Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10017 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10017 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nata il 30/11/1993
avverso la sentenza del 10/11/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso affinché il ricorso sia dichiarato inammissibile;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10 novembre 2023 la Corte di appello di Bologna, ritenuto il difetto di querela quanto ai reati di cui al capo G, ha confermato nel resto la sentenza emessa in data 15 aprile 2021 dal Tribunale di Ravenna, in composizione GLYPH monocratica, GLYPH nei GLYPH confronti GLYPH di GLYPH NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME rideterminando la pena in anni 4, mesi 6 di reclusione ed euro 1.900 di multa.
Più in particolare, l’imputata è stata riconosciuta responsabile di una serie di furti in abitazione, ora introducendosi in abitazioni adiacenti a delle chiese (capi A, B, C), ora introducendosi all’interno di alcuni conventi (capi D, E, F), e così impossessandosi dei beni descritti nella imputazione
È stata inoltre riconosciuta responsabile dei reati di ricettazione contestati ai capi H ed I.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con il primo motivo deduce vizio della motivazione (poiché mancante, contraddittoria, o manifestamente illogica) e violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in relazione ai reati di cui ai capi A, C, D, E ed F: le persone offese non hanno riconosciuto in modo certo la ricorrente, la cui responsabilità e stata perciò desunta soltanto dalle identiche modalità con cui sono stati consumati i vari furti.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta vizio della motivazione (poiché contraddittoria o manifestamente illogica), in relazione al reato di cui al capo H.
Secondo la ricorrente, dalla stretta connessione con le condotte di cui al capo G (per cui vi è stata assoluzione) la Corte territoriale avrebbe dovuto desumere la mancata prova della spendita dei titoli di credito e, quindi, del loro possesso.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta vizio della motivazione (poiché contraddittoria o manifestamente illogica), in relazione al reato di cui al capo I.
Deduce la ricorrente di aver giustificato la provenienza dei beni in ipotesi ricettati (monili d’oro), avendo affermato di esserne proprietaria.
Del resto, nessun ulteriore elemento di prova avrebbe potuto offrire, trattandosi di beni che per loro natura sono privi di elementi identificativi.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione della legge penale sostanziale, in relazione alla aggravante di cui all’ad 61, n. 10, cod. pen., non
essendovi alcun collegamento tra la condotta penalmente rilevante e la funzione religiosa svolta dalle persone offese.
2.5. Con il quinto motivo si lamenta violazione della legge penale sostanziale, non avendo la Corte territoriale rilevato l’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo H, maturata ancor prima della sentenza pronunciata dalla Corte di appello.
2.6. Con il sesto ed ultimo motivo la ricorrente si duole del carattere contraddittorio della motivazione con cui la Corte d’appello ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, senza considerare il comportamento tenuto nel corso del processo, rappresentato dal ripetuto assenso all’acquisizione di atti di indagine.
Richiesta e disposta la trattazione orale, all’odierna udienza le parti hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
E’ pervenuta memoria del ricorrente con cui si è chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è in parte aspecifico ed in parte non consentito.
Osserva il Collegio che il motivo è inammissibile nella parte in cui lamenta violazione della legge processuale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. (p. 1 ricorso).
Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, cui il Collegio aderisce, la mancata osservanza di una norma processuale intanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall’art. 606, co. 1, lett. c), cod. proc. pen.; pertanto, non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata (così Sez. 6, n. 4119 del 30/05/2019, dep. 2020, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 278196; Sez. 4, n. 51525 del 4/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, COGNOME e altro, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 del 8/1/2004, Meta ed altro).
Il motivo è inoltre aspecifico, nella parte in cui, sottolineando il mancato “riconoscimento fotografico” (p. 4 ricorso), non si confronta criticamente con il percorso argomentativo svolto dai giudici di merito, finendo per sollecitare una diversa valutazione delle prove acquisite.
Contrariamente a quanto affermato in ricorso, la Corte territoriale ha valorizzato non solo l’avvenuta consumazione delle condotte predatorie replicando lo stesso modus operandi (del tutto peculiare), ma anche il ritrovamento presso l’abitazione della ricorrente, nel corso della perquisizione, di parte della refurtiva di cui ai capi C), D) ed F).
Ancora, in occasione del furto contestato al capo A) la ricorrente si presentò dicendo di chiamarsi proprio “NOME NOME“; fu inoltre riconosciuta da tre diverse persone offese, ed in due occasioni tentò di utilizzare gli assegni provento dei furti (pp. 5 e 6 sentenza ricorsa).
