Ricorso inammissibile: la Cassazione conferma la custodia cautelare
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29936/2025, ha affrontato un caso emblematico in materia di misure cautelari e requisiti di ammissibilità dei ricorsi. La pronuncia chiarisce che un’impugnazione, per essere valida, non può limitarsi a contestazioni generiche, ma deve confrontarsi in modo specifico con le argomentazioni del provvedimento impugnato. La decisione ha portato a dichiarare il ricorso inammissibile, confermando la custodia cautelare in carcere per un soggetto accusato di far parte di un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.
I fatti del caso
Il Tribunale del riesame di Napoli aveva confermato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.i.p. nei confronti di un individuo. Le accuse erano gravissime: partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, con l’aggravante del metodo mafioso. Secondo l’accusa, l’indagato gestiva un’importante piazza di spaccio per conto di un clan egemone sul territorio, che aveva soppiantato un’organizzazione criminale rivale.
I motivi del ricorso
La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando due principali vizi:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione riguardo alla partecipazione all’associazione criminale.
2. Carenza di motivazione in relazione alle esigenze cautelari che giustificavano la detenzione in carcere.
Secondo il ricorrente, le prove della sua partecipazione al clan non erano sufficienti e la necessità della misura cautelare non era stata adeguatamente dimostrata.
La decisione della Cassazione e la valutazione del ricorso inammissibile
La Suprema Corte ha respinto integralmente il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno sottolineato come l’impugnazione non possa risolversi in una critica generica e astratta, ma debba necessariamente misurarsi con le specifiche argomentazioni contenute nel provvedimento che si contesta. Un ricorso inammissibile è, infatti, quello che non riesce a superare questa soglia di specificità, risultando inefficace.
Le motivazioni
Nel dettaglio, la Corte ha spiegato le ragioni della sua decisione punto per punto.
Per quanto riguarda il primo motivo, relativo alla partecipazione all’associazione, i giudici hanno evidenziato che il ricorrente si era limitato a una contestazione generica, senza confutare l’articolata motivazione dell’ordinanza impugnata. Quest’ultima si basava su prove solide, tra cui:
* Le dichiarazioni convergenti di numerosi collaboratori di giustizia.
* Gli esiti di numerose intercettazioni a suo carico.
* La ricostruzione del suo ruolo di ‘storico spacciatore’ della zona, prima alle dipendenze del clan precedente e poi transitato nella nuova organizzazione egemone.
Il ricorrente non ha preso posizione su nessuno di questi elementi specifici, rendendo la sua doglianza vaga e, quindi, inammissibile.
Sul secondo motivo, relativo alle esigenze cautelari, la Corte ha rilevato un analogo difetto. La difesa aveva introdotto argomenti irrilevanti e non pertinenti al procedimento in corso. Al contrario, l’ordinanza del Tribunale del riesame aveva motivato in modo puntuale il pericolo di reiterazione del reato, sottolineando il ‘notevole calibro criminale’ dell’indagato, il quale aveva continuato a spacciare anche mentre si trovava agli arresti domiciliari per un altro procedimento.
Le conclusioni
La sentenza offre un’importante lezione pratica: un ricorso, specialmente in Cassazione, deve essere un atto di critica puntuale e specifica. Non è sufficiente enunciare un principio di diritto o lamentare un vizio in astratto. È indispensabile che la difesa ‘smonti’ pezzo per pezzo la motivazione del giudice precedente, evidenziandone le specifiche contraddizioni o le errate applicazioni della legge. In assenza di questo confronto serrato, il ricorso rischia di essere dichiarato inammissibile, con la conseguenza non solo della conferma del provvedimento impugnato, ma anche della condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende.
Quando un ricorso in Cassazione viene considerato generico e quindi inammissibile?
Un ricorso è considerato generico quando si limita a contestare la decisione in modo astratto, senza confrontarsi specificamente con le argomentazioni e le prove dettagliate nel provvedimento impugnato. Come nel caso di specie, non basta negare la partecipazione a un’associazione se non si confutano le dichiarazioni dei collaboratori o gli esiti delle intercettazioni citate dal giudice.
Quali elementi ha considerato la Corte per confermare le esigenze cautelari?
La Corte ha confermato la sussistenza delle esigenze cautelari basandosi sulla motivazione del Tribunale del riesame, che evidenziava il ‘notevole calibro criminale’ dell’indagato e il fatto che egli avesse continuato a delinquere (spacciare) nonostante fosse già sottoposto a una misura restrittiva come gli arresti domiciliari per un’altra causa. Questo dimostra un’elevata propensione a delinquere e un concreto pericolo di reiterazione del reato.
Cosa succede quando un ricorso viene dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile e si ritiene che sia stato presentato ‘versando in colpa’ (cioè senza una seria probabilità di accoglimento), il ricorrente, oltre alla condanna al pagamento delle spese processuali, è tenuto a versare una somma di denaro alla Cassa delle Ammende. In questo caso, la somma è stata determinata in via equitativa in 3.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29936 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29936 Anno 2025
Presidente: COGNOME Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
In nome del Popolo Italiano
TERZA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 196
CC – 31/01/2025
R.G.N. 38227/2024
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOMECOGNOME nato a Caserta il 12/11/1986, avverso l’ordinanza in data 17/10/2024 del Tribunale di Napoli, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
letta per l’indagato la memoria dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 17 ottobre 2024 il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza in data 12 settembre 2024 del G.i.p. del Tribunale di Napoli che aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati degli art. 74 e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 con l’aggravante dell’art. 416bis .1 cod. pen., per la gestione della piazza di spaccio in Caivano al Parco Verde e in comuni limitrofi per conto del clan COGNOMECOGNOME.
Il ricorrente lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla partecipazione all’associazione (primo motivo) e in relazione alle esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł manifestamente infondato.
Con riferimento al primo motivo si evidenzia che il ricorrente ha contestato solo genericamente la motivazione sulla partecipazione all’associazione senza confrontarsi con l’articolata ordinanza impugnata in cui si dà conto del suo ruolo di partecipe del clan COGNOME–
NOME dal quale acquistava in modo continuativo cospicui quantitativi di stupefacente. Non ha confutato, poi, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME nØ ha preso posizione rispetto alle numerose intercettazioni a suo carico. L’ordinanza impugnata, dopo la ricostruzione nelle prime pagine del quadro d’insieme relativo all’egemonia in Caivano del clan COGNOME–COGNOME, che aveva soppiantato il clan COGNOME, Ł passata a esaminare la posizione specifica di NOME COGNOME detto COGNOME, storico spacciatore di Caivano, già alle dipendenze del clan COGNOME e comunque aduso a versare la quota al clan (pag. 8-10).
Con riferimento al secondo motivo si evidenzia che il ricorrente, al di là dell’erroneo riferimento a tale NOME NOME e a un comodato gratuito non oggetto del presente procedimento, ha del pari evitato il confronto con la motivazione puntuale di pag. 12 ove si Ł dato conto del suo notevole calibro criminale, siccome aveva continuato a spacciare nonostante gli arresti domiciliari per altro procedimento.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi Ł ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Così deciso, il 31 gennaio 2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME