Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32753 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32753 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/01/2025 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il ricorso proposto a mezzo del difensore da COGNOME NOME, ritenuto responsabile nelle conformi sentenze di merito del reato di furto aggravato.
Rilevato che la difesa lamenta: 1. Annullamento della sentenza impugnata per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata assoluzione di COGNOME dal reato a lui ascritto nell’unico capo di imputazione 2. Annullamento della sentenza impugnata per carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.; 3. Annullamento della sentenza impugnata per carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto contestato come furto tentato 4. Annullamento della sentenza impugnata in relazione agli artt. 62 bis e 62 n. 4 cod. pen.; carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. sulle contestate aggravanti e sulla recidiva, nonché in merito alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Ritenuto che, in caso di c.d. “doppia conforme” affermazione di responsabilità, in base a giurisprudenza pacifica di questa Suprema Corte, la sentenza di primo grado e quella di appello formano un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrandosi vicendevolmente (Sez. 1, 22/11/1993, dep. 4/2/1994, n. 1309, COGNOME, Riv. 197250; Sez. 3, 14/2/1994, n. 4700, COGNOME, Riv. 197497; Sez. 2, 2/3/1994, n. 5112, Palazzotto, Riv. 198487; Sez. 2 del 13/11/1997, n. 11220, Ambrosino, Riv. 209145; Sez. 6, 20/11/2003, n. 224079).
Considerato che le sentenze di merito sono assistite da conferente apparato argomentativo a sostegno dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, profilo contestato dalla difesa nel ricorso.
Considerato che le deduzioni sviluppate nel primo motivo di doglianza, dietro l’apparente prospettazione del vizio di legittimità, concernendo in realtà la ricostruzione e la valutazione del fatto, nonché l’apprezzamento del materiale probatorio, investono profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza della Corte di appello, che ha fornito, unitamente al primo giudice, una congrua e adeguata motivazione, esente da vizi logici, perché basata su corretti criteri di inferenza, espressi in un ragionamento fondato su condivisibili massime di esperienza e convergente con quello del Tribunale. In particolare, quanto alla prospettata possibilità di configurare nel comportamento serbato dal ricorrente l’ipotesi della connivenza non punibile, la Corte d’appello, facendo buon governo dei principi stabiliti in questa sede, ha chiarito come tale evenienza dovesse escludersi, essendosi accertato il ruolo di “palo” svolto dall’imputato nella vicenda, con conseguente rafforzamento e agevolazione della materiale azione predatoria posta in essere dai correi.
Considerato, quanto al secondo motivo di ricorso, che la causa di non punibilità di cui all’ad 131-bis cod. pen. è stata validamente esclusa in sentenza alla luce del rilevato disvalore oggettivo della condotta accertata (valore non irrisorio dei beni sottratti) e dell’abitualità della condotta, essendo l’imputato gravato da altri precedenti anche specifici.
Considerato che la giustificazione posta a fondamento del decisum, con cui la difesa non si confronta, è immune da censure in fatto e diritto.
Considerato, quanto al terzo motivo di ricorso, che la Corte territoriale ha offerto congrua motivazione a fondamento della denegata riqualificazione del fatto, ponendo in evidenza l’avvenuto impossessamento della res da parte dell’imputato e dei complici.
I
Considerato, quanto all’ultimo motivo di ricorso, che i profili riguardanti la determinazione della pena in concreto irrogata e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche sono sostenuti da conferente motivazione, avendo la Corte di merito posto in evidenza la negativa personalità dell’imputato, gravato da plurimi precedenti e le modalità del fatto.
Considerato che la giustificazione prodotta corrisponde ai criteri ermeneutici stabiliti in questa sede (cfr. Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 -02:”Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente”).
Considerato che il giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto, come nel caso in esame, di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena ed anche quella che evidenzi l’assenza di positivi elementi di valutazione (ex multis Sez. 3, n. 26908 del 22/04/2004, COGNOME, Rv. 229298; Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266460). ).
Considerato che, nel giudizio di cassazione, è inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 settembre 2025
Il Consigliere estensore
Presidente