Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 41 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 41 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Sblendorio NOME
NOME9> nato a Triggiano il 28/10/1960
COGNOME Michelangelo nato a Bari il 09/03/1957
avverso la sentenza del 02/10/2023 della Corte di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto alla Corte di cassazione di voler dichiarare inammissibili i ricorsi con le conseguenti statuizioni;
lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME difensore della parte civile, che ha chiesto la inammissibilità o il rigetto dei ricorsi;
lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOMEper il ricorrente COGNOME) e dell’Avv NOME COGNOMEper COGNOME), che hanno chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 2 ottobre 2023 la Corte di appello di Bari confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Lecce, ad esito del giudizio ordinario, aveva condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME alle pene ritenute di giustizia per tentata estorsione aggravata e – solo il primo – per usura aggravata, reati commessi in danno di NOME COGNOME costituitosi parte civile.
Hanno proposto ricorso i due imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, chiedendo l’annullamento della sentenza.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in sei motivi.
3.1. Violazione di legge per omessa notifica dell’avviso di deposito della sentenza, avvenuto il 2 gennaio 2024, oltre il termine ivi indicato, scaduto il 31 dicembre 2023.
3.2. Vizio della motivazione, insufficiente e contraddittoria, in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di usura.
Il compendio probatorio è costituito principalmente dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dalla moglie; il primo “ha fornito una rappresentazione dei fatti confusionaria e priva di riscontro aliunde”, avendo comunque sempre affermato che interessi e capitale erano stati consegnati a NOME COGNOME il cui ruolo di incaricato del ricorrente è stato ritenuto dalla Corte d’appello senza l’indicazione degli elementi dimostrativi della circostanza.
3.3. Vizio della motivazione, insufficiente e contraddittoria, in ordine alla sussistenza dell’aggravante dell’approfittamento dello stato di bisogno.
Non è emersa la prova dello stato di bisogno della persona offesa, che riferì di generiche difficoltà finanziarie e comunque l’imputato non ne era a conoscenza.
3.4. GLYPH Vizio della GLYPH motivazione, GLYPH insufficiente o GLYPH illogica, GLYPH in GLYPH relazione all’affermazione di responsabilità per la tentata estorsione.
COGNOME ha dichiarato di avere sempre interloquito solo con COGNOME e COGNOME non è l’autore della presunta aggressione né della minaccia (“o paghi o ti spariamo”) indicata al capo B2) e la sua sola presenza silente, in assenza di una contestazione del concorso ex art. 110 cod. pen., resta un dato ininfluente.
Per il fatto ascritto sub B3) il ricorrente non può essere considerato responsabile poiché la condotta materiale è stata posta in essere da altri soggetti rimasti ignoti.
3.5. Violazione della legge processuale in relazione alla utilizzabilità del file audio “come prova costitutiva dell’addebito di cui al capo A)” nonché del verbale di trascrizione acquisito sotto forma di memoria del Pubblico ministero.
3.6. Violazione della legge processuale e omessa motivazione in ordine alla contestazione tardiva della recidiva, con generico riferimento all’art. 99 cod. pen., avvenuta solo in sede di discussione.
Con un unico motivo il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME lamenta l’erronea applicazione della legge penale (artt. 110, 56 e 629 cod. pen.) nonché il vizio motivazionale, in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., in ordine alle qualificazione giuridica del fatto come tentata estorsione anziché come esercizio arbitrario delle proprie ragioni in concorso.
La Corte di appello, con motivazione illogica, quali elementi suffraganti la credibilità della persona offesa, ha richiamato la deposizione della moglie, che però si è limitata a riscontrare quanto riferitole dal marito, nonché una registrazione effettuata dallo stesso COGNOME, risalente a oltre tre mesi prima dell’episodio contestato, nella quale COGNOME non viene mai menzionato.
La Corte d’appello non ha motivato su un punto che risulta fondamentale alla luce dei principi affermati nella sentenza Filardo delle Sezioni Unite, omettendo di indicare gli elementi attestanti non semplicemente la consapevolezza e volontà del ricorrente di minacciare la persona offesa affinché restituisse una somma di denaro quanto la sua consapevolezza e volontà che la pretesa fosse radicalmente illecita e non consistesse invece nella restituzione di una somma mutuata.
Disposta la trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18, nella quale è stato convertito il decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti, il Procuratore generale, il difensore della parte civile e quelli dei due imputati hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili in quanto proposti con motivi manifestamente infondati e (in parte, quanto al ricorso di COGNOME) anche generici.