Correttamente, quindi, i giudici di merito, dopo aver valutato ciascun elemento nella sua rilevanza indiziaria, hanno proceduto all’analisi congiunta delle evidenze disponibili, traendone decisive indicazioni circa il diretto coinvolgimento della COGNOME nelle condotte di cui ai capi A), C), D), E) ed F).
D’altra parte, secondo il consolidato insegnamento di legittimità, il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di cassazione.
1.2. Il secondo motivo è in parte aspecifico ed in parte manifestamente infondato.
La ricorrente sostiene che dalla mancata prova della spendita degli assegni di cui al capo G) la Corte avrebbe dovuto trarre l’ulteriore conseguenza della mancata prova del possesso dei titoli, e quindi emettere sentenza di proscioglimento anche per il delitto di ricettazione contestato ai capo H).
Il motivo è aspecifico nella parte in cui non si confronta con l’effettivo tenore della decisione: la Corte territoriale, infatti, ha dichiarato non doversi procedere, in ordine al reato di cui al capo G), per difetto di querela (p. 8 sentenza ricorsa), e non per difetto della prova della spendita degli assegni.
Il motivo, inoltre, è manifestamente infondato (oltre che reiterativo di analoga censura già motivatamente disattesa) nella parte in cui confonde la spendita con il possesso dei titoli di credito.
Quanto, infine, al dedotto travisamento della prova (p. 7 ricorso), può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per i – spondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il
riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti» (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, COGNOME, Rv. 280155; Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018; Sez. 4, n. 44765 dei 22/10/2013, COGNOME, Rv. 256837).
Il Collegio intende qui ribadire gli oneri gravanti sul ricorrente (nella specie inevasi), ovvero: a) identificare l’atto processuale omesso o travisato; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 01; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274816 – 07; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, COGNOME, Rv. 249035).
Spetta poi al deducente il travisamento non limitarsi a evidenziare la difformità, dovendo invece, in relazione ai contenuti diversi da quelli emergenti dalle sentenze di merito, procedere alla loro allegazione.
Quanto ai modi in cui la specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta, è sufficiente l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, o l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito, purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma 1, lett. d), e 591 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 3937 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280384 – 01; conf., per la sanzione della inammissibilità del motivo proposto, Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071 – 01; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265053 – 01; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, COGNOME, Rv. 260994 – 01; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale, Rv. 256723 – 01).
Ciò posto, manca nella specie sia la specifica deduzione di aver denunciato il travisamento dinanzi alla Corte territoriale, sia la specifica indicazione degli “altri atti del processo” (nel senso indicato poc’anzi), sia ogni deduzione in ordine alla decisività della prova che si ritiene essere stata travisata.
2.3. Il terzo motivo è aspecifico.
Lamenta la ricorrente il vizio della motivazione con cui i giudici di merito hanno ritenuto non giustificato il rinvenimento dei monili presso la sua abitazione.
A fronte dell’affermazione dell’imputata di essere proprietaria di quanto rinvenuto, i giudici di merito, con conforme valutazione (p. 9 sentenza ricorsa; p. 15 sentenza del Tribunale) hanno tratto il loro convincimento dalle caratteristiche dei beni (per lo più destinati a soggetti di sesso maschile), dal loro rinvenimento insieme a beni di sicura provenienza illecita (poiché provento dei furti per cui è processo), nonché dall’inverosimiglianza della giustificazione offerta, trattandosi di persona disoccupata e nullatenente.
Né questa motivazione contrasta, sul piano logico, con il rinvenimento di un tablet che la ricorrente aveva dimostrato essere (non suo ma) del compagno.
Le conformi decisioni di merito, quindi, hanno motivatamente disatteso l’argomento difensivo sulla scorta della valutazione di una serie di circostanze concrete con cui la ricorrente non si confronta in alcun modo.
2.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
2.4.1. Quanto all’aggravante di cui all’art. 61, n. 10, cod. pen. (correttamente contestata mediante il richiamo alla disposizione ed al suo contenuto), ai fini della sua configurabilità è necessario che il fatto sia commesso con l’intenzione di vulnerare il fisico o l’integrità morale della persona che riveste la qualità di pubblico ufficiale, di incaricato di pubblico servizio o di ministro di culto, in ragione della funzione o missione espletata, della istituzione sovrana o religiosa e dei valori che la stessa rappresenta, che costituisce elemento causativo del reato (Sez. 5, n. 1178 del 20/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280490 – 01).
