Ricorso Inammissibile per Furto Aggravato: La Cassazione e i Limiti del Giudizio
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio dei limiti del giudizio di legittimità, ribadendo la distinzione fondamentale tra questioni di diritto e questioni di fatto. Il caso riguarda un ricorso inammissibile furto presentato da un imputato condannato per furto aggravato, le cui censure sono state respinte perché non rientranti nelle competenze della Suprema Corte. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione e le sue implicazioni pratiche.
I Fatti del Processo
Il percorso giudiziario ha inizio con una sentenza di condanna per il reato di furto aggravato, emessa dal Tribunale di Asti a seguito di un giudizio abbreviato. L’imputato, ritenuto penalmente responsabile, ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte di Appello di Torino, la quale ha però confermato integralmente la sentenza di primo grado.
Non arrendendosi, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, affidandolo a due principali motivi di doglianza, sperando di ottenere un annullamento della condanna.
I Motivi del Ricorso e il Ricorso Inammissibile Furto
L’imputato ha basato la sua difesa in Cassazione su due argomentazioni principali:
1. Erronea applicazione della legge e vizio di motivazione: Il primo motivo contestava l’affermazione della sua responsabilità penale, sostenendo che i giudici di merito avessero errato nella valutazione delle prove e nell’applicazione delle norme.
2. Vizi su aggravanti e trattamento sanzionatorio: Il secondo motivo criticava diversi aspetti della decisione della Corte d’Appello, tra cui la sussistenza della circostanza aggravante del furto commesso da cinque persone (art. 625, n. 5 c.p.), la mancata concessione delle attenuanti generiche e la quantificazione della pena, ritenuta eccessiva.
Entrambi i motivi sono stati considerati dalla Suprema Corte come ragioni che hanno reso il ricorso inammissibile furto.
La Decisione della Corte di Cassazione
Con l’ordinanza n. 1004 del 2024, la settima sezione penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Di conseguenza, la condanna dell’imputato è diventata definitiva. Oltre a ciò, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale in caso di inammissibilità del ricorso.
Le Motivazioni
La Corte ha fornito una motivazione chiara e lineare per la sua decisione, analizzando separatamente i due motivi di ricorso.
Relativamente al primo motivo, i giudici hanno sottolineato che le critiche mosse dall’imputato costituivano mere doglianze in punto di fatto. In altre parole, il ricorrente non contestava una scorretta interpretazione della legge, ma tentava di ottenere una nuova valutazione delle prove e dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio di merito, ma ha il solo compito di verificare la corretta applicazione del diritto e la logicità della motivazione.
Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha osservato che le censure erano riproduttive di argomenti già esaminati e correttamente respinti dai giudici di merito. In particolare:
– La Corte d’Appello aveva espressamente e logicamente motivato la sussistenza dell’aggravante del furto commesso da cinque persone.
– La mancata concessione delle attenuanti generiche era stata giustificata dall’assenza di elementi positivamente valutabili a favore dell’imputato.
– La decisione di non sostituire la pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità era fondata su una prognosi sfavorevole circa il rispetto delle prescrizioni da parte del condannato.
La Cassazione ha concluso che la motivazione della Corte territoriale era adeguata, non illogica e giuridicamente corretta, rendendo quindi inammissibile ogni ulteriore contestazione sul punto.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio cardine del nostro sistema processuale penale: il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di fatto. Le parti non possono utilizzare il ricorso alla Suprema Corte per tentare di ottenere una riconsiderazione del merito della vicenda. Le valutazioni su prove, attendibilità dei testimoni e ricostruzione storica dei fatti sono di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado. Il controllo della Cassazione si limita a verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza impugnata sia esente da vizi logici o contraddizioni manifeste. Pertanto, un ricorso basato su censure fattuali o che ripropone questioni già adeguatamente risolte è destinato ad essere dichiarato inammissibile.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi presentati dall’imputato erano costituiti da ‘mere doglianze in punto di fatto’, ossia tentativi di ridiscutere la valutazione delle prove, e riproponevano censure già correttamente esaminate e respinte dai giudici di merito con motivazione adeguata e non illogica.
Cosa significa che un motivo di ricorso è una ‘mera doglianza in punto di fatto’?
Significa che la critica non riguarda un errore nell’applicazione o interpretazione di una norma giuridica, ma contesta la ricostruzione dei fatti così come accertata dai giudici di primo e secondo grado. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.
In base a questa ordinanza, quando può essere contestata in Cassazione la mancata concessione delle attenuanti generiche?
La mancata concessione delle attenuanti generiche può essere contestata in Cassazione solo se la decisione del giudice di merito è basata su una motivazione manifestamente illogica, contraddittoria o basata su un’errata applicazione della legge. Non è sufficiente semplicemente non essere d’accordo con la valutazione del giudice.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1004 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1004 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ASTI il 20/11/1972
avverso la sentenza del 28/06/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Asti del 8 febbraio 2021 che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di furto aggravato e l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia;
che il primo motivo di ricorso dell’imputato, che denunzia l’erronea applicazione della legge e il vizio di motivazione in relazione all’affermazione della propria responsabilità penale, non è consentito dalla legge in sede di legittimità in quanto costituito da mere doglianze in punto di fatto;
che il secondo motivo del ricorso, con cui il ricorrente si duole dell’erronea applicazione della legge e del vizio di motivazione in merito alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n. 5 cod. pen., alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla quantificazione e sostituzione della pena, è inammissibile in quanto, oltre ad essere riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati dai giudici di merito e disattesi con corretti argomenti giuridici, inerisce anche al trattamento punitivo benché sorretto da adeguata e non illogica motivazione, atteso che la Corte territoriale ha espressamente affermato che la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n. 5, cod. pen. è sicuramente sussistente posto che il furto è stato commesso da cinque persone, che non si ravvisa alcuna ragione per riconoscere le circostanze attenuanti generiche in assenza di qualsiasi elemento positivamente valutabile così come non risulta possibile formulare una prognosi favorevole circa l’adempimento delle prescrizioni di cui all’art. 59 L. 689/1981 per disporre la sostituzione della reclusione con una delle pene di cui all’art. 20 -bis cod. pen. ed in particolare con il lavoro di pubblica utilità (si vedano pagg. 5 e 6 del provvedimento impugnato);
che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 13/12/2023.