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Ricorso inammissibile: evasione e pena sostitutiva

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato da un’imputata condannata per evasione. La decisione si fonda sulla manifesta infondatezza dei motivi relativi al diniego della pena sostitutiva, giustificato dai precedenti e dal comportamento non collaborativo dell’imputata, che non si è presentata al colloquio con l’UEPE, impedendo così la valutazione della misura alternativa.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando il Comportamento dell’Imputato Preclude la Pena Sostitutiva

L’accesso alle pene sostitutive non è un diritto automatico, ma una possibilità subordinata a una valutazione concreta della persona condannata. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come il comportamento non collaborativo dell’imputato possa portare a un ricorso inammissibile contro il diniego di tali benefici. L’ordinanza analizza il caso di una persona condannata per evasione, il cui appello è stato respinto a causa della sua mancata presentazione a un colloquio decisivo con i servizi sociali.

I Fatti del Caso

Una persona veniva condannata per il reato di evasione, previsto dall’art. 385 del codice penale. In sede di appello, la difesa chiedeva l’applicazione di una pena sostitutiva alla detenzione. Tuttavia, la Corte d’Appello respingeva la richiesta, confermando la condanna. Un elemento cruciale per la decisione dei giudici di secondo grado era stato il comportamento dell’imputata: quest’ultima, infatti, non si era presentata al colloquio fissato presso l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE). Tale incontro era funzionale e indispensabile per permettere ai servizi sociali di valutare la praticabilità e l’adeguatezza di una misura alternativa al carcere. Contro questa decisione, l’imputata proponeva ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. La decisione si fonda su due pilastri. In primo luogo, i motivi relativi alla mancata concessione della pena sostitutiva sono stati giudicati ‘manifestamente infondati’. In secondo luogo, gli ulteriori motivi di ricorso sono stati ritenuti ‘indeducibili’, poiché l’imputata vi aveva precedentemente rinunciato nel corso del giudizio di appello e li aveva illegittimamente riproposti in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte sono chiare e dirette. I giudici hanno sottolineato che la sentenza della Corte d’Appello era basata su una motivazione ‘esaustiva’ e logicamente corretta. Il diniego della pena sostitutiva non era arbitrario, ma poggiava su elementi concreti e oggettivi.

I due fattori decisivi sono stati:
1. I precedenti penali: La presenza di ‘reiterati precedenti’ a carico dell’imputata costituiva già un primo indice negativo nella valutazione della sua affidabilità.
2. Il comportamento concreto: L’assenza ingiustificata al colloquio con l’UEPE è stata l’elemento determinante. Questo comportamento è stato interpretato come una mancanza di volontà di collaborare al percorso di reinserimento, rendendo impossibile per le autorità competenti effettuare la necessaria valutazione sulla fattibilità della sostituzione della pena. Senza questa valutazione, il giudice non può concedere il beneficio.

La Corte ha inoltre specificato che i motivi di appello ai quali l’imputata aveva rinunciato non potevano essere riproposti in Cassazione. La rinuncia a un motivo di gravame è un atto processuale che produce effetti definitivi, precludendo la possibilità di ridiscuterlo in una fase successiva del giudizio.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: chi aspira a beneficiare di misure alternative alla detenzione ha l’onere di dimostrare la propria collaborazione e serietà. L’atteggiamento processuale e extra-processuale del condannato è attentamente vagliato dai giudici. La mancata presentazione a un appuntamento cruciale con gli operatori della giustizia, come l’UEPE, non è una semplice dimenticanza, ma viene interpretata come un chiaro segnale di disinteresse verso il percorso trattamentale. Di conseguenza, un ricorso inammissibile è la sanzione processuale per chi, con il proprio comportamento, vanifica la possibilità per il sistema giudiziario di valutare soluzioni alternative al carcere, confermando la piena legittimità della decisione di diniego.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi erano in parte manifestamente infondati (riguardo la pena sostitutiva) e in parte non proponibili, in quanto l’imputata aveva già rinunciato a tali motivi nel precedente grado di giudizio.

Quali elementi hanno giustificato il diniego della pena sostitutiva?
Il diniego della pena sostitutiva è stato giustificato dai precedenti penali dell’imputata e, soprattutto, dal suo comportamento concreto: non si è presentata al colloquio presso l’UEPE, un incontro essenziale per valutare la fattibilità della misura alternativa.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in denaro, in questo caso fissata in tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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