2. Ricorso Sblendorio.
2.1. In ordine al primo motivo, il ricorrente non ha considerato che il 31 dicembre 2023, termine ultimo per il deposito della sentenza impugnata, era domenica, giorno festivo al pari del 1° gennaio 2024. La sentenza, pertanto, è stata tempestivamente depositata il 2 gennaio 2024.
Con una risalente pronuncia le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che «La regola per cui il termine stabilito a giorni, il quale scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno successivo non festivo, posta nello specifico dall’art. 172, comma 3, cod. proc. pen., si applica anche agli atti e ai provvedimenti del giudice, e si riferisce perciò anche al termine per la redazione della sentenza» (Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, dep. 2012, Rossi, Rv. 251494 01). Conseguentemente non va effettuata la notificazione dell’avviso di deposito ex art. 548, comma 2, cod. proc. pen., necessaria solo se il dispositivo abbia indicato un termine non rispettato (Sez. 4, n. 51325 del 09/10/2018, P., Rv. 274004 – 01; Sez. 6, n. 8069 del 08/02/2012, COGNOME, Rv. 252429 – 01).
2.2. Il secondo motivo, in punto di responsabilità per il reato di usura, è generico e privo di ogni fondamento.
La Corte territoriale ha correttamente applicato il principio affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità, secondo il quale occorre effettuare un rigoroso riscontro della credibilità soggettiva ed oggettiva della persona offesa, specie se costituita parte civile, accertando l’assenza di elementi che facciano dubitare della sua obiettività, senza la necessità, però, della presenza di riscontri esterni, stabilita dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. per il dichiarante coinvolto nel fatto (cfr., fra le tante, Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214 – 01; Sez. 4, n. 410 del 09/11/2021, dep. 2022, Aramu, Rv. 282558 – 01; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279070 – 01; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312 – 01; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018, COGNOME, Rv. 274489 – 01).
Va poi ribadito che «la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni» (così Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, cit.; più di recente v. Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609), circostanza assente nel caso di specie.
La censura alla conforme valutazione effettuata dai giudici di merito è del tutto generica (oltre che in fatto) e oblitera anche il dato dagli stessi evidenziato, costituito dai molteplici incontri tra COGNOME e COGNOME, con le pressanti richieste di quest’ultimo alla persona offesa, tale da rendere evidente che le consegne di denaro nelle mani di COGNOME (colui che pure indicò l’imputato come persona in grado di prestare denaro a COGNOME) avevano quale destinatario finale il ricorrente.
La Corte territoriale (pag. 10) ha anche rimarcato quale elemento assai rilevante che avvalora la credibilità di COGNOME e l’attendibilità delle su dichiarazioni il contenuto della conversazione tra presenti – pienamente utilizzabile, in ragione di quanto si dirà sub § 2.5 – che la persona offesa, in compagnia di un parente, registrò di propria iniziativa, senza alcun accordo con la polizia giudiziaria, quando incontrò COGNOME presso il bar dallo stesso gestito il 4 aprile 2014: il colloquio fra i due, stante la precisione delle circostanz evocate (v. pagg. 8-9 della sentenza di primo grado), è stato logicamente ritenuto indicativo del rapporto usurario che si era instaurato fra i due.
La difesa, poi, ha anche omesso di confrontarsi con la motivazione delle due pronunce di merito là dove hanno richiamato le risultanze di intercettazioni disposte in altro procedimento riguardante un omicidio (le cui trascrizioni sono state acquisite con il consenso delle parti e sono state ampiamente sintetizzate dal Tribunale a pagg. 8 e 9), dalle quali risultava l’intenzione di Sblendorio di danneggiare i fondi di proprietà di NOME COGNOME e del padre.
La sentenza impugnata, dunque, non è affatto contraddittoria, potendosi in proposito ricordare che il vizio di contraddittorietà ha rilevanza, ai sensi dell’art 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., solo se presente all’interno della motivazione della decisione impugnata e consiste nel concorso, dialetticamente irrisolto, di proposizioni concernenti punti decisivi e assolutamente inconciliabili tra loro, tali che l’affermazione dell’una implichi necessariamente la negazione dell’altra e viceversa (Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, COGNOME, Rv. 274816 – 07; Sez. 1, n. 53600 del 24/11/2016, COGNOME, Rv. 271635 – 01; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, COGNOME, Rv. 249035 – 01).
Invece l’insufficienza della motivazione, peraltro genericamente dedotta, non è uno dei vizi denunciabili ex art. 606, comma 1, lett. e), del codice di rito.
2.3. È manifestamente infondato anche il motivo riguardante la circostanza aggravante prevista dall’art. 644, quinto comma, n. 3, cod. pen.