In tale ultima decisione si è precisato, in motivazione, che il maggior disvalore in ragione del quale è stata prevista l’aggravante, non deriva unicamente da una maggior tutela della qualifica soggettiva; qualifica che, per essere rilevante, deve invece aver determinato o concorso a determinare l’azione del soggetto attivo.
In altre parole, l’aggravante ricorre non solo quando il reato sia commesso nella sfera tipica e ristretta delle funzioni e dei servizi propri del ministero di culto (come invece sembra affermarsi in ricorso: pp. 11 – 12), ma anche quando la posizione ricoperta ha facilitato il reato stesso, essendo l’incarico religioso non limitato alle funzioni strettamente connesse al culto (così, in motivazione, Sez. 2, n. 28049 del 14/04/2021, COGNOME, non mass.).
Nella specie la ()rosari si è rivolta non a caso a dei prelati, in ragione della loro funzione ed ha sfruttato la circostanza dell’essere le vittime dei ministri di
culto: fingendo infatti di essere interessata a dei sacramenti e di voler ottenere delle informazioni, ebbe accesso ai locali dai quali prelevò i beni di cui alle imputazioni.
Né assume rilievo, in ragione di quanto detto finora, il fatto che nei luoghi in cui si introdusse la ricorrente erano custoditi anche beni di proprietà di terzi soggetti, come invece si evidenzia in ricorso (p. 16).
2.4.2. Con lo stesso motivo la ricorrente, in relazione al reato di cui al capo D), lamenta la mancata motivazione in ordine all’aggravante di cui all’art. 61, n. 2, cod. pen., alla quale andrebbe in realtà rapportato il riferimento al mezzo fraudolento, consistito nel “chiedere informazioni sul battesimo”.
Osserva il Collegio che dal tenore delle imputazioni appare evidente che il riferimento deve in realtà intendersi all’art. 625, comma 1, n. 2, cod. pen., per come si evince dal richiamo all’uso del mezzo fraudolento, scrutinato in motivazione nel momento in cui si è ricostruito il modus operandi utilizzato per la consumazione delle azioni predatorie.
2.5. Con il quinto motivo la ricorrente chiede che venga rilevata la prescrizione del reato di cui al capo H, poiché maturata il 10 agosto 2022, quindi in epoca anteriore alla pronuncia della sentenza della Corte di appello, risalente al 10 novembre 2023.
Osserva il Collegio che il ricorso non solo non prende in considerazione i periodi di sospensione della prescrizione, ma neppure considera l’evidente refuso contenuto nella imputazione, quanto alla individuazione del tempus commissi delicti: già dall’esame dei capi di imputazione (in particolare, capi G ed H), oltre che del contenuto delle conformi decisioni di merito, emerge la collocazione delle condotte nel 2014, anziché nel 2012 (ad es., p. 6 sentenza ricorsa).
Conseguentemente, il termine di prescrizione, pari ad anni 10, non era ancora decorso alla data del 10 novembre 2023.
Può quindi concludersi nel senso che l’inammissibilità del ricorso per cassazione (anche in relazione al sesto motivo, di cui si dirà subito dopo) non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione (cfr. Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, COGNOME, Rv. 219531 – 01; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231164 – 01; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818 – 01).
2.6. Anche il sesto ed ultimo motivo, con cui si deduce vizio della motivazione relativamente al diniego delle attenuanti generiche, è inammissibile.
La valutazione in esame, infatti, è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità e da profili di contraddittorietà (p. 9 sentenza ricorsa), poiché fondata sulla reiterazione delle condotte secondo un collaudato modus operandi, nonché sull’assenza di ogni forma di resipiscenza e di risarcimento dei danni arrecati.
I giudici hanno inoltre ritenuto che il comportamento processuale, che la ricorrente ha prospettato a sostegno della richiesta, fosse recessivo rispetto ai predetti indicatori di gravità, utilmente valutabili ex art. 133 cod. pen..
Si tratta di una motivazione che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509 – 03; conf., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, COGNOME, Rv. 242419 01), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati utti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; conformi, Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, COGNOME, Rv. 271269 -01; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, COGNOME, Rv. 249163 – 01; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244 – 01).
La ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., che attribuisce al giudice la facoltà di cogliere, sulla base di numerosi e diversificati dati sintomatici, gli elementi che possono condurre ad attenuare la pena, non impone, infatti, al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti.
Ne consegue che anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione può legittimamente fondare il diniego.
La decisione impugnata, quindi, si rivela aderente al consolidato orientamento secondo cui la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla cliscrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 3, n. 1226 del 18/11/2024, dep. 2025, Rizzo, non mass.; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737 – 01).
Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2024