Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23141 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23141 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a PISTOIA il DATA_NASCITA NOME nato a LUCCA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/07/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
1. NOME e NOME COGNOME ricorrono, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo: NOME con un primo motivo mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto di affermazione della penale responsabilità che si fonderebbe esclusivamente, ai fini sull’individuazione dell’imputata, sul riconoscimento della stessa da parte della persone offesa nonché violazione di legge quanto alla riconosciuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen. solo in relazione all’età avanzata della vittima; NOME COGNOME anch’ella, con un primo motivo mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto di affermazione della penale responsabilità che si fonderebbe esclusivamente, ai fini sull’individuazione dell’imputata, sul riconoscimento fotografico da parte della persona offesa e della vicina di casa e con un secondo motivo violazione di legge quanto alla riconosciuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen. per il solo fatto che il consenso ad entrare nell’abitazione sarebbe stato carpito con l’inganno.
Chiedono, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
2. I proposti ricorsi sono inammissibili
2.1. Il primo motivo di ricorso proposto da entrambe le ricorrenti – con censure che possono essere affrontate congiuntamente in quanto propongono analoghe doglianze – non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché è riproduttivo di un profilo di censura già adeguatamente vagliato e disatteso con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, non è scandito da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata ed è privo della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Le ricorrenti, in concreto, non si confrontano adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità delle due donne odierne ricorrenti, ed in particolare danno atto a pag, 5 della sentenza impugnata quanto alla posizione della NOME che il riconoscimento fotografico effettuato dalla persona offesa non è stato smentito dalla sua deposizione dibattimentale, considerato che le discrepanze rilevate dalla difesa sono solo apparenti, in quanto frutto di una lettura non integrale
N. 26732/2023 GLYPH R.G.
della prova dichiarativa. E quanto alla posizione COGNOME, a pag. 7, di come, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, la persona offesa COGNOME aveva fornito la descrizione delle due sconosciute in base a cui i carabinieri hanno avuto modo di risalire alle imputate, evidentemente già note alle forze di polizia dai curricula criminali di ciascuna.
La sentenza si sofferma poi, con motivazione logica e congrua, a confrontarsi, confutandole, con le argomentazioni difensive secondo cui il riconoscimento della COGNOME, in fase di indagini, sarebbe stato condizionato dalla presenza dei carabinieri e dal fatto di essere consapevole che le foto erano di quelle di persone con precedenti penali e con la dedotta contaminazione della memoria della persona offesa.
2.2. Quanto al motivo di ricorso afferente alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’articolo 61 n. 11 cod. pen si tratta di tema inammissibile in quanto non ha costituito motivo di appello. E la giurisprudenza di questa Corte è pacifica nel ritenere che non possano essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 4, n. 27110 del 15/9/2020, COGNOME, Rv. 279958, in motivazione, pag. 12; conf. Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, COGNOME, Rv. 269632; Sez. 2, n. 13826 del 17/2/2017, COGNOME, Rv. 269745; Sez. 2, n. 29707 del 8/3/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 5, n. 48416 del 6/10/2014, Dudaev, Rv. 261029; Sez. 5, n. 25814 del 23/4/2013, COGNOME Gauthier, Rv. 255577; Sez. 2, n. 22362 del 19/4/2013, COGNOME, Rv. 255940).
Peraltro, le sentenze di merito, con motivazione logica e congrua, oltre che corretta in punto di diritto, hanno escluso la circostanza aggravante del mezzo fraudolento e ritenuto quella di cui all’art. 61 n. 5 – e non 11, come ritiene la Difesa della COGNOME – cod. pen. ovvero “l’aver profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”.
La Corte territoriale evidenzia a pagina 5 come lei due imputate fecero leva sulla età avanzata della signora e sul suo sentimento religioso per introdursi nell’abitazione e impossessarsi dei gioielli nel solco della giurisprudenza di questa Corte secondo cui integra il delitto di furto in abitazione, di cui all’art 624-bis cod. pen la condotta di chi si impossessi di beni mobili, sottraendoli al legittimo detentore, dopo essersi introdotto nella dimora di questi con il suo consenso carpito mediante inganno (Sez. 5, n. 16995 del 21/11/2019, dep. 2020, Pompei, Rv. 279110 – 01 in una fattispecie in cui l’imputato si era impossessato di somme di denaro delle persone offese dopo essere riuscito ad entrare nelle loro abitazioni presentandosi alle medesime come un dipendente dell’RAGIONE_SOCIALE).
Né può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza dei ricorsi.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, COGNOME, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 de! 8/5/2013, COGNOME, rv. 256463).
Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 de! 13.6.2000), alla condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuna in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 29/05/2024