La Corte d’appello (pagg. 4 e 11) ha ricordato che la persona offesa, proprietario di alcuni terreni e collaboratore dell’azienda agricola di proprietà della moglie, ha dichiarato di avere contratto un mutuo con una banca di 90.000 euro e di essersi trovato in notevoli difficoltà economiche, tali da rendergli assai
difficile il pagamento delle rate e di altri debiti, a causa di plurime grandinate che avevano danneggiato i raccolti; del propriostato di bisogno egli riferì espressamente a COGNOME, ben consapevole – come anche COGNOME, che funse da intermediario – delle ragioni che spinsero COGNOME a chiedere il prestito.
Va poi ribadito che lo stato di bisogno va inteso non come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo che, limitando la volontà del soggetto, lo induca a ricorrere al credito a condizioni usurarie; esso può essere di qualsiasi natura, specie e grado, non essendo richiesto dalla norma incriminatrice che il predetto stato presenti connotazioni che lo rendano socialmente meritevole (Sez. 2, n. 1255 del 04/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284286 – 01; Sez. 2, n. 18778 del 25/03/2015, COGNOME Rv. 259962 – 01; Sez. 2, n. 709 del 10/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258072 – 01; Sez. 2, n. 43713 del 11/11/2010, COGNOME, Rv. 248974 – 01).
2.4. Privo di fondamento e generico è il quarto motivo, inerente all’affermazione di responsabilità per la tentata estorsione.
La difesa ha sostenuto che non sarebbe stata contestata la fattispecie concorsuale, in assenza del richiamo nell’imputazione all’art. 110 cod. pen., ma è evidente – dal tenore della imputazione sub B), ascritta a COGNOME e a COGNOME – che in fatto tale contestazione vi fosse.
Secondo il diritto vivente, ai fini della contestazione dell’accusa, ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto e non l’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati (Sez. U, n. 18 del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216430 – 01; Sez. 3, n. 24365 del 14/03/2023, G., Rv. 284670 – 03; Sez. 1, n. 30141 del 05/04/2019, Poltrone, Rv. 276602 – 01).
Con specifico riferimento all’episodio sub B2), nel capo d’accusa è contestato espressamente a COGNOME di avere minacciato COGNOME unitamente a COGNOME (come evidenziato già nella prima sentenza – pag. 11), tant’è che, in ragione della simultanea presenza dei due, è stata applicata la circostanza aggravante della minaccia commessa da più persone riunite, contestata in fatto, anche senza il richiamo all’art. 628, terzo comma, n. 1, cod. pen., con statuizione non censurata né con l’appello né con il ricorso.
Correttamente, dunque, la Corte d’appello, con motivazione per nulla illogica, ha confermato la responsabilità del ricorrente, reputando irrilevante che fosse stato COGNOME a pronunciare la frase minacciosa, lanciando un sasso verso NOME, stante la presenza sul luogo di COGNOME, istigatore in quanto interessato a riscuotere il denaro dal proprio debitore.
Il ricorso è generico, invece, quanto all’episodio sub B2).
Pacifico essendo che l’autore materiale della minaccia è rimasto ignoto, la Corte territoriale, con motivazione incensurabile, con la quale la difesa non si è confrontata, ha ritenuto che lo stesso, facendo riferimento “ai soldi di NOME” ed evocando altresì un noto pregiudicato, non potesse che essere l’esecutore di un incarico datogli da COGNOME.
2.5. È priva di ogni fondamento anche l’eccezione di inutilizzabilità della conversazione registrata dalla persona offesa di cui si è già trattato sub § 2.2.
La registrazione fonografica di una conversazione effettuata da uno dei partecipi al colloquio costituisce una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, utilizzabile in dibattimento quale prova documentale, rispetto alla quale la trascrizione rappresenta una mera trasposizione del contenuto del supporto magnetico contenente la registrazione, non soggetta alla disciplina degli artt. 266 e ss. cod. proc. pen. (cfr., di recente, Sez. 2, n. 40148 del 06/07/2022, COGNOME, Rv. 283977 – 01). Secondo un orientamento minoritario della giurisprudenza di legittimità, detta disciplina sarebbe applicabile quando la registrazione avvenga d’intesa con la polizia giudiziaria e attraverso strumenti di captazione dalla stessa forniti, circostanze comunque non ravvisabili nel caso di specie, atteso che NOME registrò di propria iniziativa la conversazione, senza neppure previamente avvertire la polizia giudiziaria.
Pertanto, risulta del tutto irrilevante la trascrizione del contenuto della conversazione effettuata dalla p.g. e riportata nella memoria del Pubblico ministero, posto che la difesa non ha contestato che la sintesi del dialogo fatta dal Tribunale (pagg. 8-9) non fosse fedele rispetto a quanto percepibile direttamente dall’ascolto della registrazione.
