Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29656 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29656 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Vercelli il 17/12/1959
J ACO. 2025
COGNOME
IL
ianl
COGNOME NOMECOGNOME nato a Milano il 14/07/1961
avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona del 01/07/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME
lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020, dal Procuratore generale che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; lette le note di replica a firma dell’avv. NOME COGNOME difensore di Grottarol svolte in relazione ai motivi 1, 2, 3 e 4 di ricorso, cui si è riportato, invocan
l’annullamento senza rinvio della gravata sentenza; l’assoluzione del COGNOME per i reati ascritti per mancanza di dolo specifico; in subordine, la riduzione della pena e della confisca;
lette le note di replica a firma dell’avv. NOME COGNOME difensore d COGNOME, svolte in relazione ai motivi 1, 2, e 3 di ricorso, cui si è riporta invocando l’annullamento senza rinvio della gravata sentenza; l’assoluzione del COGNOME per i reati ascritti in quanto il fatto non costituisce reato; in subordi l’assoluzione dai reati ascritti ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod.proc.pen.; in ulteriore subordine la riduzione della pena cpn adeguata motivazione della sua riduzione;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 1 luglio 2024 la Corte di appello di Ancona -in parziale riforma della sentenza (appellata da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME) con cui, il 27 maggio 2022, il Tribunale di Pesaro aveva ritenuto COGNOME responsabile dei reati di cui agli artt. 81 cpv. cod.pen., 8 d.lvo 74/2000 (in concorso con COGNOME) in qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE dal 5.10.15 e socio al 90% della medesima società (capo C), artt. 81 cpv. cod.pen., 8 d.lvo 74/2000, in concorso con Grottaroli, quale titolare dell’omonima ditta individuale (capo E), art. 5 d.lvo 74/2000 (capo F), artt. 11, art. 81 cp cod.pen., 8 d.lvo 74/2000 (in concorso con Grottaroli) in qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE dal 5.10.15 e socio al 90% della medesima società (capo G); Grottaroli responsabile dei reati di cui agli artt. 81 cpv. cod,pen., 8 d.lv 74/2000, in qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE e socio al 10% della medesima società (capo A), artt. 81 cpv. cod.pen., 2 d.lvo 74/2000, in qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE e socio al 10°/o della medesima società (capo B), artt. 81 cpv. cod.pen., 8 d.lvo 74/2000 (in concorso con COGNOME in qualità di socio al 10% e amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE fino al 5.10.15 , poi di amministratore di fatto della suddetta società C); artt. 81 cpv. cod.pen., 2 d.lvo 74/2000 (in concorso con COGNOME) in qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE (capo D); artt. 11, artt. 81 cpv. cod.pen., 8 d.lvo 74/2000 ( concorso con COGNOME in qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE fino al 4.10.2015 e successivamente amministratore di fatto (capo G); COGNOME responsabile dei reati di cui agli artt. 81 cpv. cod.pen., 2 d.lvo 74/2000 (i concorso con COGNOME) in qualità di amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE e socio unico della stessa fino al 15.11.2017 (capo D); e, unificati i reati per i vincolo della continuazione quanto ad COGNOME e COGNOME, ritenute le attenuanti generiche per tutti gli imputati, aveva condannato COGNOME alla
pena di anni 1 mesi 8 di reclusione, COGNOME alla pena di anni 2 mesi otto di reclusione, COGNOME alla pena di anni 1 mesi 4 di reclusione, con le sanzioni accessorie, per tutti, di cui all’art. 12 lett a), b) e c) d.lvo 74/2000 per la du di anni 1 e di cui all’art. 12, lett d), nonché l’interdizione dai pp.uu. per anni 1, pubblicazione della sentenza; disponendo, altresì, la confisca diretta o per equivalente nei confronti di tutti gli imputati, in misure differenziate: COGNOME fino alla concorrenza della somma di euro 71.841, pari all’IVA dovuta e non versata (capo F), per Grottaroli fino alla concorrenza della somma di euro 169.458, pari all’IVA dovuta e non versata (capi A e B); per COGNOME e COGNOME fino alla concorrenza della somma di euro 209.700,10, pari all’IVA dovuta e non versata (capo D); per COGNOME e COGNOME fino alla concorrenza della somma di euro 337.958,63, pari all’IVA dovuta e non versata)- ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati COGNOME e COGNOME in ordine al reato di cui al capo G, e, nei confronti del solo COGNOME, in relazione al reato di cui capo A, limitatamente alle fatture emesse nell’anno 2012 e 2013 e di cui al capo B limitatamente ai fatti concernenti l’anno di imposta 2012 in quanto estinti, tutti, per intervenuta prescrizione, e, per l’effetto, ridotto la pena irrogata a COGNOME ad anni 2 e mesi 4 di reclusione, e quella irrogata a COGNOME ad anni 1 e mesi 7 di reclusione; limitato la confisca per equivalente disposta in relazione ai reati d cui ai capi A e B alla somma complessiva di euro 99.533,74 ed escluso la confisca per equivalente in relazione al capo G; ha confermato la sentenza nel resto.
COGNOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso per l’annullamento della sentenza, affidato a tre motivi.
2.1. Col primo motivo lamenta violazione di legge e difetto di motivazione, asseritamente inadeguata, sulla sussistenza dell’elemento soggettivo e del dolo specifico, in difetto della indicazione di elementi di prova a sostegno della sua esistenza.
La Corte di appello avrebbe ritenuto di desumere il dolo specifico in capo all’odierno ricorrente, amministratore di diritto, dal complesso dei rapporti tra questi e l’amministratore di fatto, Grottaroli, nel cui ambito macroscopica illegalità dell’attività svolta e consapevolezza di tale illegalità assumono valenza decisiva; COGNOME, tuttavia, nulla sapeva della gestione della società, agiva in esecuzione delle disposizioni di Grottaroli, riceveva un magro compenso.
Assume la difesa, a conforto delle proprie lagnanze, l’impossibilità di desumere, come ha fatto la Corte territoriale, la piena consapevolezza richiesta per la prova del dolo specifico dalle emergenze processuali, che di seguito ripercorre.
2.2. Col secondo motivo denuncia violazione dell’art. 533 cod.proc.pen., del principio del ragionevole dubbio, del principio di non colpevolezza, nonché difetto di motivazione in ordine alla consapevolezza e partecipazione al reato.
La Corte di appello avrebbe ritenuto la responsabilità di COGNOME sulla base della posizione formale ricoperta.
La difesa non ritiene superato il ragionevole dubbio in ordine alla sua responsabilità, in assenza di elementi chiari e specifici -tali non essendo gli elementi a carico e le conversazioni intercettate, poche e non conclusive- che dimostrino il suo coinvolgimento nella commissione dei reati tributari contestati.
2.3. Col terzo motivo denuncia violazione dell’art. 133 cod.pen., eccessività della pena e carenza di motivazione nella determinazione della stessa.
Nella sentenza impugnata la Corte, nel confermare la sentenza di primo grado, e nonostante il riconoscimento delle attenuanti generiche, ha applicato una pena complessiva eccessiva rispetto al grado di coinvolgimento dell’imputato nelle presunte attività illecite, semplicemente ancorato alla entità rilevante degli importi delle false fatture contabilizzate.
COGNOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso per l’annullamento della sentenza, affidato a quattro motivi.
3.1. Col primo motivo lamenta violazione di legge e difetto di motivazione, asseritannente inadeguata, sulla sussistenza dell’elemento soggettivo e del dolo specifico, in difetto della indicazione di elementi di prova a sostegno della sua esistenza.
Il dolo specifico deve essere espresso e non può essere desunto da presunzioni o da inadeguato apporto di prova.
Benché COGNOME sia stato ritenuto ideatore e promotore delle operazioni fraudolente, le prove emerse durante il processo -intercettazioni telefoniche- non dimostrerebbero, secondo la difesa, consapevolezza e dolo specifico dell’imputato in relazione agli addebiti, in ragione del suo ruolo marginale nella gestione amministrativa e contabile delle società coinvolte.
3.2. Col secondo motivo denuncia violazione dell’art. 533 cod.proc.pen., del principio del ragionevole dubbio, del principio di non colpevolezza, nonché difetto di motivazione in ordine alla consapevolezza e partecipazione al reato.
La difesa non ritiene superato il ragionevole dubbio in ordine alla sua responsabilità in assenza di elementi chiari e specifici -tali non essendo le conversazioni intercettate- che dimostrino il suo coinvolgimento nella commissione dei reati tributari contestati, ritenuto solo sulla base del contestato ruolo di amministratore di fatto.
3.3. Col terzo motivo denuncia violazione dell’art. 133 cod.pen., eccessività della pena e carenza di motivazione nella determinazione della stessa. Nella sentenza impugnata la Corte, pur riducendo la pena al Grottaroli, e nonostante il riconoscimento delle attenuanti generiche, ha applicato una pena complessiva eccessiva rispetto al grado di coinvolgimento dell’imputato nelle presunte attività illecite, in violazione del criterio della proporzionalità della pe rispetto alla gravità del fatto e in riferimento alla personalità dell’imputato. 3.4. Col quarto motivo denuncia violazione delle disposizioni in tema di confisca, che, pur ridotta rispetto alla quantificazione operata dal primo grado, rimarrebbe
sproporzionata rispetto ai reati contestati ed alle circostanze del caso concreto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Premette il Collegio come, nel caso in esame, ci si trovi -per il COGNOME integralmente, per COGNOME limitatamente alla intervenuta conferma della sentenza di primo grado- in presenza di una «doppia conforme» di merito . Ed infatti il secondo giudice, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, ha «riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunto alla medesima Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007, Medina, Rv. 236130
conclusione» (v., ex multis, – 01, Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, COGNOME, Rv. 243636 – 01).
