va rammentato che le Sezioni Unite, con la sentenza Sebbar, hanno chiarito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; conf. Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650 – 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01), e che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263714 – 01).
Entrambi i motivi sollecitano, invece, una rilettura degli elementi indiziari considerati e posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, però, riservata in via esclusiva ai giudici del merito, senza che possa integrare alcun vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente pi adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944), senza neppure concretamente confrontarsi con l’ordinanza impugnata, che ha evidenziato puntualmente i molteplici, e invero univoci, elementi dimostrativi del rapporto di stabile fornitura di droga dal clan COGNOME.
In particolare, nell’ordinanza impugnata sono stati richiamati i plurimi e convergenti elementi indicativi della gestione da lungo tempo da parte del ricorrente di una “piazza di spaccio” in Caivano, in INDIRIZZO coincidente con la sua abitazione, dalla quale svolgeva detta attività, come riferito concordemente da tutti i collaboratori di giustizia (compreso, ma non solo, NOME COGNOME), sottolineando come dalle conversazioni intercettate, in particolare con NOME
COGNOME (capo, promotore e organizzatore del sodalizio di cui al capo A), emerga lo stretto vincolo tra il ricorrente e il sodalizio, caratterizzato dalla stabile forn del ricorrente per la sua attività di spaccio, tanto da imporre a COGNOME la fornitura esclusiva da parte del suo sodalizio, in cambio della sua protezione, onde essere tutelato dalle possibili ritorsioni di clan avversi (dai quali in precedenza si e rifornito di stupefacenti).
Analogamente la gravità indiziaria della realizzazione dei reati fine di cui ai capi 39) e 40) è stata desunta in modo logico dal contenuto univoco di alcune delle conversazioni intercettate, il cui contenuto è stato riportato per estratto a pag. 9 dell’ordinanza impugnata, sottolineando come da esse si ricavi lo stabile rapporto di fornitura tra COGNOME e il Clan COGNOME, e indicando gli elementi dimostrativi de perfezionamento di due cessioni e non una sola, come sostenuto nel ricorso, in quanto nelle conversazioni si dà atto del solo parziale pagamento da parte del ricorrente di una fornitura di 100 grammi di cocaina e della conseguente riduzione della successiva fornitura.
Si tratta di valutazioni immuni da vizi logici e idonee a giustificare la gravit indiziaria in ordine a tutti e tre i reati contestati al ricorrente, che quest’ultim censurato esclusivamente sul piano dell’apprezzamento e della valutazione degli elementi a carico, proponendone una lettura alternativa, non consentita, come ricordato, nel giudizio di legittimità, nel quale è esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Il ricorso in esame deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericità del primo motivo e del contenuto non consentito del secondo e del terzo.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 19/2/2025