Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11481 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11481 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato ad Albenga l’01/03/1986
avverso la sentenza del 15/01/2024 della Corte di appello di Caltanissetta visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso, con le conseguenze previste dalla legge; NOME COGNOME
udito il difensore Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 15 gennaio 2024 la Corte di appello di Caltanissetta confermava la sentenza con la quale il primo Giudice, ad esito del giudizio ordinario, aveva condannato NOME COGNOME alla pena di dodici anni di reclusione e 10.500,00 euro di multa per i reati di cessione di sostanza stupefacente, concorso in due estorsioni e in un falso materiale in atto pubblico.
Ha proposto ricorso l’ imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza in ordine ai reati ex artt. 629 e 476-482 cod. pen., contestati rispettivamente al capo 2) dell’imputazione (estorsione in danno di NOME COGNOME) e al capo 4) (falso materiale di un privato in un atto pubblico al fine di procurarsi il profitto di detta estorsione), commessi in concorso con NOME COGNOME non ricorrente.
2.1. Quanto al primo reato, il ricorrente denuncia violazione della legge penale (art. 629 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla qualificazione della condotta come estorsione e non come truffa.
Dalla deposizione della persona offesa è emerso chiaramente che la consegna da parte sua della somma di denaro avvenne in forza di un raggiro e non di una coartazione della volontà: COGNOME ha dichiarato di essere stato ingenuo, non avendo ben visionato il verbale dei Carabinieri mostratogli da COGNOME e dal complice e con la sua deposizione sul punto la sentenza impugnata non si è confrontata.
2.2. In ordine al delitto di falso, il verbale alterato non è stato rinvenuto e dalla conversazione intercettata il 28 maggio 2019, che non costituisce corpo del reato, non può essere desunto alcun elemento utile per ritenere dimostrata la condotta contestata.
Il teste COGNOME ha poi affermato di avere riconosciuto il verbale esibitogli dai Carabinieri come quello che allo stesso modo gli era stato mostrato da La Greca, quindi l’atto dagli stessi redatto il 24 maggio 2019 nella sua originalità, senza alcuna modifica o alterazione.
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi generici e manifestamente infondati.
Va ribadito che sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l ‘ aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi e apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stati accolti (cfr., Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521 -01; Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, COGNOME, Rv. 281112 -01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 -01; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970 -01).
Nel caso di specie, i motivi di ricorso sono in larga parte sovrapponibili a quelli già dedotti in appello, disattesi dalla Corte di merito con argomentazioni conformi a quelle del primo Giudice. In proposito, va ricordato che la sentenza di
appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, specie quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già ampiamente esaminate e chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME non mass. sul punto; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 -01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 -01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME Rv. 252615 -01).
4. In ordine alla qualificazione giuridica del fatto contestato al capo 2) quale estorsione, il ricorrente ha obliterato che già il Tribunale, con motivazione espressamente condivisa dalla Corte di appello, aveva richiamato le conversazioni intercettate il 28 maggio 2019, giorno in cui si svolsero i fatti, dalle quali risultavano chiaramente le minacce e le violenze subite da COGNOME ad opera di COGNOME, che unitamente a COGNOME lo costrinse a salire in auto affinché andasse a prelevare la somma richiesta.
Nel ricorso è riportato solo un breve stralcio, irrilevante, della deposizione della persona offesa, che in dibattimento, invece, ha confermato quanto peraltro emerso in modo inequivocabile dall’ascolto delle conversazioni intercettate, trascritte con una perizia (anche là dove COGNOME si congratulava con COGNOME per le percosse inferte a COGNOME): ci furono ‘violenze, minacce verbali’ per indurla ‘a dare questi soldi a loro’; in particolare COGNOME fu colpito con ‘un pugno allo stomaco e uno schiaffo’ (pag. 17 sentenza del Tribunale).
Pertanto, è priva di ogni fondamento la deduzione difensiva, reiterata con il ricorso, secondo la quale la vittima consegnò il denaro in ragione di un raggiro e non già per le violenze e le minacce subite.
Anche l’altra censura è già stata correttamente disattesa dalla Corte di appello, che ha evidenziato il travisamento delle dichiarazioni della persona offesa sul verbale mostratogli dai Carabinieri, dalle quali non si deduce affatto -come sostenuto invece dalla difesa -che lo stesso non fosse stato alterato da COGNOME e COGNOME, circostanza dimostrata inequivocabilmente dal contenuto della conversazione del 28 maggio 2019: i due, infatti, furono intercettati proprio mentre procedevano all’alterazione del giorno (dal 24 al 28 maggio) al fine di avvalorare poi con COGNOME la tesi per cui la mancata cessione della sostanza stupefacente era dipesa dal sequestro operato dalla polizia giudiziaria, in realtà mai avvenuto.
Come osservato dai giudici di merito, detta intercettazione, con tutta evidenza, è prova decisiva della commissione del reato di falso, risultando del tutto irrilevante che essa non sia ‘corpo del reato’.
All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 11/03/2025.