Ricorso Inammissibile: La Cassazione Sancisce i Limiti dell’Impugnazione contro l’Espulsione
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema del ricorso inammissibile in materia di immigrazione, fornendo chiarimenti cruciali sulla validità delle prove e sulla specificità dei motivi di impugnazione. La decisione sottolinea come la presentazione di una domanda di protezione internazionale successiva alla commissione del reato non possa essere utilizzata come scusante per una precedente violazione della legge. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.
I Fatti del Caso
La vicenda ha origine da un ordine di espulsione emesso dal Questore di Pescara nei confronti di un cittadino straniero, al quale era stato intimato di lasciare il territorio nazionale entro sette giorni. Non avendo ottemperato a tale ordine, l’uomo veniva processato e condannato dal Giudice di Pace di Chieti per il reato previsto dall’art. 14, comma 5-quater del D.Lgs. 286/1998.
La pena inflitta era una multa di diecimila euro, che fu immediatamente sostituita con la misura dell’espulsione dal territorio italiano per un periodo di cinque anni. La decisione del Giudice di Pace veniva confermata in appello dal Tribunale di Chieti. A questo punto, il condannato presentava ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e un difetto di motivazione.
Le Argomentazioni della Difesa
La difesa basava il proprio ricorso sulla presunta omessa assunzione di una prova ritenuta decisiva: una domanda di protezione internazionale inoltrata dall’imputato. Secondo il legale, questa istanza avrebbe dovuto essere considerata come un elemento a discolpa, in grado di giustificare la permanenza sul territorio.
L’Analisi della Cassazione e il Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte ha respinto le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile per diverse ragioni concorrenti. In primo luogo, i giudici hanno qualificato le censure come “mere doglianze versate in fatto e di natura aspecifica”. In altre parole, il ricorso non sollevava questioni di legittimità (cioè di corretta applicazione della legge), ma si limitava a proporre una diversa interpretazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.
Inoltre, la Corte ha rilevato che le argomentazioni erano semplicemente riproduttive di quelle già adeguatamente esaminate e respinte con motivazione coerente dal Tribunale in sede di appello. La reiterazione di censure già disattese, senza l’introduzione di nuovi profili di diritto, è un classico motivo che conduce a una declaratoria di inammissibilità.
Le Motivazioni: La Rilevanza Temporale della Prova
Il punto centrale della decisione riguarda la valutazione della domanda di protezione internazionale. La Corte ha dato pieno credito alla ricostruzione del Tribunale, il quale aveva correttamente osservato che tale domanda era “risalente a epoca posteriore, rispetto all’epoca di commissione del fatto per il quale si procede”.
Questo significa che, al momento della violazione dell’ordine di espulsione, non esisteva alcuna istanza di protezione pendente che potesse giustificare la permanenza dello straniero in Italia. La presentazione successiva della domanda non può avere efficacia retroattiva e non può sanare un comportamento illecito già perfezionatosi. La Corte ha quindi ribadito un principio fondamentale: la valutazione della condotta dell’imputato deve essere effettuata sulla base della situazione di fatto e di diritto esistente al momento della commissione del reato.
Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche della Decisione
La declaratoria di ricorso inammissibile ha comportato due conseguenze dirette per il ricorrente. Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, è stato condannato al pagamento delle spese processuali. In aggiunta, data l’assenza di elementi che potessero escludere la colpa nella presentazione di un ricorso palesemente infondato, è stato condannato al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Questa ordinanza rafforza il principio secondo cui i mezzi di impugnazione devono essere utilizzati per sollevare questioni giuridiche concrete e non per tentare di ottenere un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Soprattutto in materia di immigrazione, chiarisce che le tutele previste dall’ordinamento, come la richiesta di protezione internazionale, devono essere attivate tempestivamente e non possono essere invocate a posteriori per giustificare condotte illegittime.
È possibile appellare una sentenza del giudice di pace che sostituisce una pena pecuniaria con l’espulsione?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che è impugnabile con appello la sentenza del giudice di pace che, in relazione al reato di ingresso e soggiorno illegale, applica la misura dell’espulsione in sostituzione della pena pecuniaria.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure erano mere doglianze di fatto, non specifiche, e riproducevano argomenti già esaminati e respinti in modo coerente dal giudice d’appello.
Una domanda di protezione internazionale può giustificare la mancata ottemperanza a un ordine di espulsione?
No, in questo caso la Corte ha stabilito che la domanda di protezione internazionale, essendo stata presentata in un’epoca successiva alla commissione del reato, non può essere usata come giustificazione per la precedente violazione dell’ordine di espulsione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33883 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33883 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/03/2024 del TRIBUNALE di CHIETI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritenuto in via preliminare – che correttamente, ex art. 37 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, è stato proposto appello, ad opera del soggetto condannato dal giudice di pace a pena pecuniaria, in quanto tale pena era stata sostituita con l’espulsione (si veda Sez. 1, n. 40275 del 21/06/2023, NOME, rv. 285127 – 01, secondo la quale: «È impugnabile con appello la sentenza del giudice di pace che, in relazione al reato di ingresso e soggiorno illegale dell straniero nel territorio dello Stato, abbia applicato la misura dell’espulsione, sostituzione della pena pecuniaria»; conf. n. 43956 del 01/12/2010, NOME, rv. 249075 – 01; n. 52 del 01/12/2010, COGNOME, rv. 249435 – 01; n. 49871 del 28/10/2015, NOME, rv. 265417 – 01);
Ritenuto che siano inammissibili le censure dedotte nel ricorso di NOME – nel quale il difensore AVV_NOTAIO si duole della violazione di legge e della mancanza di motivazione, in riferimento alla omessa assunzione di una prova decisiva – perché costituite da mere doglianze versate in fatto e di natura aspecifica;
Considerato che dette censure sono, altresì, riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi – secondo un coerente argomentare giuridico – dal Tribunale di Chieti in composizione monocratica, quale Giudice di appello avverso la sentenza del Giudice di Pace della medesima città del 13/06/2023, che aveva ritenuto l’odierno ricorrente responsabile del reato di cui all’art. 14 comma 5-quater d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, per aver disatteso l’ordine del AVV_NOTAIO di Pescara, a mezzo del quale gli era stato intimato di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di sette giorni e, per l’effetto, lo condannato alla pena di euro diecimila di multa (sanzione pecuniaria sostituita, come detto, con l’espulsione dal territorio italiano, per il periodo di anni cinque
Ritenuto che – a fronte della esaustiva motivazione contenuta nella avversata decisione – l’impugnazione non riesca a oltrepassare la soglia della mera critica reiterativa, proponendo una diversa lettura delle prova a discolpa addotta dalla difesa nel corso del giudizio di merito, rappresentata da una domanda di protezione internazionale, inoltrata dall’imputato e non ancora esaminata dall’ente a ciò preposto (il Tribunale, del tutto correttamente, ha osservato trattarsi domanda risalente a epoca posteriore, rispetto all’epoca di commissione del fatto per il quale si procede);
Ritenuto che alla dichiarazione di inammissibilità debba conseguire, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 01 luglio 2024.