Ricorso inammissibile: quando la negligenza basta per un reato contravvenzionale
L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui limiti del ricorso per Cassazione e sulla natura del reato contravvenzionale. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile l’impugnazione di un condannato, ribadendo un principio fondamentale: per le contravvenzioni, non è necessaria la volontarietà dell’azione, essendo sufficiente la semplice negligenza.
I Fatti del Caso
Il Tribunale di Chieti aveva condannato un soggetto alla pena di 1.500 euro di ammenda, ritenendolo colpevole di un reato. Contro questa sentenza, l’imputato ha presentato ricorso per Cassazione. Il fulcro della sua difesa si basava su un unico motivo: un presunto vizio di motivazione da parte del giudice di primo grado, il quale, a suo dire, non avrebbe adeguatamente provato la volontarietà della condotta contestata.
La Decisione della Corte sul reato contravvenzionale
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi strettamente connessi tra loro: la natura delle censure mosse dal ricorrente e le caratteristiche proprie del reato contravvenzionale.
Le Motivazioni della Decisione
In primo luogo, la Corte ha osservato che il motivo di ricorso sollevato dall’imputato era una doglianza di merito. L’appellante, infatti, non contestava una violazione di legge, ma tentava di ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti di causa. Questo tipo di analisi è precluso alla Corte di Cassazione, che è giudice di legittimità e non può riesaminare il merito della vicenda.
In secondo luogo, e in modo ancora più decisivo, i giudici hanno sottolineato che l’argomento sulla volontarietà della condotta era del tutto irrilevante. Il reato per cui era stata emessa la condanna rientra nella categoria delle contravvenzioni. Per la configurazione di un reato contravvenzionale, l’ordinamento giuridico italiano non richiede necessariamente il dolo (cioè l’intenzione di commettere il reato), ma considera sufficiente la colpa, che include anche la semplice negligenza. Di conseguenza, sostenere che l’azione non fosse volontaria non scalfisce la validità della condanna, poiché la condotta è punita anche se commessa per mera disattenzione o leggerezza.
Le Conclusioni
La declaratoria di inammissibilità ha comportato conseguenze economiche significative per il ricorrente. In applicazione dell’articolo 616 del codice di procedura penale e richiamando una nota sentenza della Corte Costituzionale (n. 186/2000), la Cassazione ha condannato l’imputato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, è stata disposta la condanna al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, poiché non sono stati ravvisati elementi per ritenere che il ricorso fosse stato proposto senza colpa. Questa ordinanza riafferma che il ricorso in Cassazione deve basarsi su vizi di legittimità e non su tentativi di rivalutazione dei fatti, specialmente quando gli argomenti proposti sono giuridicamente irrilevanti rispetto alla natura del reato contestato.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché sollevava questioni di merito, chiedendo alla Corte una nuova valutazione dei fatti, attività che non rientra nelle sue competenze. Inoltre, l’argomento principale era giuridicamente irrilevante.
In un reato contravvenzionale, è necessario dimostrare che l’azione sia stata volontaria?
No. La Corte ha chiarito che per la configurabilità di un reato contravvenzionale è sufficiente la colpa, ovvero una condotta tenuta anche solo per mera negligenza. Pertanto, la discussione sulla volontarietà dell’azione non è pertinente.
Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile in questo caso?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2265 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2265 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato a ORTONA il 20/05/1963
avverso la sentenza del 24/11/2023 del TRIBUNALE di CHIETI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che con sentenza depositata il 22 dicembre 2023 il Tribunale di Chieti condannava COGNOME COGNOME Giuseppe alla pena di € 1.500 di ammenda avendolo ritenuto colpevole del reato ascritto;
che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il prevenuto articolando un unico motivo di impugnazione con cui eccepiva il vizio di motivazione con riferimento alla statuizione di reità in particolare osservando non si fosse provata la sussistenza della volontarietà della condotta contestata.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che il motivo di impugnazione in esso contenuto si risolve in una doglianza impingente esclusivamente argomenti di merito, volti a fornire una diversa ricostruzione dei fatti di causa, sottratti al sindacato di questa Corte legittimità; che per altro, trattandosi di fattispecie di reato contravvenzionale richiamo al contegno soggettivo dell’agente, che il ricorrente, nel caso di specie, qualifica come non volontario, è irrilevante in quanto trattasi di condotta punita anche a titolo di mera negligenza;
che il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma equitativamente fissata in C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2024
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