In questo caso, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 – 01), ai fini del controllo di legittimità sul vizio motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo e le motivazioni dei due provvedimenti si integrano a formare un corpo unico, con il conseguente obbligo per il ricorrente di confrontarsi in maniera puntuale con i contenuti delle due sentenze, circostanza, nel caso di specie, non sussistente (v. Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, COGNOME, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, COGNOME, Rv. 209145).
Si osserva, inoltre, che le Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01; conformi, ex multis, Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811 – 01; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, COGNOME, Rv. 275841 – 01) hanno precisato che i motivi di impugnazione (sia in appello che in cassazione) sono affetti da genericità «estrinseca» quando difettino
della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato), posto che l’atto di impugnazione «non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato» (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425), e da genericità «intrinseca» quando risultano intrinsecamente indeterminati, risolvendosi sostanzialmente in formule di stile, come nel caso di appelli fondati su considerazioni generiche o astratte, o comunque non pertinenti al caso concreto (ex multis, Sez. 6, n. 3721 del 2016 e Sez. 1, n. 12066 del 05/10/1992, Makram), ovvero su generiche doglianze concernenti l’entità della pena a fronte di sanzioni sostanzialmente coincidenti con il minimo edittale (ex multis, Sez. 6, n. 18746 del 21/01/2014, COGNOME, Rv. 261094).
3. Sempre in via preliminare osserva il Collegio che non è consentito il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limi all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027).
Difatti la deduzione del vizio di violazione di legge, in relazione all’asseri malgoverno delle regole di valutazione della prova contenute nell’art. 192 c.p.p. ovvero della regola di giudizio di cui all’art. 533 dello stesso codice, non è permessa non essendo l’inosservanza delle suddette disposizioni prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come richiesto dall’art. 60 lett. c) c.p.p. ai fini della deducibilità della violazione di legge processuale (ex multis Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567; Sez. 3, n. 24574 del 12/03/2015, COGNOME e altri, Rv. 264174; Sez. 1, n. 42207/17 del 20 ottobre 2016, COGNOME e altro, Rv. 271294; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027).
Né vale in senso contrario la qualificazione del vizio dedotto operata dal ricorrente come error in iudicando in iure ai sensi della lett. b) dell’art. 606 c.p.p., posto che tale disposizione, per consolidato insegnamento di questa Corte, riguarda solo l’errata applicazione della legge sostanziale, pena, altrimenti, l’aggiramento del limite (posto dalla citata lett. c) dello stesso articolo) della denunciabilità de violazione di norme processuali solo nel caso in cui ciò determini una invalidità (ex
muitis
Sez. 3, n. 8962 del 3 luglio 1997, COGNOME Rv. 208446; Sez. 5, n. 47575
del 07/10/2016, P.M. in proc. COGNOME e altri, Rv. 268404).
4. Ciò premesso, nel caso di specie il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale non presenta contraddizioni manifeste; al contrario, l’affermazione di
responsabilità è sorretta, per ciascuno degli imputati, con argomentazioni in fatto coerenti e prive di vizi logico-giuridici.
I ricorrenti -i ricorsi possono essere trattati congiuntamente in quanto le doglianze rappresentate coi motivi primo, secondo e terzo di entrambi i ricorsi sono
sovrapponibili- non confrontandosi criticamente con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata in ordine ai motivi di appello -sostanzialmente replicati quali
motivi di ricorso per cassazione (e perciò già candidandosi alla inammissibilità per genericità estrinseca, cfr.Sez.6, n.20377 del 11/03/2009, Rv.243838; Sez.6,
n.22445 del 08/05/2009, Rv.244181) -si dilungano in considerazioni in fatto, dirette a sollecitare un inammissibile riesame delle risultanze istruttorie.
I motivi, poi, come evidente dalla semplice esplicitazione contenuta nel “Ritenuto in fatto”, sono privi di specificità in tutte le loro articolazioni, meramen contestativi e del tutto assertivi, sicché risultano inammissibili anche per genericità intrinseca.
Considerazioni analoghe devono essere svolte anche con riferimento al quarto motivo del ricorso nell’interesse di Grottaroli, per il medesimo suo caratterizzarsi in termini di genericità.
Ne consegue la inammissibilità dei ricorsi con onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma , 8 aprile 2025
La Consigliqra est.