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Ricorso inammissibile: evasione e art. 131-bis

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per evasione (art. 385 c.p.). I motivi, relativi alla presunta mancanza di dolo e alla richiesta di applicazione della particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), sono stati giudicati meramente ripetitivi dell’appello e non in grado di confutare la logica motivazione della sentenza impugnata. La Corte ha ribadito che la valutazione sulla gravità del fatto ai fini dell’art. 131-bis è una prerogativa discrezionale del giudice di merito.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile per Evasione: la Cassazione fa chiarezza

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema del ricorso inammissibile, fornendo importanti chiarimenti sui requisiti necessari per contestare efficacemente una sentenza di condanna. Il caso riguardava un’impugnazione per il reato di evasione, basata su motivi ritenuti dalla Suprema Corte meramente ripetitivi e non idonei a scalfire la decisione dei giudici di merito. Analizziamo nel dettaglio la pronuncia per comprenderne la portata.

Il Caso: Ricorso Contro la Condanna per Evasione

Un individuo, condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello per il reato di evasione ai sensi dell’art. 385 del codice penale, proponeva ricorso per Cassazione. La difesa articolava il ricorso su due principali motivi:

1. Mancanza dell’elemento soggettivo del reato: Si sosteneva l’assenza di dolo, ovvero della consapevolezza e volontà di violare la misura cautelare imposta.
2. Mancata applicazione della causa di non punibilità: Si richiedeva l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., relativo alla particolare tenuità del fatto, che avrebbe escluso la punibilità.

Entrambi i motivi sono stati però rigettati dalla Suprema Corte, che ha dichiarato il ricorso inammissibile.

L’Analisi della Cassazione e il Ricorso Inammissibile

La Corte ha esaminato attentamente i motivi presentati, concludendo che essi non superavano la soglia di ammissibilità. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi distinti, uno per ciascun motivo di ricorso.

Primo Motivo: La Reiterazione delle Argomentazioni sul Dolo

Per quanto riguarda la presunta assenza di dolo, la Cassazione ha osservato che il motivo di ricorso era una semplice riproposizione di quanto già esposto nell’atto di appello. Il ricorrente non si era confrontato adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, la quale aveva già accertato, in modo logico e coerente, la piena consapevolezza dell’imputato di violare i limiti imposti dalla misura cautelare. Un ricorso in Cassazione non può limitarsi a ripetere le stesse doglianze, ma deve specificamente criticare e smontare il ragionamento logico-giuridico della decisione che contesta. In assenza di tale confronto critico, il motivo è stato considerato generico e, pertanto, inammissibile.

Secondo Motivo: La Valutazione Discrezionale sull’Art. 131-bis c.p.

Anche il secondo motivo, relativo alla mancata concessione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, è stato respinto. La Corte ha ricordato che l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. non è un atto dovuto, ma presuppone una valutazione discrezionale del giudice di merito riguardo alla gravità concreta del fatto. Nel caso di specie, la sentenza d’appello conteneva tale valutazione, seppur in forma sintetica, e l’aveva motivata in modo coerente con la consolidata giurisprudenza di legittimità. La Suprema Corte non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, ma solo verificare che quest’ultima sia presente, logica e non contraddittoria.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione centrale dell’ordinanza risiede nel principio secondo cui il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. La Corte non riesamina i fatti, ma controlla la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione delle sentenze dei gradi inferiori. Un ricorso che si limita a riproporre le stesse questioni di fatto già decise, senza evidenziare vizi di legge o illogicità manifeste nella motivazione, si pone al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità e deve essere dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla Cassa delle ammende.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per chiunque intenda impugnare una sentenza penale: il ricorso inammissibile è una conseguenza diretta della presentazione di motivi generici o ripetitivi. Per avere successo in Cassazione, è indispensabile formulare censure specifiche, pertinenti e capaci di incrinare la struttura logico-giuridica della decisione impugnata. La mera riproposizione delle argomentazioni difensive già esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio non solo è inutile, ma comporta anche ulteriori conseguenze economiche per il ricorrente.

Quando un ricorso in Cassazione viene considerato una mera reiterazione dei motivi d’appello?
Quando non si confronta adeguatamente con la motivazione del provvedimento impugnato, ma si limita a riproporre le stesse argomentazioni già presentate nel precedente grado di giudizio, senza contestare specificamente le ragioni della decisione della Corte d’Appello.

La mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) è sempre sindacabile in Cassazione?
No. La sua applicazione presuppone una valutazione discrezionale del giudice di merito sulla gravità del fatto. Se tale valutazione è presente nella sentenza, anche in forma sintetica, e risulta coerente con la giurisprudenza, non è censurabile in sede di legittimità.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dalla Corte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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