Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 916 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 916 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di: NOME nato a Gallarate il 26.10.1990, contro la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio del 22.6.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22.6.2023 il Tribunale di Busto Arsizio, provvedendo su richiesta delle parti, ha applicato a NOME COGNOME in relazione ai fatti
rapina pluriaggravata, lesioni personali aggravate e furto pluriaggravato, la pena complessiva di anni 3 e mesi 6 di reclusione ed euro 2.000 di multa, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche stimate prevalenti sulle aggravanti e sulla recidiva;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
2.1 difetto di correlazione tra richiesta e sentenza: rileva che, nella motivazione della sentenza impugnata, è stato riportato il calcolo della pena che, tuttavia, risulta evidentemente errato nella individuazione della pena-base che avrebbe dovuto essere quella di quattro anni di reclusione ed euro 2.000 di multa come stabilito dalle parti nell’accordo processuale;
2.2 erronea qualificazione giuridica del fatto: rileva la erroneità della qualificazione del fatto contemplata nel capo c) della rubrica atteso che non poteva ricorrere la aggravante di cui all’art. 625 n. 5 cod. pen. dal momento che il soggetto, precedentemente travisato all’interno della panetteria, si era scoperto il volto una volta uscito e, pertanto, non lo era più nel momento in cui ne era uscito; rileva che il furto non era stato commesso con destrezza;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per l’inamnnissibilità del ricorso: rileva, con riguardo al primo motivo del ricorso, che la censura difensiva non sia stata accompagnata dalla allegazione e produzione dell’accordo intercorso tra le parti in violazione del principio di autosufficienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo, infatti, è manifestamente infondato: vero che, nel prospetto contenente proposta di applicazione concordata della pena predisposto dalla difesa, la pena detentiva per il delitto di rapina era stata individuata nel minimo edittale di anni quattro mentre, nella motivazione della sentenza impugnata, la richiesta difensiva era stata riportata con la indicazione di una pena detentiva di anni cinque.
Va pur detto che la pena detentiva indicata dalla difesa non corrispondeva al minimo edittale stabilito per la rapina non aggravata che, come è noto, con l’art. 6, comma 1, lett. a) della legge 26 aprile 2019 n. 36, è stato elevato a cinque anni.
Per altro verso, e conclusivamente, è pacifico che la sentenza impugnata abbia recepito ed applicato la pena finale su cui era intervenuto l’accordo delle parti.
Ed è appena il caso di richiamare l’arresto delle SS.UU. “Sacchettino” del luglio del 2022, che, proprio in una ipotesi di applicazione concordata, hanno chiarito che la pena cui si sia pervenuti può definirsi “illegale” soltanto nel caso in cui ecceda i limiti edittali generali previsti dagli artt. 23 e seguenti, nonché 65 71 e seguenti, cod. pen., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispeci di reato, a nulla rilevando il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge (cfr., Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, Rv. 283886 – 01).
Il secondo motivo, dal canto suo, concernente la esclusione della aggravante di cui all’art. 625 n. 5 cod. pen., è in realtà fondato sul presupposto di una ricostruzione dell’episodio proposta dalla difesa e che non trova alcun riscontro nella sentenza impugnata.
Solo per completezza, perciò, è opportuno ribadire il principio secondo cui la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione giuridica del fatto è limitata ai casi in cui essa risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto fattuale del capo di imputazione, dovendo invece essere esclusa l’ammissibilità dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con evidenza (cfr., tra le tante, Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, COGNOME, Rv. 283023 – 01; Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021, COGNOME, Rv. 281116 – 01).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, in difetto di condizioni per l’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 22.11.2023