Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4723 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4723 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il 07/05/1965
avverso la sentenza del 23/01/2024 della CORTE D’APPELLO DI CATANIA
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Catania che ha confermato la pronunzia di primo grado, con la quale il ricorrente era stato ritenuto responsabile del delitto di furto aggravato;
Considerato che il primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente denunzia l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione in ordine al travisamento del materiale probatorio, con particolare riferimento al valore attribuito alla fuga dell’imputato, oltre a non essere consentito dalla legge in sede di legittimità perché costituito da mere doglianze in punto di fatto, è altresì non deducibile, perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710-01): la Corte di appello ha chiarito che – a
. COGNOME differenza di quanto sostiene il ricorrente con il presente motivo – esisteva la recinzione e l’imputato alla vista dei Carabinieri, dopo il furto, si dava alla fug , svoltando in altra area privata, a riprova della consapevolezza della illiceità cosicchè l’argomento difensivo si basa su un presupposto di fatto non accertato, né tantomeno ‘attaccato’ con corretta deduzione, non essendo indicato quale sia l’altro «atto del processo», che va specificamente indicato ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen., che è stato oggetto di travisamento;
Considerato che il secondo motivo di ricorso, con cui si censura il vizio motivazionale in ordine alla mancata esclusione della punibilità ex art. 47 cod. pen., oltre a riprodurre i medesimi profili di inammissibilità della prima doglianza, è altresì generico per indeterminatezza perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato;
Considerato che il terzo motivo è manifestamente infondato, in quanto non emerge dalla sentenza impugnata – ma solo dalla ricostruzione alternativa versata in fatto e non consentita del ricorrente – che la persona offesa abbia vigilato durante il furto e che abbia richiesto l’intervento dei Carabinieri, cosicchè la Corte di appello ha ritenuto sussistente, correttamente, il delitto consumato, in linea con il consolidato orientamento per il quale il reato di furto si consuma quando il bene trafugato passa, anche se per breve tempo, sotto il dominio esclusivo dell’agente: in caso del tutto analogo a quello in esame, relativo ad un furto in appartamento, è stato in modo condivisibile osservato che risponde del delitto di furto in abitazione consumato, e non tentato, colui che abbia conseguito l’autonoma disponibilità dei beni sottratti, uscendo dall’abitazione, sebbene sia stato poi fermato dalle forze dell’ordine prima di uscire dall’area condominiale (Sez. 4, n. 11683 del 27/11/2018, dep. 2019, Arena, Rv. 275278 – 01; vedi anche Sez. 5, n. 36022 del 14/07/2022, Borisov, Rv. 283649 – 01, per cui il delitto di furto di beni esposti alla pubblica fede si perfeziona n momento in cui la refurtiva passa sotto il dominio esclusivo dell’agente, essendo irrilevanti la durata del possesso e la circostanza che la condotta di appropriazione sia scoperta e frustrata nello stesso luogo di commissione del reato);
Rilevato che il quarto motivo di ricorso, con cui si censura il vizio motivazionale in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e all’omessa esclusione della recidiva, è generico e manifestamente infondato: è aspecifico in quanto per un verso il ricorso non si confronta con le ragioni di esclusione delle circostanze attenuanti generiche, difettando elementi positivi, né indica quali siano tali elementi se non facendo generico riferimento alla benevola personalità collaborativa dell’imputato; quanto alla recidiva il ricorrente non si confronta con i riferimenti alla intensità de dolo, la precoce propensione a delinquere, la sussistenza di precedenti, la natura non occasionale della condotta di reato, la modalità professionale con la quale è stata svolta, dal che la Corte di merito trae un giudizio di maggiore pericolosità attuale dell’imputato; d’altro canto, il motivo è manifestamente infondato in quanto la Corte di merito ha escluso le circostanze attenuanti generiche con motivazione in linea con il principio per cui la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cu esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo, anche quindi limitandosi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio (Sez. 6 n. 41365 del 28 ottobre 2010, Straface, rv 248737; Sez. 2, n. 3609 del 18 gennaio 2011, COGNOME e altri, Rv. 249163); quanto alla recidiva, risulta la motivazione impugnata in piena sintonia con quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Rv. 251690, COGNOME‘), per le quali «sul giudice del merito incombe uno specifico dovere di motivazione sia quando ritiene sia quando esclude la rilevanza della recidiva, scaturendo ciò dai condivisibili principi affermati nelle appena ricordate sentenze della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite. Infatti, esclusi i casi di recidiva c.d obbligatoria, di cui al comma quinto dell’art. 99 cod. pen., il giudice può attribuire effetti alla recidiva unicamente quando la ritenga effettivamente idonea ad influire, di per sé, sul trattamento sanzionatorio del fatto per cui si procede». Egli è, pertanto, tenuto a verificare se il nuovo episodio criminoso sia «concretamente significativo in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti ed avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133 cod. pen. – sotto il profilo della più accentuat colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo» (Corte cost., sent. n. 192 del 2007). In altri termini, costituisce «precipuo compito del giudice del merito verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità, tenendo conto della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell’eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali» (Sez. U, sentenza n. 35738 del 27/05/2010, Rv. 247838, COGNOME‘); rilevato che quindi la motivazione della sentenza impugnata (cfr. pag. 4) non presenta alcun vizio riconducibile alla Corte di Cassazione – copia non ufficiale
nozione delineata nell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. né al vizio di violazione di legge;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e mengdella somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18 dicembre 2024.