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Ricorso inammissibile: fuga e droga, la Cassazione

Un soggetto, condannato per detenzione di stupefacenti e resistenza a pubblico ufficiale dopo una fuga da un posto di blocco, ha presentato ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza di tutti i motivi proposti. Le giustificazioni dell’imputato sono state ritenute prive di riscontro, e sia la quantità della droga che le modalità della fuga hanno impedito il riconoscimento di attenuanti o esimenti, confermando la condanna.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Fuga dal Posto di Blocco e Possesso di Stupefacenti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha ribadito i rigorosi criteri che portano a dichiarare un ricorso inammissibile, specialmente quando i motivi di appello si basano su ricostruzioni dei fatti prive di riscontri oggettivi. Il caso analizzato riguarda un imputato condannato per detenzione di stupefacenti e resistenza a pubblico ufficiale, la cui difesa è stata smontata punto per punto dalla Suprema Corte.

I fatti del processo

La vicenda processuale ha origine da una condanna emessa dal G.U.P. del Tribunale di Marsala e successivamente confermata dalla Corte di Appello di Palermo. L’imputato era stato ritenuto colpevole di detenzione di sostanze stupefacenti e del reato di resistenza, a seguito di una fuga rocambolesca da un posto di blocco. La pena inflitta era di 2 anni e 2 mesi di reclusione, oltre a una multa di 8.400 euro. Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, articolando diverse censure.

I motivi del ricorso: l’analisi della difesa

La difesa dell’imputato si fondava su quattro principali argomentazioni:

1. Errata attribuzione della droga: Si contestava che lo stupefacente, trovato a bordo del veicolo, appartenesse all’imputato. La colpa veniva addossata a un passeggero che, secondo la difesa, si sarebbe dato alla fuga solitaria dopo il superamento del posto di blocco.
2. Mancata applicazione del fatto di lieve entità: Si richiedeva il riconoscimento della fattispecie attenuata prevista dall’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/1990, sostenendo la modesta quantità della sostanza.
3. Riconoscimento dello stato di necessità: Per il reato di resistenza, si invocava l’esimente dello stato di necessità (art. 54 c.p.), giustificando la fuga come una reazione a una situazione di presunto pericolo.
4. Mancata concessione delle attenuanti generiche: Si criticava la dosimetria della pena e il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

La decisione sul ricorso inammissibile della Cassazione

La Suprema Corte ha respinto tutte le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. Gli Ermellini hanno analizzato e smontato ogni singolo motivo con precisione.

La titolarità dello stupefacente

Il primo motivo è stato giudicato infondato perché la ricostruzione alternativa proposta dall’imputato (la colpa del passeggero) era del tutto priva di riscontro. L’imputato, infatti, non aveva fornito alcun elemento utile a identificare questa presunta terza persona. In assenza di prove concrete, la Corte territoriale aveva legittimamente attribuito la proprietà della droga al conducente del veicolo.

L’esclusione della lieve entità e dello stato di necessità

Anche il secondo e il terzo motivo sono stati rigettati. La Corte ha sottolineato che la quantità di stupefacente non era affatto esigua e che le modalità dell’arresto, caratterizzate da una “rocambolesca fuga”, impedivano di qualificare il fatto come di lieve entità. La stessa fuga, creando una palese situazione di pericolo, escludeva la possibilità di invocare lo stato di necessità, poiché mancava il requisito fondamentale della “necessità” della condotta pericolosa.

Il diniego delle attenuanti generiche

Infine, la Cassazione ha confermato la corretta decisione dei giudici di merito di non concedere le attenuanti generiche. Tale scelta era stata adeguatamente motivata sulla base delle modalità concrete dell’arresto e sull’assenza di elementi positivi valutabili a favore dell’imputato.

Le motivazioni della decisione

La motivazione centrale dell’ordinanza risiede nel concetto di “manifesta infondatezza”. La Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio sui fatti, ma un giudice di legittimità. Quando un ricorso si basa su argomentazioni fattuali già esaminate e logicamente respinte nei gradi precedenti, o su interpretazioni giuridiche palesemente errate, esso non può superare il vaglio di ammissibilità. In questo caso, tutti i motivi proposti si sono rivelati tentativi di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti, senza sollevare reali questioni di diritto. La conseguenza diretta, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in 3.000 euro.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma un principio cardine del processo penale: un ricorso inammissibile non è solo un ricorso che verrà respinto, ma un’impugnazione che non merita nemmeno di essere discussa nel merito. Per avere una possibilità di successo in Cassazione, è indispensabile formulare censure che attengano a vizi di legittimità (violazione di legge o vizi di motivazione evidenti) e non a una mera rilettura dei fatti a proprio favore. La decisione rafforza l’idea che la fuga e la creazione di pericolo sono elementi che aggravano la posizione dell’imputato, precludendo l’accesso a benefici come le attenuanti o la qualificazione del reato in una forma meno grave.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando, come nel caso di specie, i motivi sono considerati ‘manifestamente infondati’, ovvero palesemente privi di fondamento logico o giuridico e si limitano a contestare la valutazione dei fatti già compiuta dai giudici di merito.

Perché la Corte non ha creduto alla versione dell’imputato riguardo al passeggero fuggito?
La Corte ha ritenuto la versione dell’imputato inattendibile perché egli non ha fornito alcun elemento identificativo del presunto passeggero. La sua ricostruzione è stata quindi giudicata priva di qualsiasi riscontro oggettivo e probatorio.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro, in questo caso 3.000 euro, in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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