In ordine alla individuazione della voce dell’interlocutore di COGNOME risulta decisiva la valutazione dei giudici di merito sulla credibilità della stessa persona offesa, comunque avvalorata dal riconoscimento della voce di COGNOME da parte degli operanti della p.g., che a distanza di neppure un anno avevano curato l’attività di captazione di conversazioni in altro procedimento, estesa al veicolo del ricorrente (v. pag. 7 sentenza di primo grado).
2.6. È manifestamente infondato anche l’ultimo motivo, inerente alla contestazione della contestazione della recidiva (reiterata, specifica e infraquinquennale), avvenuta all’udienza del 2 dicembre 2020, alla presenza dell’imputato, prima della chiusura della istruzione dibattimentale e dell’inizio della discussione e quindi tempestivamente: la circostanza risulta confermata dal verbale di udienza, esaminato da questo Collegio, trattandosi di una questione di natura processuale (yds. Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 nonché, più di recente, Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, COGNOME non mass. sul punto).
3. Ricorso COGNOME.
In relazione alla correttezza e incensurabilità della valutazione dei giudici di merito circa la piena attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa si rinvia a quanto in precedenza osservato (sub § 2.2.).
La difesa, invero, non contesta il concorso materiale dell’imputato nel fatto in contestazione ma – come visto – sostiene che egli, pur minacciando la persona offesa, ignorasse che la pretesa di COGNOME fosse radicalmente illegittima in quanto riferita a una richiesta di interessi usurari, circostanza che preclude la configurabilità del meno grave reato ex art. 393 cod. pen. (Sez. 2, n. 26235 del 12/05/2017, Nicosia, Rv. 269968 – 01; Sez. 2, n. 9931 del 01/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262566 – 01; da ultimo cfr. Sez. 2, n. 39980 del 12/09/2024, Arcari, non mass.).
Il motivo, invero è formulato in modo perplesso, ventilandosi solo la possibilità, priva però di un qualsiasi riscontro negli atti processuali, che i contributo concorsuale di COGNOME si sia risolto “in una diversa qualificazione giuridica in favore del terzo non portatore della pretesa azionata illecitamente”.
Risulta poi significativo- diversamente da quanto opinato dal ricorrente – un rilievo della Corte d’appello: l’imputato, in sede di spontanee dichiarazioni, quanto all’episodio del 21 agosto 2014 che lo vide protagonista, fornì una versione dei fatti ritenuta del tutto inverosimile già dal Tribunale (pag. 12), senza neppure dedurre la propria inconsapevolezza circa la illegittimità della pretesa di COGNOME che egli accompagnò in quella occasione, rendendosi poi autore di una grave minaccia rivolta a COGNOME
La deduzione resta quindi affidata a una prospettazione difensiva, quasi ipotetica (“non può escludersi che fosse a conoscenza del solo prestito e non del tasso usurario applicato probabilmente dallo Splendono ai danni del Ferrante”), inidonea a inficiare la tenuta della motivazione della sentenza impugnata anche su questo punto.
Alla inammissibilità delle impugnazioni proposte segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così fissata in ragione dei motivi dedotti.
Non vengono liquidate le spese alla parte civile, in quanto la difesa si è limitata a rassegnare le conclusioni senza contrastare i motivi di impugnazione proposti o apportare comunque alcun contributo.
Il Collegio condivide il principio secondo il quale, nel giudizio di legittimit celebrato con il rito camerale non partecipato, nella vigenza della normativa introdotta per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, quando il ricorso dell’imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile, in difetto di richiesta di trattazione orale, ha diritto di ottene liquidazione delle spese processuali purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un util contributo alla decisione (Sez. 2, n. 33523 del 16/06/2021, D., Rv. 281960 – 01; Sez. 2, n. 24619 del 02/07/2020, Puma, Rv. 279551 – 01).
L’orientamento si è consolidato dopo la pronuncia con la quale le Sezioni Unite di questa Corte, richiamando un principio espresso in una risalente sentenza (Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716 – 01), hanno di recente ribadito che nel procedimento che si svolge dinanzi alla Corte di cassazione in camera di consiglio nelle forme previste dagli artt. 610 e 611 cod. proc. pen., ovvero con rito camerale “non partecipato”, quando il ricorso dell’imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, ne va disposta la condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, purché, in sede di legittimità, la stessa parte civile abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare pretesa dell’imputato per la tutela dei propri interessi (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, COGNOME, non mass. sul punto).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Rigetta la richiesta di liquidazione delle spese processuali formulata dalla parte civile COGNOME NOMECOGNOME
Così deciso il 19/12/2024.