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Ricorso inammissibile: genericità e custodia cautelare

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile contro un’ordinanza di custodia cautelare per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Il ricorso è stato giudicato generico perché non ha contestato specificamente le prove a carico, come le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e le intercettazioni, né la valutazione sul pericolo di reiterazione del reato.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile: la Cassazione conferma la custodia cautelare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29936/2025, ha affrontato un caso emblematico in materia di misure cautelari e requisiti di ammissibilità dei ricorsi. La pronuncia chiarisce che un’impugnazione, per essere valida, non può limitarsi a contestazioni generiche, ma deve confrontarsi in modo specifico con le argomentazioni del provvedimento impugnato. La decisione ha portato a dichiarare il ricorso inammissibile, confermando la custodia cautelare in carcere per un soggetto accusato di far parte di un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.

I fatti del caso

Il Tribunale del riesame di Napoli aveva confermato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.i.p. nei confronti di un individuo. Le accuse erano gravissime: partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, con l’aggravante del metodo mafioso. Secondo l’accusa, l’indagato gestiva un’importante piazza di spaccio per conto di un clan egemone sul territorio, che aveva soppiantato un’organizzazione criminale rivale.

I motivi del ricorso

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando due principali vizi:

1. Violazione di legge e vizio di motivazione riguardo alla partecipazione all’associazione criminale.
2. Carenza di motivazione in relazione alle esigenze cautelari che giustificavano la detenzione in carcere.

Secondo il ricorrente, le prove della sua partecipazione al clan non erano sufficienti e la necessità della misura cautelare non era stata adeguatamente dimostrata.

La decisione della Cassazione e la valutazione del ricorso inammissibile

La Suprema Corte ha respinto integralmente il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno sottolineato come l’impugnazione non possa risolversi in una critica generica e astratta, ma debba necessariamente misurarsi con le specifiche argomentazioni contenute nel provvedimento che si contesta. Un ricorso inammissibile è, infatti, quello che non riesce a superare questa soglia di specificità, risultando inefficace.

Le motivazioni

Nel dettaglio, la Corte ha spiegato le ragioni della sua decisione punto per punto.

Per quanto riguarda il primo motivo, relativo alla partecipazione all’associazione, i giudici hanno evidenziato che il ricorrente si era limitato a una contestazione generica, senza confutare l’articolata motivazione dell’ordinanza impugnata. Quest’ultima si basava su prove solide, tra cui:

* Le dichiarazioni convergenti di numerosi collaboratori di giustizia.
* Gli esiti di numerose intercettazioni a suo carico.
* La ricostruzione del suo ruolo di ‘storico spacciatore’ della zona, prima alle dipendenze del clan precedente e poi transitato nella nuova organizzazione egemone.

Il ricorrente non ha preso posizione su nessuno di questi elementi specifici, rendendo la sua doglianza vaga e, quindi, inammissibile.

Sul secondo motivo, relativo alle esigenze cautelari, la Corte ha rilevato un analogo difetto. La difesa aveva introdotto argomenti irrilevanti e non pertinenti al procedimento in corso. Al contrario, l’ordinanza del Tribunale del riesame aveva motivato in modo puntuale il pericolo di reiterazione del reato, sottolineando il ‘notevole calibro criminale’ dell’indagato, il quale aveva continuato a spacciare anche mentre si trovava agli arresti domiciliari per un altro procedimento.

Le conclusioni

La sentenza offre un’importante lezione pratica: un ricorso, specialmente in Cassazione, deve essere un atto di critica puntuale e specifica. Non è sufficiente enunciare un principio di diritto o lamentare un vizio in astratto. È indispensabile che la difesa ‘smonti’ pezzo per pezzo la motivazione del giudice precedente, evidenziandone le specifiche contraddizioni o le errate applicazioni della legge. In assenza di questo confronto serrato, il ricorso rischia di essere dichiarato inammissibile, con la conseguenza non solo della conferma del provvedimento impugnato, ma anche della condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende.

Quando un ricorso in Cassazione viene considerato generico e quindi inammissibile?
Un ricorso è considerato generico quando si limita a contestare la decisione in modo astratto, senza confrontarsi specificamente con le argomentazioni e le prove dettagliate nel provvedimento impugnato. Come nel caso di specie, non basta negare la partecipazione a un’associazione se non si confutano le dichiarazioni dei collaboratori o gli esiti delle intercettazioni citate dal giudice.

Quali elementi ha considerato la Corte per confermare le esigenze cautelari?
La Corte ha confermato la sussistenza delle esigenze cautelari basandosi sulla motivazione del Tribunale del riesame, che evidenziava il ‘notevole calibro criminale’ dell’indagato e il fatto che egli avesse continuato a delinquere (spacciare) nonostante fosse già sottoposto a una misura restrittiva come gli arresti domiciliari per un’altra causa. Questo dimostra un’elevata propensione a delinquere e un concreto pericolo di reiterazione del reato.

Cosa succede quando un ricorso viene dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile e si ritiene che sia stato presentato ‘versando in colpa’ (cioè senza una seria probabilità di accoglimento), il ricorrente, oltre alla condanna al pagamento delle spese processuali, è tenuto a versare una somma di denaro alla Cassa delle Ammende. In questo caso, la somma è stata determinata in via equitativa in 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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